Lettera del direttore · 

18 Luglio 2025

Imprevisti

Una decina di anni fa mi ero ispirato, per un mio editoriale, a un libro del 2016 di Alec Ross, “futurologo”, allora consigliere di Barak Obama, dal titolo “Il nostro futuro. Come affrontare il mondo dei prossimi vent’anni”. Raccontava di un mondo in piena accelerazione, grazie ai Big Data, e prevedeva scenari sulla base delle dinamiche più innovative, scenari positivi, aperti a grandi opportunità per tutti.

Riprendendolo in mano in questi giorni sorridevo ripercorrendo quelle pagine che, a distanza non di venti, ma di soli dieci anni, appaiono scritte con un ottimismo sì, razionale, ma che non aveva messo in conto la velocità accelerata ed esponenziale dei cambiamenti.

Alcune previsioni relative alla sostituzione del lavoro umano con l’automazione, la scomparsa di lavori e professioni e la comparsa di altre, i cambiamenti in agricoltura e nell’industria si sono in parte verificati, è vero, ma erano proiezioni di un esistente in divenire. Ancora in clima di globalizzazione, di orizzonti ampi, è venuta a mancare la verifica della concentrazione dei poteri, soprattutto nelle industrie a tecnologia più avanzata e nella finanza.

Certo, non si poteva prevedere il ritorno a guerre di conquista o il depotenziamento delle regole comuni, del diritto internazionale. Forse non era nemmeno prevedibile l’implosione della globalizzazione e l’adozione dei dazi come arma economica (e politica).

Era difficile prevedere un ritorno di un mondo autarchico in presenza dello sviluppo delle comunicazioni, di Internet, della massima condivisione delle notizie in tempo reale da tutte le parti del globo.

Mi immagino Alec Ross, così come molti scrittori che si cimentano con previsioni sul futuro, leggere i giornali e andare a confrontare i propri scritti se, in qualche pagina, corrispondono poi con la realtà accaduta o che si prospetta, o se gli imprevisti tendono a dominare la vita e il futuro delle persone.

Non credo che siano tempi per scrivere qualcosa di serio sul futuro. Possiamo auspicarne qualche tratto, alimentando la speranza nella ragionevolezza, ma fare previsioni, anche in economia, mi sembra sempre più azzardato.

C’è una radicalità in ciò che sta succedendo che a volte mi spaventa. In pochissimo tempo un imprenditore di chip per l’Intelligenza Artificiale, negli Stati Uniti, ha portato la sua azienda a essere la prima, in capitalizzazione, a Wall Street. Ha surclassato aziende a cui ormai eravamo abituati: telefonini, software, motori di ricerca, auto elettriche. In un paio di anni Nvidia ha visto raggiungere la sua valutazione a quasi 4.000 miliardi di dollari, quasi il doppio del reddito ogni anno prodotto dall’Italia.

La cosa che mi preoccupa è che alcune aziende tecnologicamente avanzate sfruttano le sacrosante leggi della concorrenza e del capitalismo e, appena arrivano a occupare una posizione predominante sul mercato, le abbandonano, cannibalizzano le start up che potrebbero entrare in concorrenza, per conquistare una posizione di monopolio. Rinnegando alla fine le regole che hanno permesso loro di emergere.

Che anche in passato si siano prodotte dinamiche simili è confermato da molti casi, ma con una simile accelerazione e tra l’ammirazione generale, a dispetto delle, ormai fragili, regole che governano il mercato, era difficile prevederlo.

Allora sostituiamo le previsioni con le speranze riportando ciò che Ross dice in chiusura del libro: “L’obbligo per chi ha posizioni di potere e di privilegio è formulare politiche in grado di estendere a quanti più individui possibili le opportunità che verranno dalle industrie del futuro”.

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