Prorogato il rapporto biennale sulla parità di genere

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha comunicato, sul proprio sito istituzionale, che le aziende interessate dall’invio del rapporto biennale sulla situazione del personale dovranno effettuare tale adempimento entro il 15.07.2024. In particolare, l’apposito modello telematico sarà reso disponibile per la compilazione sul portale del Ministero, a far data dal 3.06.2024.
La proroga dell’adempimento è stata disposta in ragione della revisione dell’applicativo informatico, predisposta al fine di semplificare la presentazione del rapporto, anche grazie a nuove funzionalità di precompilazione e di recupero delle informazioni pregresse.

Il Ministero chiarisce che, nelle more, le aziende che intendono partecipare a procedure pubbliche per le quali sia richiesta la presentazione del rapporto biennale potranno produrre copia di quello già presentato con riferimento al precedente biennio (2020/2021), integrando la documentazione con il rapporto per il biennio 2022/2023 entro il termine del 15.07.2024.

Con l’occasione, di seguito, si fornisce un riepilogo dell’adempimento previsto dall’art. 46 D.Lgs. 198/2006 e s.m.i.
Il rapporto biennale consiste nella trasmissione dei dati riguardanti la situazione del personale maschile e femminile, alla data di scadenza del biennio di competenza. Le aziende obbligate all’invio del rapporto sono quelle, sia pubbliche che private, con un numero di dipendenti superiore ai 50, mentre per quelle con un numero inferiore è comunque prevista la possibilità di trasmissione, su base volontaria.

Blocco delle compensazioni dei crediti Transizione 4.0

Il D.L 29.03.2024, n. 39 (G.U. 30.03.2024), all’art. 6 “Misure per il monitoraggio di transizione 4.0”, ha imposto precisi obblighi di comunicazione per la fruizione del credito d’imposta Transizione 4.0 relativamente agli investimenti in beni strumentali 2023-2025 e per quelli sulla ricerca e sviluppo, innovazione e design a partire dal 2024.
La data del 30.03.2024 resta una data “spartiacque”:

  • per gli investimenti Transizione 4.0 in R&S o in beni strumentali 4.0 effettuati dal 1.01.2024 al 30.03.2024, infatti, non esiste obbligo ex ante ma “solo” di comunicazione ex post circa l’ammontare effettivo dell’investimento e la relativa fruizione;
  • per gli investimenti avviati dopo il 30.04.2024 invece viene prevista obbligatoriamente una comunicazione ex ante al Ministero relativamente ad ammontare complessivo dell’investimento e presunta ripartizione negli anni della fruizione del credito. Viene poi prevista anche una comunicazione obbligatoria ex post una volta terminati gli investimenti circa l’ammontare effettivo dell’investimento e la relativa fruizione.

È evidente che soprattutto per gli investimenti in ricerca, sviluppo, innovazione e design non sarà facile per le imprese “redigere” un preventivo di costi, data la natura incerta delle attività da sviluppare e i rischi e gli imprevisti tecnologici connessi a progetti di ricerca e sviluppo.

Danno alla professionalità per Cassa Integrazione illegittima

L’ordinanza della Corte di Cassazione, sezione lavoro, 16.04.2024, n. 10267 affronta un caso di Cassa Integrazione Guadagni (CIG) applicata in modo illegittimo da parte di una società, con conseguenze negative per una lavoratrice. La decisione mette in luce l’importanza di seguire scrupolosamente le normative in materia di lavoro e di tutelare i diritti dei lavoratori.

Caso in esame – La controversia nasce dalla gestione della CIG da parte di una S.r.l., che aveva sospeso una lavoratrice senza rispettare i criteri di rotazione previsti dalla legge (art. 1, c. 8 L. 223/1991).
La società sosteneva che la rotazione doveva avvenire solo tra lavoratori con mansioni identiche, mentre la Corte d’Appello di Bologna aveva ritenuto illegittima la sospensione.

Decisione della Cassazione – La Suprema Corte ha esaminato con attenzione i tre principali motivi di ricorso presentati dalla società, confermando la decisione della Corte d’Appello di Bologna.
In primo luogo, la Cassazione ha respinto il ricorso riguardante la fungibilità delle mansioni e la rotazione dei lavoratori, ribadendo l’illegittimità della sospensione e l’assenza di criteri chiari per la turnazione.

Contributo per la capitalizzazione delle PMI (seconda parte)

Come presentare la domanda – In caso di aumento di capitale, la PMI è tenuta a presentare la domanda utilizzando solo gli schemi previsti con il Provvedimento del Direttore generale per gli incentivi alle imprese che sarà emanato entro il 1.07.2024. Con la presentazione della domanda la PMI si impegna alla sottoscrizione e al versamento dell’aumento di capitale. Alla domanda dovrà essere allegata una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà e successive modifiche e integrazioni attestante l’avvenuta adozione della delibera di aumento del capitale sociale.

Nel caso in cui la PMI beneficiaria non dovesse adempiere al versamento dell’aumento di capitale, la stessa non potrà richiedere la conversione dell’istanza nella domanda ordinaria d’accesso al contributo per investimenti in beni strumentali, 4.0 e green (ex art. 11 D.M. 22.04.2022) e, pertanto, dovrà presentare una nuova domanda.

Monitoraggio, controlli e ispezioni – Il Ministero potrà effettuare o disporre appositi controlli (sia documentali che tramite ispezioni in loco) finalizzati alla verifica della corretta fruizione delle agevolazioni. Di riflesso, le PMI beneficiarie sono tenute a conservare la documentazione contabile relativa al programma di investimento sostenuto con il contributo assegnato per il periodo previsto dalla vigente normativa in materia e comunque fino a 10 anni.

