Debitore d’imposta Iva: analisi di alcune fattispecie particolari 

In attesa di conoscere quale sarà la versione definitiva del “Testo Unico Iva” in attuazione della L. 111/2023, leggasi “delega del governo per la riforma fiscale”, posto in consultazione con comunicato stampa del 13.03.2024, con il presente contributo si vuole analizzare la figura del debitore d’imposta Iva, nei rapporti con operatori non residenti nel territorio dello Stato (Business-to-Business o B2B) e le diverse eccezioni che nel tempo, tra prassi e interpelli, si sono succedute per stabilire qual è la figura del “vero” soggetto passivo sottoposto al cosiddetto “reverse charge o inversione contabile”.

Innanzitutto, si deve partire analizzando l’art. 17 D.P.R. 633/1972, nelle connotazioni dei suoi commi che vanno dall’1 al 9. Si precisa altresì che il “debitore d’imposta” è il soggetto in capo al quale sorge il debito Iva e che, conseguentemente, deve porre in essere tutti gli adempimenti del caso, fatturazione ecc.; l’art. 17, c. 1 D.P.R. 633/1972 enuclea, senza alcuna distinzione fra soggetti “stabiliti”, “non residenti”, “residenti” e “stabili organizzazioni” quanto di seguito: “L’imposta è dovuta dai soggetti che effettuano le cessioni di beni e le prestazioni di servizi imponibili, i quali devono versarla all’Erario, cumulativamente per tutte le operazioni effettuate e al netto della detrazione prevista nell’art. 19, nei modi e nei termini stabiliti nel titolo secondo”.

Per cui, anche se indirettamente, si evince che i debitori d’imposta per le operazioni territorialmente rilevanti in Italia (ai sensi degli artt. da 7 a 7-octies D.P.R. 633/1972) non sono soltanto i soggetti passivi residenti, ma anche quello “non residente” e le “stabili organizzazioni” sempre di soggetti non residenti che effettuano operazioni imponibili Iva.

Testo Unico IVA

Manuale per riepilogare la normativa IVA: il D.P.R. 633/1972, la disciplina per le operazioni intracomunitarie, i regimi Iva speciali, lo scontrino e la ricevuta fiscale, DDT e fattura elettronica.

Ma, accanto alla figura generica di cui al comma 1, nei rapporti internazionali il debitore d’imposta (per motivi di pura semplificazione) si rinviene nel soggetto passivo stabilito in Italia ai sensi del successivo comma 2 dell’art. 17. Infatti, in tale situazione il cosiddetto meccanismo della rivalsa Iva viene “traslato” nei confronti dei cessionari/committenti attraverso il “reverse charge esterno” (o semplificativo).

Vi è poi una particolare ipotesi per nulla scontata che si rinviene nella risposta all’interpello n. 582/2021, in cui a precisa domanda dell’interpellante rappresentante fiscale nella UE di una società Svizzera che opera in regime del margine (mercato delle opere d’arte), l’Agenzia osserva che, in tale situazione, il reverse charge (art. 17, c. 2 D.P.R. 633/1972) non può applicarsi per le cessioni di beni aventi a oggetto il regime del margine ai sensi del D.L. 41/1995, in quanto il cessionario non è in grado di determinare la base imponibile; pertanto, l’imposta è determinata e assolta dal non residente (si ricorda al tal fine per completezza che, ai sensi dell’art. 37, c. 2, del citato Decreto, infatti, non sono considerate operazioni intracomunitarie, bensì operazioni interne le cessioni effettuate da un cedente che, nel suo Stato UE di residenza, le assoggetta al regime del margine).

Ai fini del cosiddetto “esterometro” in un incontro con la stampa specializzata (2023) gli acquisti di beni in regime del margine sono (se superiori a 5.000 euro) da inviare allo SDI con tipo documento TD19 e codice natura N2.2.

Altra eccezione ai sensi dell’art. 17, c. 3 è quando il cessionario/committente dell’operazione è un altro soggetto non residente ovvero consumatore finale (non soggetto passivo Iva): in tale altra eccezione sarà l’operatore non residente a doversi identificare in Italia o tramite rappresentante fiscale o identificazione diretta e, di conseguenza, adempiere agli obblighi Iva nazionali.

