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19 Aprile 2025

La responsabilità sociale riparte … da Epicuro

Fino ad Aristotele, la filosofia si era data come proposito fondante la conoscenza del reale, scorgendo in essa il fine supremo del pensiero e della vita stessa.

A dispetto dei punti di vista discordanti delle varie correnti di pensiero (Epicureismo, Scetticismo, Stoicismo), esiste nel fine perseguito un delineato denominatore comune: la tranquillità dello spirito come garanzia di felicità per l’essere umano. Per l’Epicureismo in particolare, il piacere è considerato al tempo stesso il principio e la fine della vita felice, rappresentando traguardo dell’agire umano e stato naturale. Secondo il filosofo Epicureo (341-270 A.C.), infatti, il piacere, bene primo, è connaturato con la natura umana, rappresentando da solo quella “felice sensazione di pienezza” che l’uomo prova se non turbato da piaceri insoddisfatti.

Tutto ciò che l’essere umano deve fare, dunque, è cercare di mantenere lo stato iniziale eliminando con fermezza le cause che disperdono la pienezza naturale dell’essere. La sua eventuale infelicità deriva dal fatto che lo stesso individuo, temendo cose che non devono essere temute (il dolore, la morte, l’incerto) e desiderando cose che non devono essere desiderate (il superfluo ed il fuorviante) finisce col privarsi del piacere “autentico”, rappresentato dalla stessa esistenza individuale e sociale.

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