Amministrazione e bilancio

07 Gennaio 2022

Conflitto di interessi di amministratori nelle società di capitali

È stato sancito che il Giudice non può sindacare il merito delle scelte imprenditoriali fatte dagli amministratori, salvo che queste risultino manifestamente avventate ed imprudenti, secondo una valutazione ex ante.

L’art. 2391 c.c., dopo la sua introduzione, è stato oggetto di un’importante modifica nel 2003, con la riforma societaria. Diversamente da quanto previsto in precedenza, la norma non impone più un obbligo di astensione, potendo l’amministratore partecipare alla delibera consiliare, alla condizione che egli abbia informato l’intero organo gestorio e l’organo di controllo della sussistenza di un proprio interesse personale. Si evidenzia che, se da un lato è venuto meno, in linea generale, l’obbligo di astensione del comune amministratore, esso permane, invece, a carico dell’amministratore delegato, in relazione al compimento dell’operazione rientrante nelle sue funzioni, che deve pertanto essere rimesso alla decisione dell’organo collegiale.

Per quanto concerne la figura dell’amministratore unico, l’art. 2391 c.c. gli impone il dovere di informare del proprio interesse, oltre il collegio sindacale, in via preventiva, affinché quest’ultimo possa assumere le iniziative di sua competenza, anche alla prima assemblea utile. Tale previsione da parte del legislatore, di un certo margine di tempo, consente ai soci di riflettere sull’opportunità di procedere alla revoca dell’amministratore medesimo, oppure, eventualmente, di promuovere l’azione di responsabilità nei suoi confronti o, ancora, alla presentazione della denuncia delle gravi irregolarità al tribunale, secondo l’art. 2409 c.c.

Con l’ordinanza 16.12.2020, n. 28718 la Cassazione Civile, Sez. I, ha sancito che: “tra i doveri imposti dalla legge cui gli amministratori devono adempiere sussiste altresì l’obbligo per ogni amministratore di dare notizia, agli altri amministratori ed al collegio sindacale, di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l’origine e la portata. Se poi si tratta di un amministratore delegato, egli deve astenersi dal compiere l’operazione, investendo della stessa l’organo collegiale. In questi casi, la deliberazione del consiglio di amministrazione deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società dell’operazione”. Il caso trattato dagli Ermellini riguarda un ex amministratore di una Spa che veniva citato in giudizio dalla società, richiedendo la condanna del medesimo al pagamento di un importo consistente, tenuto conto degli inadempimenti ai doveri di amministratore, nel periodo in cui egli aveva ricoperto la carica di Presidente del cda ed amministratore delegato.

In primo grado, risultava vittoriosa la società istante; l’amministratore delegato ha fatto ricorso in Corte d’Appello, che ha ribaltato quanto affermato in primo grado, da parte del Tribunale di Monza; la Corte ha ritenuto che non fosse ascrivibile all’appellante alcun comportamento inadempiente, considerando che le condotte poste in essere rientrassero nei suoi poteri gestionali e non fossero perciò sindacabili.

Secondo il giudizio di secondo grado, anche laddove le scelte dell’amministratore si fossero successivamente rilevate inopportune, nessuna responsabilità poteva essergli attribuita, poiché la relativa valutazione sarebbe rientrata nell’ambito della sua discrezionalità imprenditoriale.

La Cassazione ha sancito che gli amministratori non possono “essere ritenuti responsabili per i rischi che l’impresa normalmente corre durante la sua vita”, non dovendo essi rispondere per il risultato negativo dell’attività sociale, “con conseguente insindacabilità delle scelte gestionali”. Ciò, salvo che esse “se valutate ex ante dovessero risultare manifestamente avventate e imprudenti”. La giurisprudenza è conforme nell’escludere che all’amministratore possa essere imputato, a titolo di responsabilità ex art. 2392 c.c., di aver compiuto scelte inopportune, dal punto di vista economico, in quanto tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale, rilevando, al più, come giusta causa di revoca dell’amministratore, ma non come fonte di responsabilità, nei confronti della società. Una pronuncia di rilevante importanza, da tenere sott’occhio, per una consulenza societaria da prestare alle società clienti di studio.

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