Altra situazione in cui il reverse charge esterno semplificato con controparte cedente è un non residente è il caso in cui via sia in Italia una stabile organizzazione di quest’ultimo:

  • se l’operazione è resa verso il soggetto residente ITA ma la stabile organizzazione “non partecipa fattivamente” all’operazione, il debitore sarà ITA attraverso l’inversione contabile ex art. 17, c. 2;
  • se, viceversa, la stabile organizzazione del non residente “partecipa” all’operazione (si ricorda che, agli effetti Iva, la stabile organizzazione ai sensi della circolare 29.07.2011, n. 37/E è tale se utilizza proprie risorse “tecniche ed umane” in Italia per l’esecuzione dell’operazione sottostante), il debitore d’imposta sarà la stabile organizzazione che utilizzerà la propria partita Iva ricevuta in Italia.

Ultimo aspetto, ma non di secondaria importanza (vedasi soprattutto la risoluzione 28.03.2012, n. 28/E) è quando ci si trova di fronte al reverse charge interno ovvero “antifrode” ai sensi dei commi dal 5 al 6 e ai sensi dell’art. 74, cc. 7-8 D.P.R. 633/1972.

In tale situazione, ove il meccanismo dell’inversione contabile ha per sua natura funzione “antifrode”, per così dire, quest’ultimo “vince” sul reverse charge semplificato esterno: contrariamente a quanto si poteva pensare (art. 17, c. 3, D.P.R. 633/1972) e secondo questa interpretazione non è il cedente non residente a doversi identificare in Italia, ma il cessionario/committente sempre non residente, il quale, pertanto, dovrà munirsi o di rappresentante fiscale o identificarsi direttamente e assolvere l’operazione tramite integrazione o autofattura.

Ci viene sostanzialmente enucleato che per applicarsi il reverse charge interno è sufficiente che il cessionario sia soggetto passivo e che operi come tale.

Documento CNDCEC su impatto degli ESG in riferimento alle PMI

Come è noto, l’acronimo ESG designa tre termini, Environmental, Social e Governance: le tre dimensioni fondamentali per verificare, misurare, controllare e sostenere l’impegno in termini di sostenibilità di un’impresa. La consapevolezza dei limiti legati all’ambiente, la gestione delle risorse e la sostenibilità rappresentano le grandi tematiche che la società umana in generale e le imprese in particolare dovranno affrontare avendo definitivamente compreso che non è più possibile pensare di proseguire verso una crescita infinita quando il nostro pianeta è costituito da risorse naturali non rinnovabili.

Nell’ambito di questa s’inquadra lo studio licenziato dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili “Sostenibilità, governance e finanza dell’impresa – impatto degli esg con particolare riferimento alle pmi” nella cui presentazione, per il Presidente Elbano de Nuccio e il Consigliere con delega allo sviluppo sostenibile Gian Luca Galletti, la sostenibilità rappresenta “un obiettivo che può essere raggiunto solo tramite un comportamento collettivo che trascenda il momento storico e politico attuale e, attraverso un vero e proprio balzo concettuale, si radichi in una valutazione etica, attraverso cui consolidare sia la direzione sia l’impegno delle nostre azioni”.

Il corposo documento del CNDCEC mira “a fornire alcuni spunti per il salto concettuale e culturale” che viene richiesto ai professionisti ed ai loro clienti, “cercando di fornire alcuni driver che devono guidare il mutamento e la transizione verso la sostenibilità, comprendendone a fondo le origini, lo sviluppo, il contesto normativo e di self-regulation, nonché le relative best practice che stanno prepotentemente emergendo”.

Verbali ispettivi validi come prove nel contenzioso lavorativo

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato il tema dell’utilizzo dei verbali ispettivi come prove nei contenziosi relativi ai rapporti di lavoro. La decisione si inserisce in un contesto di crescente complessità normativa e interpretativa, dove la qualificazione dei rapporti lavorativi assume un ruolo centrale nella tutela dei diritti dei lavoratori e nella regolamentazione delle attività d’impresa.

Caso e percorso giudiziario

Al centro della controversia si trova un’azienda, destinataria di un’ordinanza ingiunzione emessa a seguito di presunte violazioni delle norme sul lavoro. L’azienda contestava la natura subordinata del rapporto con un proprio collaboratore, sostenendo invece la sua occasionalità. Il lavoratore, dal canto suo, rivendicava la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato.

Il caso ha attraversato tre gradi di giudizio, con esiti contrastanti. Il Tribunale di primo grado aveva inizialmente accolto le ragioni dell’azienda, ritenendo insufficienti le prove addotte per dimostrare la subordinazione.

