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23 Aprile 2025
Il disegno di legge sull'uso dell'intelligenza artificiale da parte dei professionisti impone l'obbligo di dichiararne l'utilizzo. Una norma che, sebbene animata da intenti di trasparenza, si rivela inapplicabile, anacronistica e frutto di una profonda incomprensione della materia.
La proposta normativa sull’obbligo per i professionisti di dichiarare l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nei propri elaborati ha sollevato un acceso dibattito, e giustamente. Se da un lato l’intento di trasparenza può apparire condivisibile, dall’altro il modo in cui tale obbligo è concepito tradisce un’evidente mancanza di consapevolezza delle reali applicazioni dell’AI negli studi professionali.
Chiunque oggi utilizzi l’intelligenza artificiale con serietà e responsabilità sa bene che non si tratta di una delega in bianco al software, ma di un’integrazione evoluta del proprio lavoro. L’AI, nella maggior parte dei casi, svolge funzioni di supporto: elaborazione dati, spunti di riflessione, riorganizzazione di testi, analisi predittive.
Sarebbe impensabile, e gravemente negligente, accettare passivamente un output senza sottoporlo a verifica. I rari episodi in cui contenuti falsi o inappropriati sono stati presentati in contesti ufficiali, come nel noto caso della sentenza inventata portata in giudizio, rappresentano eccezioni patologiche, non la regola.