L’appartenenza all’ordinamento sportivo anche e soprattutto dell’ente sportivo, giacché si riflette anche su quella del prestatore, ha una notevole importanza nella gestione delle prestazioni sportive in quanto sancisce il preliminare requisito per l’applicabilità della relativa disciplina ex D.Lgs. 36/2021.
Per gli enti sportivi professionistici, l’applicabilità della disciplina ex D.Lgs. 36/2021 alle prestazioni sportive si riferisce, oltre a quella di cui all’art. 26 che sancisce specifiche caratteristiche del rapporto di lavoro subordinato sportivo in deroga rispetto a quello ordinario, soprattutto a quella di cui all’art. 27 sulla presunzione naturale della subordinazione per gli atleti del settore professionistico e gli indici presuntivi del lavoro autonomo. In particolare, l’art. 27 D.Lgs. 36/2021 sancisce che nel settore professionistico la prestazione degli atleti come attività principale, ovvero prevalente, e continuativa, si presume normalmente oggetto di contratto di lavoro subordinato, diversamente costituisce oggetto di contratto di lavoro autonomo quando ricorra almeno uno dei seguenti requisiti:
– l’attività sia svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo;
– lo sportivo non sia contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione o allenamento;
– la prestazione che è oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non superi 8 ore settimanali oppure 5 giorni ogni mese ovvero 30 giorni ogni anno.
Fatto questo breve ma necessario passaggio, ciò che sancisce l’appartenenza all’ordinamento sportivo professionistico, quindi l’applicabilità della suddetta disciplina alle prestazioni di lavoro, è l’affiliazione dell’ente alla Federazione Sportiva Nazionale (FSN) o alla Federazione Sportiva Paralimpica (FSP).
Perché l’ente professionistico possa richiedere e ottenere l’affiliazione, il primo passaggio è che questo sia formalmente costituito ai sensi dell’art. 13 D.Lgs. 36/2021, ovvero che:
1) si sia costituito nella forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata;
2) abbia obbligatoriamente nominato il collegio sindacale;
3) nell’atto costitutivo abbia previsto che la società possa svolgere esclusivamente attività sportive e attività a esse connesse o strumentali;
4) nell’atto costitutivo abbia previsto che una quota parte degli utili, non inferiore al 10%, sia destinata a scuole giovanili di addestramento e formazione tecnico-sportiva;
5) laddove previsto, l’atto costitutivo disciplini speciali condizioni l’alienazione delle azioni o delle quote;
6) laddove previsto, l’atto costitutivo regolamenti la costituzione di un organo consultivo che provvede, con pareri obbligatori ma non vincolanti, alla tutela degli interessi specifici dei tifosi.
Una volta redatto l’atto costitutivo, perché l’ente professionistico possa essere iscritto nel Registro delle Imprese a norma dell’art. 2330 c.c., deve aver già richiesto e ottenuto l’affiliazione da una o da più FSN o FSP, come espressamente previsto dall’art. 13, c. 4 D.Lgs. 36/2021. Tuttavia, gli effetti derivanti dall’affiliazione restano sospesi fino all’espletamento della procedura di deposito dell’atto costitutivo di cui all’art. 14 D.Lgs. 36/2021, solo successivamente alla quale può dirsi ufficialmente sancita l’appartenenza all’ordinamento professionistico dell’ente.
Il deposito dell’atto costitutivo presso la Federazione Sportiva Nazionale o la Federazione Sportiva Paralimpica alla quale sono affiliate dovrà avvenire entro 30 giorni dall’iscrizione al Registro delle Imprese dell’ente, avendo ulteriormente cura di comunicare alla FSN o FSP, entro 20 giorni dalla deliberazione, ogni avvenuta variazione dello statuto o delle modificazioni concernenti gli amministratori e i revisori dei conti.
Pertanto, per un ente professionistico, l’affiliazione alla FSN o FSP è un atto di fondamentale importanza giacché costituisce sia requisito di procedibilità per l’iscrizione al Registro delle Imprese (formalizzazione civilistica dell’ente) che requisito che ne certifica appartenenza all’ordinamento sportivo (formale sottoposizione alla regolamentazione tecnica e disciplinare della FSN o FSP).
Le parti sociali in agricoltura, storicamente, individuano particolari tipologie di operaio agricolo, in ordine alla fisionomia del rapporto lavorativo e alle caratteristiche del datore di lavoro; alle stesse, si correlano apposite disposizioni di fonte negoziale, le quali impattano direttamente a livello gestionale e operativo.