Tuttavia, la Corte d’Appello ha successivamente ribaltato la decisione, valorizzando i verbali ispettivi e le dichiarazioni testimoniali acquisite nel corso del procedimento. Secondo i giudici d’appello, tali elementi probatori erano coerenti e convergenti nel suffragare la tesi di un rapporto di lavoro continuativo e non saltuario.

Non persuasa dalla pronuncia di secondo grado, l’azienda ha proposto ricorso in Cassazione, censurando in particolare l’utilizzabilità e la rilevanza dei verbali ispettivi. La difesa dell’azienda insisteva sull’inosservanza delle norme procedurali nella formazione e nella produzione in giudizio di tali atti.

Decisione della Suprema Corte

Con una sentenza destinata a costituire un importante precedente, la Corte di Cassazione ha confermato la decisione d’appello, enunciando principi di diritto di notevole rilievo pratico e sistematico.

In primo luogo, i giudici di legittimità hanno ribadito l’ammissibilità dei verbali ispettivi come mezzi di prova nel processo del lavoro, anche qualora siano prodotti tardivamente dall’amministrazione. La Corte ha chiarito che la mancata osservanza dei termini di deposito non determina automaticamente la decadenza o l’inutilizzabilità delle risultanze ispettive.

Inoltre, la Cassazione ha sottolineato la necessità di una valutazione complessiva delle evidenze acquisite, al fine di accertare la reale natura dei rapporti di lavoro. I verbali ispettivi, pur rappresentando elementi di prova significativi, devono essere apprezzati nel contesto di tutte le emergenze istruttorie, incluse le dichiarazioni testimoniali e gli eventuali documenti prodotti dalle parti.

L’importanza della sentenza per il diritto del lavoro

La decisione si segnala per l’adozione di un approccio sostanzialistico, volto a privilegiare la reale natura dei rapporti di lavoro, al di là delle qualificazioni formali adottate dalle parti.

In particolare, la Corte ha riconosciuto la piena valenza probatoria dei verbali ispettivi, anche quando prodotti tardivamente dall’amministrazione. Questa posizione mira a garantire che la verità sostanziale possa emergere nel processo, senza che mere irregolarità procedurali possano impedire l’accertamento dei fatti.

Allo stesso tempo, la Cassazione ha sottolineato l’importanza di una valutazione globale delle risultanze processuali. Ciò significa che il giudice del lavoro deve considerare attentamente tutti gli elementi di prova acquisiti, dalle dichiarazioni dei testimoni ai documenti prodotti, per ricostruire in modo accurato la realtà dei rapporti di lavoro.

Questa indicazione riflette la consapevolezza della complessità degli accertamenti richiesti in materia di lavoro, dove le dinamiche interpersonali e le modalità concrete di svolgimento delle prestazioni assumono un ruolo centrale.

La sentenza, quindi, si pone come un importante tassello nella costruzione di un sistema di tutele effettive per i lavoratori. Riconoscendo la rilevanza dei verbali ispettivi e promuovendo una valutazione complessiva delle prove, la Corte mira a contrastare pratiche elusive o simulatorie che possono pregiudicare i diritti e le garanzie previsti dalla legge.

La mancata indicazione di credito d’imposta è irretrattabile

La CTR accoglieva la tesi erariale, a seguito della rilevazione che la contribuente non aveva rispettato il disposto di cui all’art. 1, c. 327, lett. c) n. 1) L. 24.12.2007, n. 244 (Finanziaria del 2008), il quale imponeva, al fine di godere del credito d’imposta, che quest’ultimo fosse indicato, a pena di decadenza, sia nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di riconoscimento del contributo sia in quella relativa al periodo in cui il credito veniva utilizzato.

La Corte di Cassazione, nella sentenza in esame, procede a inventariare il corredo normativo di riferimento. Trattasi di credito di imposta previsto dall’art. 1, c. 327, lett. c) n. 1 L. 24.12.2007, n. 244 in misura pari al 30% delle spese sostenute per specifici investimenti nel settore cinematografico.
L’art. 4, c. 3 D.M. 21.01.2010, attuativo del menzionato art. 1, c. 327, lett. c), n. 1, cit. testualmente prevedeva: “I crediti d’imposta spettanti sono indicati, a pena di decadenza, sia nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di riconoscimento del credito, sia nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta in cui i crediti sono utilizzati, evidenziando distintamente l’importo maturato da quello utilizzato”.

