Una società impugnava davanti alla Corte di Giustizia Tributaria un’intimazione di pagamento chiedendone l’annullamento. Rilevava, infatti, di aver ottenuto una rateazione di somme in 72 rate ex art. 19, c. 1 D.P.R. 602/1973 e di aver iniziato a pagare regolarmente; tuttavia, a causa di difficoltà economiche, aveva subito ritardi nel pagamento delle rate ma alla data dell’intimazione, risultavano 7 rate non pagate, e conseguentemente, non era ancora maturata la decadenza dal piano rateale, che si verifica solo in caso di 8 rate omesse, anche non consecutive (art. 19, c. 3 D.P.R. 602/1973).
Nell’accogliere il ricorso, la Corte di Giustizia Tributaria ha rilevato che l’intimazione di pagamento oggetto di impugnazione risulta fondata su un’erronea applicazione dell’art. 19, c. 3 D.P.R. 602/1973, il quale disciplina la decadenza dal beneficio della rateazione dei debiti tributari, stabilendo che: “In caso di mancato pagamento, nel corso del periodo di rateazione, di otto rate, anche non consecutive, il contribuente decade automaticamente dal beneficio della dilazione”.
Nel caso in esame, la società ricorrente aveva dimostrato di aver effettuato i pagamenti previsti dal piano di rateizzazione, sebbene con alcuni ritardi. Al momento della notifica dell’Intimazione, risultavano non pagate solo 7 rate, un numero inferiore alla soglia prevista dalla legge per la decadenza dal beneficio della dilazione.
Il Giudice di merito ha richiamato il consolidato orientamento della Corte di Cassazione, che distingue chiaramente tra ritardo nel pagamento e omissione. In particolare, la Corte (Cass. Civ., Sez. V, sent. 7.12.2016 n. 25213) ha affermato che: “La decadenza dal beneficio della rateazione, prevista dall’art. 19, c. 3, del D.P.R. 602/1973, si verifica esclusivamente in caso di mancato pagamento di almeno otto rate, anche non consecutive. Il semplice ritardo nel versamento non è sufficiente a determinare la decadenza”.
Pertanto, secondo la Corte territoriale, non essendo stata superata la soglia delle 8 rate omesse, la società non poteva ritenersi decaduta dal beneficio della dilazione.
Alla luce di tale orientamento, consolidato in sede di legittimità, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione ha erroneamente considerato la ricorrente decaduta dal piano di rateazione, senza che ne ricorressero i presupposti normativi.
Inoltre, la Corte territoriale ha ritenuto rilevante, nella valutazione dell’illegittimità dell’atto, la buona fede e la condotta collaborativa della società ricorrente, che ha affrontato difficoltà finanziarie di carattere temporaneo e ha comunque proseguito nei pagamenti, dimostrando la volontà di estinguere il debito. Tale comportamento era stato confermato dai versamenti effettuati nel mese di settembre 2024.
Secondo principi generali dell’ordinamento tributario e dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.; art. 1 L. 212/2000 – Statuto del contribuente), l’azione dell’Amministrazione Finanziaria deve ispirarsi ai principi di proporzionalità, ragionevolezza e collaborazione, i quali risultano compromessi da un atto che anticipa l’esecuzione sulla base di presupposti non effettivamente maturati.
Nel contesto dichiarativo del Modello Redditi SC 2025, la corretta compilazione del prospetto del capitale e delle riserve, collocato nel quadro RS, e in particolare nei righi RS140 e RS141, riveste un ruolo strategico per la rappresentazione fiscale delle movimentazioni patrimoniali intervenute nel corso del periodo d’imposta. Sebbene privo di rilevanza ai fini civilistici, il prospetto rappresenta uno strumento essenziale per la qualificazione tributaria delle riserve distribuibili e per l’applicazione delle presunzioni previste dall’art. 47, c. 1, ultimo periodo, del Tuir. La compilazione richiede una rigorosa riclassificazione fiscale del patrimonio netto, mediante distinzione tra utili di esercizio, riserve di utili, riserve di capitale e riserve in sospensione d’imposta, secondo una logica tributaria che prescinde dalla rappresentazione civilistica contenuta nella nota integrativa.