Più nel dettaglio, il Ccnl Operai agricoli, all’art. 1, nell’individuare l’”Oggetto del contratto”, dispone che, al di là della “ordinaria” conformazione agricola, ossia quella tradizionale, sono florovivaistiche le aziende:
– vivaistiche produttrici di piante olivicole, viticole e da frutto, ornamentali e forestali;
– produttrici di piante ornamentali da serra;
– produttrici di fiori recisi comunque coltivati;
– produttrici di bulbi, sementi di fiori, piante portasemi, talee per fiori e piante ornamentali.
A tale catalogazione si correlano disposizioni ad hoc consegnate dalla fonte negoziale nazionale, di frequente integrate dalla contrattazione collettiva di rango territoriale, che implicano dirette conseguenze e, quindi, una particolare attenzione, nella gestione operativa, contrattuale e adempimentale dei rapporti di lavoro (anche a livello retributivo).
Una trasformazione significativa nell’ambito previdenziale attende i professionisti iscritti alla Cassa di previdenza dei dottori commercialisti. I versamenti contributivi, dopo le innumerevoli richieste degli iscritti negli ultimi anni, potranno essere effettuati mediante il modello F24, aprendo così la possibilità di compensare i contributi dovuti con i crediti fiscali disponibili, compresi quelli maturati attraverso le agevolazioni edilizie e il superbonus. La delibera n. 96/25/DI, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 15.09.2025, n. 214, segna l’inizio di questa nuova fase nella gestione previdenziale della categoria.
Il Consiglio di amministrazione della Cassa aveva approvato questa delibera il 28.05.2025, recependo finalmente anche per i dottori commercialisti una modalità di versamento già consolidata presso altri enti previdenziali professionali. La misura si inserisce nel quadro normativo delineato dal Capo III del D.Lgs. 241/1997, disciplina fondamentale per i versamenti unitari e la compensazione di tributi e contributi. L’operatività del nuovo sistema riguarda non solo i contributi minimi obbligatori, ma si estende anche a quelli integrativi e soggettivi, oltre agli eventuali accessori.
La vera novità sta nella possibilità di gestire la posizione contributiva, utilizzando i crediti d’imposta maturati dal professionista. Gli iscritti potranno infatti compensare i contributi dovuti alla Cassa con i crediti fiscali risultanti dal proprio “cassetto fiscale”, inclusi i rilevanti crediti incassati negli ultimi anni grazie a bonus edilizi e superbonus. Questo consente una gestione più flessibile della liquidità e rappresenta un’importante leva finanziaria a disposizione dei professionisti, offrendo la concreta possibilità di azzerare (o ridurre sensibilmente) l’esborso monetario per la previdenza in presenza di crediti compensabili.
Gli aspetti spesso trascurati riguardano le implicazioni sulla continuità del rapporto previdenziale: l’utilizzo dei crediti fiscali per i versamenti contributivi può infatti facilitare il mantenimento della posizione assicurativa anche in periodi di minore disponibilità di cassa.
Le regole generali della compensazione orizzontale mantengono piena applicabilità: occorre rispettare i limiti previsti per l’utilizzo dei crediti, i controlli preventivi per importi superiori a 5.000 euro, nonché le restrizioni per soggetti con carichi pendenti a ruolo non estinti.
Si consideri, tuttavia, che l’effettiva applicazione pratica della misura rimane subordinata alla pubblicazione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, dei codici tributo specifici e delle relative istruzioni operative. La normativa risulta pertanto efficace dal punto di vista giuridico, ma non ancora esecutiva sul piano operativo.
La novità rappresenta una conquista di primaria importanza per una categoria che, negli ultimi anni, si è trovata a dover “parcheggiare” rilevanti crediti fiscali, spesso derivanti da bonus edilizi, senza poterne monetizzare efficacemente l’utilizzo. Il nuovo meccanismo promette, invece, una maggiore integrazione tra fiscalità e previdenza, risolvendo un “circolo vizioso” spesso denunciato da professionisti e associazioni di categoria.
Il Senato, nella seduta del 10.09.2025, ha approvato definitivamente il disegno di legge n. 1054 per il riconoscimento e la promozione delle zone montane: tra le varie misure previste, non mancano quelle in materia di lavoro. Più in particolare l’art. 26, per contrastare il fenomeno dello spopolamento dei Comuni montani e per favorire l’integrazione economica e sociale della popolazione residente, riconosce alle imprese che promuovono il lavoro agile, quale modalità ordinaria di esecuzione della prestazione lavorativa, uno sgravio contributivo per il periodo 2026-2030.
