Società e contratti
18 Aprile 2025
Le differenze tra il socio escluso e quello che esercita il recesso.
La riforma Vietti del 2003 in materia di diritto societario ha introdotto nella disciplina delle S.r.l., all’art. 2473-bis c.c., la possibilità statutaria di prevedere specifiche cause di esclusione del socio, oltre a quella legale specificamente disciplinata all’art. 2466 c.c. e relativa al cd. “socio moroso” che non ottempera all’obbligo di conferimento. L’istituto dell’esclusione deve però coordinarsi con la precisa rappresentazione nel documento costitutivo di specifiche manifestazioni di inadempimento contrattuale, riconducibili al paradigma penalistico della giusta causa e con pregiudizio al rapporto fiduciario tra i soci.
L’inadempimento previsto alla base della causa di esclusione non deve, quindi, essere lieve, ma espressivo di una condotta sleale e opportunistica del socio, che comporti l’impossibilità di una meritevole protrazione in società del socio inadempiente. Il filtro della giusta causa deve pertanto mediare il potere di espulsione del socio, con la meritevolezza dell’interesse sociale a poter perseguire i propri intenti statutari, senza dover patire condotte individuali non coordinate con la ratio di un contratto causalmente a scopo comune.
In ordine all’istituto dell’esclusione in tale sede si intende con maggiore specificazione analizzare la portata regolamentare dell’inciso normativo: “In tal caso (di esclusione del socio) si applicano le disposizioni dell’articolo precedente (art. 2473 c.c.), esclusa la possibilità del rimborso della partecipazione mediante riduzione del capitale sociale”. Nel caso, quindi, venga a verificarsi una condotta del socio statutariamente prevista come meritevole di esclusione, l’esplicito rinvio all’art. 2473 c.c. implica la liquidazione di un diritto economico al socio espulso da determinare sulla base di un valore corrente dell’azienda societaria, al lordo, quindi, di tutte le plusvalenze latenti, compresa la componente valutativa dell’avviamento.
Tale coincidenza legale di criteri determinativi sia per il socio escluso e sia per socio che esercita il diritto di recesso, è apparsa sin da subito del tutto mancante di una ratio coerente, dal momento che lo stesso quantum di valore liquidatorio viene legislativamente previsto sia nei confronti del socio che esercita il recesso in quanto è sopravvenuta una modifica delle originarie regole statutarie da lui sottoscritte e in ordine alle quali soltanto ha espresso consenso, sia nei confronti di un socio che invece quelle medesime regole statutarie le ha dolosamente trasgredite.
Nel caso dell’esclusione, inoltre, anche se la società disponesse di un capitale sociale capiente ad assicurare nel contempo l’osservanza della soglia legale e il soddisfacimento numerario del diritto liquidatorio del socio escluso, essa dovrebbe, in ogni caso, essere messa in liquidazione e venire destrutturata di ogni dinamismo. Una portata esegetica di tal genere non appare in alcun modo sostenibile, in quanto portatrice di epidermiche iniquità nei confronti della società che, oltre a subire il pregiudizio della condotta sleale, andrebbe persino incontro al suo epilogo di chiusura statutaria.
Allo scopo di intentare uno scrutinio più coerente si ritiene debba essere considerato come l’istituto dell’esclusione, previsto come “genere” nell’art. 2473-bis c.c., si raccordi al caso di esclusione del socio moroso previsto come “specie” nell’art. 2466 c.c.
Nel caso il socio non ottemperi alla diffida di pagamento degli amministratori, la sua quota può venire venduta a un valore perequato alle sole risultanze nominali dell’ultimo bilancio approvato, con esclusione, quindi, dell’eventuale avviamento e di ogni altra plusvalenza latente che la società può nel frattempo aver capitalizzato. Netta, quindi, è la distinzione valutativa della partecipazione nel caso del socio moroso rispetto ai parametri liquidatori previsti nell’art. 2473 c.c. (richiamato dall’art. 2473-bis), nonostante il chiaro raccordo causale di specie a genere che l’unanime dottrina commercialistica rinviene tra l’art. 2466 e l’art. 2473-bis.
Proprio il rapporto di “specie a genere” che raccorda causalmente l’art. 2466 con l’art. 2473-bis, in considerazione del necessario paradigma di omogeneità che deve correlare la combinazione “specie – genere”, consente di concludere che con espressa previsione statutaria anche la quota del socio inadempiente “in genere” possa essere compressa ad un diritto economico solo commisurato a valori di bilancio, con esclusione dei plusvalori latenti.