L’obiettivo è garantire la tracciabilità delle poste patrimoniali fiscalmente rilevanti, per masse omogenee, così da rendere possibile un’applicazione coerente della presunzione assoluta di distribuzione degli utili, che si attiva automaticamente ogniqualvolta sussistano utili o riserve di utili liberamente distribuibili, imponendo la tassazione in capo ai soci in via prioritaria, a prescindere dalla volontà espressa in sede assembleare.
Il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge di Bilancio 2026, definendo gli interventi sulla struttura dell’Irpef. L’intervento principale riguarda la modifica dell’aliquota applicata al 2° scaglione di reddito, in continuità con il processo di riforma fiscale avviato nel 2024.
Si ricorda, infatti, che la legge di Bilancio 2025 (L. 207/2024) ha confermato a regime la struttura a 3 scaglioni Irpef introdotta dal D.Lgs. 216/2023, superando il precedente sistema a 4 aliquote. Per il periodo d’imposta 2025, la tassazione progressiva prevede:
– 23% per i redditi fino a 28.000 euro;
– 35% per i redditi oltre 28.000 e fino a 50.000 euro;
– 43% per i redditi oltre 50.000 euro.
Parallelamente, è stato disposto l’innalzamento da 1.880 a 1.955 euro della detrazione per i titolari di redditi da lavoro dipendente con reddito complessivo non superiore a 15.000 euro. Per la determinazione del reddito di riferimento si computano anche i redditi assoggettati a cedolare secca, quelli derivanti dal regime forfetario e la quota di agevolazione ACE.
Per l’anno d’imposta 2026, uno stanziamento di 2,8 miliardi di euro consente l’intervento sulla seconda aliquota, che passa dal 35% al 33%. La struttura diventa quindi:
– 23% per i redditi fino a 28.000 euro;
– 33% per i redditi oltre 28.000 e fino a 50.000 euro;
– 43% per i redditi oltre 50.000 euro.
L’elemento distintivo della misura risiede nella clausola di sterilizzazione: l’aliquota ridotta al 33% si applica esclusivamente ai contribuenti con reddito fino a 200.000 euro. Oltre tale soglia, il beneficio viene azzerato, escludendo di fatto i redditi elevati dal perimetro dell’agevolazione.
L’analisi degli effetti evidenzia una distribuzione progressiva del beneficio fiscale. I contribuenti con reddito imponibile fino a 28.000 euro non registrano alcun vantaggio, poiché la loro aliquota marginale resta invariata al 23%. Per i redditi superiori, il risparmio d’imposta è stimato in circa 20 euro annui per un reddito di 29.000 euro, fino ad un massimo di circa 440 euro annui per redditi tra 50.000 e 200.000 euro.
Il beneficio massimo si determina applicando la riduzione del 2% (dal 35% al 33%) all’intero scaglione di 22.000 euro compreso tra 28.000 e 50.000 euro. Grazie al meccanismo progressivo dell’Irpef, tale risparmio si estende automaticamente a tutti i redditi superiori a 50.000 euro, fino al limite di 200.000 euro dove opera la sterilizzazione. Un contribuente con reddito di 201.000 euro non beneficerà di alcuna riduzione, ritornando alla medesima imposta lorda che avrebbe pagato con le aliquote 2025.
Si stima che saranno oltre 9 milioni i contribuenti, con redditi compresi tra 28.000 e 200.000 euro che beneficeranno della riduzione dell’aliquota intermedia. Resta confermata la compatibilità dell’imposta sostitutiva in regime forfettario con i redditi da lavoro dipendente fino a 35.000 euro.
È utile ricordare che la manovra prevede ulteriori interventi complementari: per i redditi bassi sono confermate somme esenti e detrazioni aggiuntive fino a 40.000 euro, mentre con uno stanziamento di 1,9 miliardi viene potenziata la detassazione dei premi di produttività (l’aliquota attualmente prevista nella misura del 5% passerebbe all’1% su importi fino a 5.000 euro), dei turni festivi e degli straordinari notturni, coinvolgendo circa 2,6 milioni di lavoratori. Per i redditi sotto i 28.000 euro, infine, gli aumenti da rinnovi contrattuali 2025-2026 scontano una tassazione ridotta al 5%.