Dal rappresentato quadro normativo deriva la previsione espressa della comminatoria della sanzione di decadenza dall’incentivo fiscale in caso di mancata indicazione del credito di imposta nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo nel corso del quale il beneficio è concesso.

Incentivi nel commercio di vicinato e nell’intrattenimento in Emilia

La traiettoria di sviluppo delle imprese passa attraverso la trasformazione digitale e green, che sempre più spesso è oggetto di incentivo. Tuttavia, spesso la dimensione degli investimenti o la complessità delle procedure da seguire sono scoraggianti per le imprese più piccole e meno tecnologiche e strutturate. Il tessuto economico dell’Italia, però, conta un universo di piccoli operatori economici, che rischia di rimanere indietro in questa nuova rivoluzione industriale.

È proprio con un occhio a queste realtà che è stato pubblicato il bando per il sostegno all’innovazione e agli investimenti delle imprese operanti nei settori del commercio, di vicinato e ambulante, del pubblico intrattenimento e dei pubblici esercizi, anche polifunzionali.

La misura sostiene due tipologie di interventi:

  1. finalizzati all’allestimento, alla riqualificazione, alla ristrutturazione e ampliamento delle unità locali dove sono svolte le attività;
  2. rivolti all’innovazione gestionale, al miglioramento e/o ampliamento, anche tramite l’introduzione delle più avanzate tecnologie digitali e informatiche, dei sistemi di vendita e dei servizi offerti.

Obbligo partita Iva per gli insegnanti che danno ripetizioni private

Dopo l’assunzione in una scuola pubblica, il docente part-time che impartisce con regolarità lezioni private e ripetizioni, deve mantenere la partita Iva: l’Agenzia delle Entrate, nella risposta ad interpello 8.03.2024, n. 63, chiarisce che, in questo caso, l’insegnante, anche se dipendente pubblico, deve avere la propria partita Iva poiché svolge un’attività economica rilevante ai fini dell’imposta.

Il quesito riguardava il caso particolare di un docente che impartiva con regolarità lezioni di lingua straniera (con partita Iva) e che intendeva continuare tale attività, anche dopo aver vinto una cattedra part-time in una scuola statale. Nello specifico, si chiedeva se fosse possibile chiudere la partita Iva e beneficiare del regime agevolativo speciale previsto dalla legge di Bilancio 2019 (art. 1, cc. 13-16 L. 30.12.2018 n. 145), cioè l’applicazione di un’imposta sostitutiva del 15% sui compensi provenienti dallo svolgimento di lezioni private da parte di docenti titolari di cattedra.

Nello specifico, la legge di Bilancio 2019 a cui si fa riferimento, riconosce la possibilità di svolgere lezioni private da parte di docenti titolari di cattedra, sottoponendo tale reddito alla tassazione sostitutiva del 15%, senza alcun altro adempimento. Secondo tale interpretazione, non risulterebbe dunque obbligatoria l’apertura di una partita Iva e nemmeno il versamento di contributi previdenziali.

Prestazioni sportive di arbitri, giudici sportivi e direttori di gara

Nell’alveo dei prestatori sportivi, l’art. 25, c. 6-bis D.Lgs. 36/2021 qualifica separatamente le prestazioni rese da quei soggetti preposti a garantire il regolare svolgimento delle competizioni sportive, ovvero che erogano una prestazione avente a oggetto il rispetto delle regole o la rilevazione di tempi e distanze.

Tecnicamente, la prestazione del direttore o giudice di gara viene univocamente qualificata sia nel settore dilettantistico che professionistico, salvo poi lavorativamente distinguersi nell’uno e nell’altro ambito in quanto:

  • nel settore dilettantistico può integrare sia una prestazione lavorativa ex art. 25, che una prestazione liberale ex art. 29;
  • nel settore professionistico costituisce esclusivamente una prestazione lavorativa.

