Lettera del direttore ·
20 Giugno 2025
Le recenti turbolenze americane hanno riportato in luce il problema della ricchezza, di come essa si costruisca nei tempi attuali, che ruolo sociale e politico assume, come incide sulla disuguaglianza. Tema che si perde nell’antichità, nella preoccupazione che la ricchezza, sempre associata al potere, possa nuocere alla democrazia.
Nicola d’Oresme, nel commentare, nella seconda metà del XIV secolo, la Politica di Aristotele, si occupò di quelli che «superano a tal punto gli altri per quanto riguarda il loro potere politico, che è ragionevole pensare che siano tra di loro come Dio è tra gli uomini […I. Le città governate democraticamente dovrebbero allontanare queste persone, cioè mandarle in esilio o bandirle, dal momento che tali città cercano di perseguire l’uguaglianza di tutti».
La citazione è ispirata dal libro di Guido Alfani, docente di storia economica alla Bocconi, Come déi tra gli uomini. Una storia dei ricchi in Occidente, Laterza, Bari, 2024. In questo libro l’autore si interroga su come le civiltà occidentali appaiano ossessionate dai ricchi, come siano lusingati e ammirati e, allo stesso tempo, biasimati e disprezzati.
Riprendendo un ragionamento storico, le cose non sembrano essere andate sempre così. Nel Medioevo, per esempio, l’eccessiva accumulazione delle ricchezze era considerata peccaminosa, tant’è che Dante colloca avari e prodighi nel quarto cerchio dell’Inferno. Il modello era, piuttosto, San Francesco e la sua rinuncia.
Nei secoli successivi la ricchezza fu progressivamente accettata, ma al ricco era chiesto di essere utile alla città, come fece Cosimo de’ Medici che intervenne economicamente a favore di Firenze in un momento di crisi (1434) e del mercante Francesco Datini, che lasciò gran parte del suo patrimonio a opere di carità. Si poteva/doveva «convertire la ricchezza privata in pubblico beneficio».
Ai nostri giorni l’immagine e il ruolo della ricchezza sembrano essere notevolmente cambiati, distinguendo, per iniziare, tra ricchezza tramandata e ricchezza costruita con merito, qualsiasi merito. Uno studio della Banca d’Italia ha messo in luce un progressivo passaggio della ricchezza tra famiglie censite nel 1427 a Firenze e i loro eredi nel 2011.
Questa perpetuazione di privilegi non è poi così popolare se anche Churchill, che temeva la competizione ideologica del modello sovietico, sosteneva che “Per difendere il capitalismo dobbiamo liberarci dei ricchi oziosi tassando eredità e patrimoni”.
Un’altra considerazione sociale ha invece il ricco che ha saputo costruirsi dal nulla, con le nuove tecnologie, con imprese di successo o con talento: vedi, a volte smisuratamente, i calciatori, gli sportivi o gli artisti. A segnare la differenza tra le due tipologie e con il passato, dice Alfani, “è il fatto che nonostante i loro patrimoni siano stati sostanzialmente risparmiati dalla Grande recessione del 2008 e dalla pandemia di Covid-19, i ricchi e i super-ricchi si sono mostrati riluttanti a contribuire al bene comune, opponendosi persino a misure d’urgenza. La storia suggerisce che questo è uno sviluppo preoccupante – per i ricchi e per tutti gli altri”.
La crisi delle fondazioni americane che sostenevano istruzione, sanità, welfare è un segnale allarmante. Che ci si debba preoccupare per i ricchi è una bella novità. Di certo ci si deve preoccupare per quello che i ricchi stanno facendo, non accontentandosi di essere già straricchi, ma facendo a gara per chi lo diventa di più, con la conseguenza di comprimere il ceto medio, favorire la disuguaglianza e magari innescare situazioni problematiche, oltre quelle che già esistono. Siccome anche gli dèi, prima o poi, cadono, chi ci salverà dai ricchi?