La Corte di giustizia comunitaria è stata più volte investita della rilevante questione pregiudiziale se costituisce una violazione del principio del primato del diritto dell’Unione e del diritto a un ricorso effettivo, garantito dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, il fatto che l’organo giurisdizionale di uno Stato membro che decide in ultima istanza faccia valere le proprie anteriori sentenze in luogo del diritto dell’Unione. In particolare, il Giudice Europeo, con la sentenza 11.01.2024, n. 537, ha statuito che il principio del primato del diritto dell’Unione sancisce la sua preminenza sul diritto degli Stati membri.
Tale principio impone pertanto a tutte le istituzioni degli Stati membri di dare pieno effetto alle varie norme dell’Unione, dato che il diritto degli Stati membri non può sminuire l’efficacia riconosciuta a tali varie norme nel territorio di detti Stati. Ne discende che, in forza del principio del primato del diritto dell’Unione, il fatto che uno Stato membro invochi disposizioni di diritto nazionale, quand’anche di rango costituzionale, non può pregiudicare l’unità e l’efficacia del diritto dell’Unione.
La precompilazione obbligatoria delle domande di nulla osta al lavoro in relazione ai flussi di ingresso per l’anno 2026 è possibile dal 23.10 al 7.12.2025. A comunicarlo è la circolare interministeriale 16.10.2025, n. 8047 del 16.10.2025, che dà seguito al D.P.C.M. 2.10.2025, che definisce la programmazione triennale dei flussi d’ingresso dei lavoratori non comunitari stagionali e non stagionali per il periodo 2026-2028.
Nella prima parte del documento si riepilogano le nuove quote di ingresso, valevoli per gli anni 2026, 2027 e 2028. Complessivamente, gli ingressi sono così suddivisi:
– per lavoro subordinato, 76.200 per ciascuna annualità;
– per lavoro autonomo: 650 per ciascuna annualità;
– per lavoro stagionale: 88.000 per il 2026, 89.000 per il 2027 e 90.000 per il 2028.
Nella seconda parte la circolare definisce adempimenti e tempistica della procedura di presentazione delle domande di nulla osta al lavoro. La procedura consta dei seguenti step.
Il terzo e ultimo modello Iva trimestrale da inviare nel 2025: il Modello Iva TR 3° trimestre 2025, in scadenza al 31.10.2025. Se si chiede il credito in compensazione la soglia da valutare è la consueta dei 5.000 euro:
– entro i 5.000 il credito si può utilizzare solo dopo aver presentato il modello e senza apposizione di visto di conformità (ma solo se sono i primi 5.000 euro del 2025, altrimenti dopo il 10° giorno successivo alla presentazione, si veda punto sotto);
– oltre i 5.000 il credito si può utilizzare solo a partire dal 10° giorno successivo alla presentazione telematica del modello, dotata di visto di conformità. Il superamento dei 5.000 si intende riferito all’ammontare complessivo dei crediti trimestrali maturati nell’anno d’imposta; pertanto, se già al 1° o 2° trimestre 2025 si sono superati i 5.000 si dovrà apporre il visto anche nel modello TR del III trimestre anche se nel singolo trimestre il credito sarà inferiore alla soglia suddetta.
Se invece si chiede il credito a rimborso:
– entro i 30.000 è possibile ottenerlo senza apporre né visto né garanzia, né altro;
– oltre i 30.000 è invece necessario dotare il modello di visto di conformità o alternativamente sottoscrizione dell’organo di controllo oppure se non si appone il visto si deve presentare la garanzia.
Il periodo di comporto, disciplinato dall’art. 2110 c.c., definisce il limite temporale entro il quale il lavoratore assente per malattia conserva il diritto alla conservazione del posto. Trascorso tale periodo, il datore può recedere dal rapporto, nel rispetto dell’art. 2118 c.c. e delle regole contrattuali collettive.