Direttore di gara nel settore dilettantistico – Perché al direttore di gara si renda applicabile la disciplina ex D.Lgs. 36/2021 è anzitutto necessario che il soggetto abbia propedeuticamente formalizzato l’adesione al sodalizio sportivo:

  • il direttore di gara o altra figura assimilata deve essere tesserato con la Federazione sportiva nazionale o della Disciplina sportiva associata o dell’Ente di promozione sportiva competente, ai sensi dell’art. 15 D.Lgs. 36/2021;

Fiscalità dei rimborsi per doppia contribuzione (Cnpadc)

L’Agenzia delle Entrate ha chiarito, nella risposta all’interpello 4.04.2024, n. 86, le modalità di tassazione dei rimborsi derivanti da periodi di doppia contribuzione a 2 diversi Enti previdenziali: l’Inps per l’attività di lavoro dipendente e la Cnpadc per l’attività professionale di dottore commercialista, poi ricongiunti in unico Ente. Nel caso esaminato:

  • un dottore commercialista è stato assunto come lavoratore dipendente, chiudendo poi la partita Iva e cessando l’iscrizione alla Cnpadc;
  • dopo vari anni ha cessato l’attività di lavoro dipendente e ha ripreso l’attività professionale di dottore commercialista, con conseguente apertura di una nuova partita Iva dal 1.01 dell’anno delle dimissioni e reiscrizione alla Cnpadc, alla quale ha richiesto di ricongiungere i periodi di contribuzione in base alla L. 45/1990;
  • la Cnpadc ha restituito nel 2023 al professionista un importo corrispondente ai contributi relativi al periodo pluriennale in cui lo stesso è risultato iscritto sia all’Inps, sia alla Cnpadc, comprensivo di interessi del 4,50% annuo, in quanto non utili al ricongiungimento dei periodi di contribuzione;
  • il sostituto d’imposta non ha fatto concorrere al reddito di lavoro dipendente i contributi a carico del lavoratore.

Nuovo modello per riversamento del credito per ricerca e sviluppo

L’art. 5, cc. 7-12 D.L. 146/2021 ha istituito la procedura di riversamento spontaneo con la quale possono essere regolarizzati, senza applicazione di sanzioni e interessi, gli indebiti utilizzi in compensazione del credito di imposta per investimenti in attività di ricerca e sviluppo. La procedura è riservata ai soggetti che intendono riversare il credito maturato a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31.12.2014 e fino al periodo d’imposta in corso al 31.12.2019 e utilizzato indebitamente in compensazione fino alla data del 22.10.2021.

Il D.L. 145/2023 ha prorogato i termini per avvalersi della procedura di regolarizzazione, stabilendo la nuova scadenza del 30.07.2024 per la presentazione dell’istanza e del 16.12.2024 per il relativo versamento. Si ricorda che il versamento può essere effettuato in unica soluzione entro la predetta data oppure in 3 rate, di cui la prima sempre entro il medesimo termine del 16.12.2024 e le rate successive entro il 16.12.2025 e 16.12.2026.

Chi avesse già presentato il modello di accesso alla procedura e non avesse ancora effettuato il versamento può revocare integralmente l’istanza entro il 30.06.2024 e presentare, eventualmente, una nuova istanza entro il 30.06.2024.

Imprenditoria giovanile e femminile in agricoltura

Le agevolazioni legate all’avvio di nuove imprese agricole giovanili e femminili sono disciplinate dal D.Lgs. 21.04.2000, n. 185. Con il D.M. 23.02.2024, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 12.04.2024, n. 86, il Ministero delle politiche agricole ha aggiornato il D.Lgs. 185/2000 al nuovo regolamento (UE) 2022/2472 della Commissione del 14.02.2022 in materia di aiuti di Stato in materia agricola.

La misura “Impresa più” gestita da Ismea è dedicata ai giovani e alle donne che intendono subentrare nella conduzione di un’azienda agricola o che sono già attivi in agricoltura da almeno 2 anni e intendono ampliare la propria impresa, migliorandone la competitività con un piano di investimenti fino ad 1,5 milioni di euro. Il decreto in commento potrebbe rappresentare l’occasione per la riapertura della misura, chiusa per esaurimento fondi nel corso del 2022.

Requisiti dei soggetti beneficiari – Le agevolazioni in commento sono rivolte alle micro, piccole e medie imprese agricole organizzate sotto forma di impresa individuale o di società, composte da giovani di età compresa tra i 18 e i 41 anni non compiuti, ovvero da donne, con i seguenti requisiti:

  1. subentro: imprese agricole costituite da non più di 6 mesi con sede operativa sul territorio nazionale, con azienda cedente attiva da almeno 2 anni, economicamente e finanziariamente sana; in caso di società la maggioranza delle quote di partecipazione in capo ai giovani ovvero donne, ove non presente, deve sussistere alla data di ammissione alle agevolazioni;

C.F e P.IVA: 01392340202 · Reg.Imp. di Mantova: n. 01392340202 · Capitale sociale € 210.400 i.v. · Codice destinatario: M5UXCR1

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