Tale incentivo sarà utilizzabile nei confronti di ciascun lavoratore che:
– sia assunto con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;
– non abbia compiuto il 41° anno di età alla data di entrata in vigore della legge;
– svolga stabilmente la prestazione lavorativa in modalità di lavoro agile in un Comune montano (come individuato da apposito D.P.C.M.) con popolazione inferiore a 5.000 abitanti;
– trasferisca l’abitazione principale e il domicilio stabile da un Comune non montano al medesimo Comune montano.
La Cassazione, con l’ordinanza 8.09.2025, n. 24798, nel rappresentare i presupposti alla base dell’accertamento induttivo, evidenzia come l’art. 39, c. 2, lett. c) D.P.R. 600/1973 preveda che l’Ufficio possa determinare il reddito d’impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti, e di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di cui alla lett. d) del precedente comma quando dal verbale di ispezione redatto ai sensi dell’art. 33 risulta che il contribuente non ha tenuto o ha comunque sottratto all’ispezione una o più delle scritture contabili prescritte dall’art. 14 ovvero quando le scritture medesime non sono disponibili per causa di forza maggiore o sono inficiate da errori così gravi, numerosi e ripetuti da non riassumere alcuna affidabilità probatoria.
Da tali disposizioni discende che, ai sensi dell’art. 39, c. 2, lett. d) D.P.R. 600/1973, la determinazione del reddito di impresa può essere compiuta dall’Amministrazione Finanziaria prescindendo dalle presunzioni dotate dei caratteri della gravità, precisione e concordanza, quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate, ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica.
Con provvedimento 4.08.2025, n. 455 il Garante per la Protezione dei Dati Personali ha espresso parere favorevole all’utilizzo del sistema informatico CEREBRO e la relativa notizia è stata divulgata solo lo scorso 10.09.2025 tramite la newsletter istituzionale. Il sistema CEREBRO ha l’obiettivo di supportare le attività di contrasto alla criminalità col fine di individuare e sottrarre risorse illecitamente acquisite. Sarà a disposizione principalmente della Direzione centrale anticrimine (DAC) della Polizia di Stato e delle Questure.
L’utilizzo è regolamentato da un rigido protocollo: ogni attività investigativa, infatti, prevede l’apertura di un fascicolo digitale d’indagine, riferito al singolo soggetto esaminato, un’autorizzazione ed un’abilitazione specifica. L’identificazione dei soggetti potrà avvenire esclusivamente quando emergano elementi su disponibilità economiche e finanziarie sproporzionate rispetto ai redditi e alle informazioni dichiarate. Il confronto si basa su parametri come i beni posseduti, i movimenti bancari e il tenore di vita accertato/calcolato con riferimento a dati ISTAT. Il sistema opera attraverso 2 funzionalità principali:
– Acquisizione dati: CEREBRO acquisisce dati da fonti istituzionali “esterne” dalla Polizia di Stato, ovvero banche dati e registri pubblici di altri soggetti istituzionali.
Con l’ordinanza 19.08.2025, n. 23526 la Cassazione ha sancito che i lavoratori che soddisfano i requisiti per beneficiare del regime fiscale degli impatriati, come previsto dall’art. 16, c. 1 D.Lgs. 147/2015, hanno diritto al rimborso delle imposte pagate in eccesso, anche in assenza di una richiesta formale al datore di lavoro o di dichiarazione esplicita di imponibile ridotto nella dichiarazione fiscale.
Questa sentenza si inserisce nel filone di decisioni favorevoli ai contribuenti, ribadendo che gli adempimenti richiesti dall’Amministrazione Finanziaria per beneficiare delle agevolazioni fiscali non sono sempre necessari, soprattutto se non espressamente previsti dalla normativa. In questo caso, la questione riguardava il precedente regime degli impatriati (art. 16 D.Lgs. 147/2015), la cui applicazione era ancora valida prima delle modifiche introdotte dal D.L. 34/2019.
Il caso esaminato riguarda un soggetto che si era trasferito in Italia nell’agosto 2017, acquisendo la residenza fiscale italiana nel 2018. In tale anno, il contribuente aveva versato imposte superiori a quelle dovute, ma non aveva richiesto al datore di lavoro di applicare le ritenute in misura ridotta, né aveva indicato il regime agevolato nella dichiarazione dei redditi.