La durata del comporto è generalmente stabilita dai contratti collettivi, che differenziano i termini in base alla qualifica, all’anzianità e alla categoria professionale. In alcuni casi, come per patologie gravi o croniche, le clausole prevedono un comporto prolungato, subordinato alla presentazione di idonea documentazione sanitaria.
Evoluzione normativa: tutela rafforzata per i malati oncologici e disabili – La L. 18.07.2025, n. 106 ha introdotto significative innovazioni, riconoscendo ai lavoratori affetti da malattie oncologiche, croniche o invalidanti un periodo di congedo fino a 24 mesi, continuativo o frazionato, con diritto alla conservazione del posto. Tale congedo, pur non retribuito, è compatibile con altri benefici e sospende ogni attività lavorativa.
Lo ricorda l’Istituto di previdenza con messaggio n. 3036/2025; vediamo quali sono le regole principali della materia.
La dichiarazione non deve essere presentata dai soggetti che rientrano nelle seguenti situazioni:
– sono titolari di pensione e assegno di invalidità con decorrenza compresa entro il 31.12.1994;
– i titolari di pensione di vecchiaia, liquidata sia nel sistema retributivo che nel sistema contributivo;
– i titolari di pensione di anzianità e di prepensionamento a carico dell’AGO e delle forme sostitutive ed esclusive della stessa;
– coloro che sono titolari di pensione o assegno di invalidità a carico dell’AGO dei lavoratori dipendenti, delle forme di previdenza esonerative, esclusive, sostitutive della medesima, delle gestioni previdenziali dei lavoratori autonomi con un’anzianità contributiva pari o superiore a 40 anni.
Nell’ambito della prossima legge di Bilancio è allo studio l’introduzione di un nuovo contributo statale volto a sostenere le famiglie con figli nati a decorrere dal 1.01.2026. La misura si inserisce nel più ampio pacchetto di interventi in materia di politiche familiari e di promozione della natalità, con l’obiettivo di incentivare la genitorialità e di favorire la costituzione di un risparmio previdenziale a tutela del futuro economico dei minori.
Versamento una tantum – Il contributo proposto non assume la forma di un beneficio periodico o di un’erogazione destinata al consumo immediato, come accade per l’assegno unico universale o per il bonus bebè, ma si configura quale versamento una tantum a carico dello Stato. Tale versamento sarebbe effettuato direttamente in favore del neonato mediante accredito su un fondo di previdenza complementare intestato al medesimo. In tal modo, la misura mira a promuovere la cultura della previdenza integrativa sin dalla nascita, consentendo alla famiglia di costituire un capitale destinato a maturare nel tempo.
Provincia autonoma di Trento e in quella di Bolzano – L’iniziativa trae ispirazione dal modello già sperimentato nella Provincia autonoma di Trento e in quella di Bolzano, dove un analogo incentivo pubblico favorisce l’apertura, al momento della nascita del figlio, di un fondo pensione complementare.
Aumenta da ottobre 2025 la contribuzione destinata all’assistenza sanitaria integrativa a favore dei lavoratori cui si applica il Ccnl Centri elaborazione dati (Contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti da Centri elaborazione dati (CED), per le società tra professionisti, costituite ai sensi dell’art. 10 L. 183/2011, per gli studi di professionisti non organizzati in ordini e collegi e per le agenzie di servizi per il disbrigo di pratiche amministrative).
L’assistenza sanitaria integrativa contrattuale viene garantita e gestita tramite l’Ente di assistenza sanitaria integrativa per i dipendenti da Centri elaborazione dati (in breve EASI).
L’Ente fornisce, secondo le disposizioni dello statuto e del regolamento, le prestazioni sanitarie integrative per tutti i dipendenti con contratto a tempo indeterminato o determinato con durata superiore a 12 mesi e per gli apprendisti.
A decorrere dal 1.10.2025 il contributo annuale è fissato in 234 euro (in precedenza, 204 euro) suddivisi in 12 rate mensili, di cui 17 euro a carico del datore di lavoro e 2,50 euro a carico di ciascun lavoratore iscritto al Fondo EASI.
C.F e P.IVA: 01392340202 · Reg.Imp. di Mantova: n. 01392340202 · Capitale sociale € 210.400 i.v. · Codice destinatario: M5UXCR1
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