Un trust estero istituito come “grantor trust” e divenuto, per morte del disponente, “non-grantor trust” secondo la normativa statunitense, non è considerato interposto ai fini fiscali italiani se il trustee dispone di effettivi poteri gestori autonomi e non sussiste ingerenza dei beneficiari residenti. Qualora l’atto istitutivo individui nominativamente i beneficiari e stabilisca percentuali di attribuzione predeterminate, il trust è qualificabile come trasparente con imputazione dei redditi ai beneficiari in proporzione alle rispettive quote a partire dal periodo d’imposta in cui il trust assume tale natura. Lo ha precisato l’Agenzia delle Entrate nella risposta all’interpello 15.09.2025, n. 239.
Il caso sottoposto all’Agenzia delle Entrate trae origine da un interpello presentato da persone fisiche residenti fiscalmente in Italia, beneficiari finali dell’84% del fondo di un trust americano (con patrimonio costituito esclusivamente da beni mobiliari e immobiliari situati negli Stati Uniti) istituito in California da un cittadino statunitense (prozio degli istanti), che ne era anche primo trustee e beneficiario, dotato di ampi poteri di revoca e modifica fino al decesso. Alla morte del disponente è stato nominato trustee un soggetto residente negli Stati Uniti, anch’esso beneficiario, che ha avviato le operazioni di liquidazione e distribuzione dei beni secondo il programma negoziale previsto.
Con l’ordinanza 28.08.2025, n. 24135 la Cassazione ha chiarito che il socio che ha ceduto le proprie quote prima della cancellazione della società dal Registro delle Imprese non è responsabile dei debiti fiscali che la società ha contratto nel periodo in cui egli era ancora socio.
Nel caso trattato dai giudici della Suprema Corte, uno dei soci di una Srl aveva ceduto le proprie quote all’altro socio, uscendo pertanto dalla compagine sociale e successivamente la società era stata cancellata dal Registro delle Imprese. Una volta estinta, la società e i soci ricevevano un avviso di accertamento con il quale venivano contestati maggiori ricavi e, conseguentemente, maggiori redditi sottratti a imposizione sia a carico della società che dei soci stessi.
Nel corso del giudizio di secondo grado, veniva disposta l’interruzione del processo a seguito dell’estinzione della società, con prosecuzione del giudizio nei confronti dei singoli soci. I giudici di legittimità, in primo luogo, richiamavano la sentenza a Sezioni Unite 12.02.2025, n. 3625, secondo cui, per configurare la responsabilità dei soci in relazione al debito tributario della società cancellata dal Registro delle Imprese, l’avvenuta riscossione di somme dal bilancio finale di liquidazione non può essere rilevata nel giudizio di impugnazione dell’atto impositivo notificato alla società, benché il processo prosegua nei confronti dei soci in qualità di successori della società estinta.
La sentenza della Corte Costituzionale 28.07.2025, n. 137 rappresenta un fondamentale punto di equilibrio tra l’esigenza del Fisco di condurre accertamenti efficaci e il diritto del contribuente a un processo equo e garantito. Nell’intervento citato, il Giudice delle Leggi ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, cc. 4 e 5 D.P.R. 600/1973, nella parte in cui limita l’utilizzabilità in giudizio dei documenti non trasmessi in fase procedimentale, purché la norma venga interpretata restrittivamente.
Si tratta di una pronuncia che merita attenzione non solo per il contenuto, ma per la visione espressa e costituzionalmente orientata che essa afferma, restituendo dignità al dialogo tra Fisco e contribuente e, al contempo, rivendicando i valori supremi della difesa e della trasparenza processuale.
Venendo al nodo principale della questione si osserva come l’art. 32 D.P.R. 600/1973 stabilisca che, se un contribuente non esibisce su richiesta i documenti richiesti dal Fisco, questi non potranno essere utilizzati in sede contenziosa a suo favore. In siffatto contesto, la C.G.T. di Roma ha sollevato la questione, sostenendo che tale meccanismo violerebbe il diritto alla difesa (art. 24 Cost.), al giusto processo (art. 111 Cost.), nonché numerose norme sovranazionali, tra cui l’art. 6 CEDU.
C.F e P.IVA: 01392340202 · Reg.Imp. di Mantova: n. 01392340202 · Capitale sociale € 210.400 i.v. · Codice destinatario: M5UXCR1
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