Esenzione Imu per il proprietario nel caso di occupazione abusiva

Il caso di specie trae origine dall’eccezione d’incostituzionalità proposta da parte dei giudici della Corte di Cassazione, sezione tributaria, e avente a oggetto l’art. 9, c. 1 D.Lgs. 14.03.2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale). Osservava il remittente l’evidente contrasto con i principi dettati dalla Costituzione in materia tributaria della norma nella parte in cui non prevede l’esenzione dall’imposta Imu nel caso di occupazione abusiva dell’immobile.

La disposizione contrastava, in particolare, con i dettami della Costituzione che impongono al legislatore in sede di formulazione delle disposizioni fiscali di osservare i principi della capacità contributiva, dell’eguaglianza tributaria, della ragionevolezza e della tutela della proprietà privata.

I giudici della Corte Costituzionale ritengono il ragionamento seguito dal remittente fondato e dichiarano, con la sentenza 18.04.2024, n. 60, incostituzionale l’art. 9 D.Lgs. 14.03.2011, n. 23. Secondo i Giudici della Consulta, infatti, la disposizione oggetto del processo costituzionale lederebbe anzitutto il principio di eguaglianza espresso dall’art. 3, c. 1 Cost.

Risarcimento del danno da illecito antitrust (seconda parte)

Per stabilire la decorrenza del termine di prescrizione, il dato dirimente è rappresentato dall’essersi o meno esaurita, alla data indicata, la fattispecie estintiva relativa al rapporto (obbligatorio, di contenuto risarcitorio) il cui fatto generatore risulta essersi prodotto sotto il vigore della legge anteriore.

La lungolatenza del danno fa sì che il titolare del diritto possa dirsi in stato di inerzia, rispetto all’esercizio del diritto risarcitorio, solo a partire dal momento in cui sia adeguatamente edotto delle circostanze dell’illecito concorrenziale: sicché l’azione risarcitoria da intesa anticoncorrenziale si prescrive, in base al combinato disposto degli artt. 2935 e 2947 c.c., in 5 anni dal giorno in cui chi assume di aver subito il danno abbia avuto, usando l’ordinaria diligenza, ragionevole e adeguata conoscenza del danno e della sua ingiustizia.

Ai fini della decorrenza del termine, quindi, non rileva il momento in cui l’agente compie l’illecito o quello in cui il fatto del terzo determina ontologicamente il danno all’altrui diritto, quanto, piuttosto, il momento in cui la condotta e il conseguente danno si manifestano all’esterno, divenendo oggettivamente percepibili e riconoscibili (Cass. 6.12.2011, n. 26188; nello stesso senso, cfr. Cass. 5.07.2019, n. 18176).

Compostaggio, credito d’imposta nei centri agroalimentari del Sud

Il nuovo credito d’imposta per gli impianti di compostaggio è stato istituito dall’art. 1, cc. da 831 a 834, L. 30.12.2021, n. 234. Il contributo, nel limite massimo di un milione di euro per ciascuno degli anni 2023 e 2024, è pari al 70% degli importi rimasti a carico del contribuente, per le spese documentate, sostenute entro il 31.12.2023, relative all’installazione e messa in funzione di impianti di compostaggio presso i centri agroalimentari presenti nelle Regioni Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia.

L’agevolazione può essere richiesta dal gestore del centro agroalimentare, purché l’impianto di compostaggio possa smaltire almeno il 70% dei rifiuti organici (art. 183, c. 1, lett. d) D.Lgs. 3.04.2006, n. 152), prodotti dal medesimo centro agroalimentare. Il credito d’imposta è utilizzabile in compensazione e non concorre alla formazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi e del valore della produzione ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive.

La comunicazione deve essere presentata all’Agenzia delle Entrate, in via telematica, utilizzando il modello dedicato rubricato “Comunicazione delle spese per l’installazione di impianti di compostaggio nei centri agroalimentari in Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia”, direttamente dal beneficiario oppure avvalendosi di un soggetto incaricato della trasmissione delle dichiarazioni, mediante i canali telematici dell’Agenzia delle Entrate, nel rispetto dei requisiti definiti dalle specifiche tecniche.

Flessibilità interna nel CCNL Terziario Confcommercio

Sin dalla riforma Biagi, il tema della flessibilità nei rapporti di lavoro è da sempre stato all’attenzione del legislatore e delle parti sociali. In tale ambito è possibile ricercare diverse sfaccettature che la flessibilità assume:

  • una flessibilità “esterna”, che si ottiene utilizzando svariate forme di tipologie contrattuali diverse dal “canonico” rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato;
  • una flessibilità “interna”, che interviene, invece, sul numero di ore lavorate e sull’organizzazione del tempo del personale assunto nonché sulle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa.

Su tale ultimo specifico ambito, il CCNL del comparto terziario-commercio, sottoscritto da Confcommercio con FILCAMS-CGIL, FISASCAT-CISL e la UILTUCS-UIL, prevede, in forza delle deleghe conferite dal D.Lgs. 66/2003, particolari forme di articolazione dell’orario di lavoro adottabili dall’impresa alternativamente mediante comunicazione all’Ente bilaterale territoriale della Provincia di competenza, per il tramite dell’Associazione territoriale aderente all’associazione datoriale firmataria, ovvero tramite lo sviluppo di confronti e accordi da raggiungere in sede di contrattazione aziendale.

Mediante la prima procedura, contemplata dall’art. 136 del CCNL, si potrebbe dar corso alle diverse articolazioni previste dall’art. 133 del medesimo accordo nazionale a mente del quale, anche con riferimento a singole unità produttive, sarà possibile:

  • a) realizzare un orario normale di lavoro settimanale pari a 40 ore, mediante la concessione di mezza giornata di riposo in coincidenza con la chiusura infrasettimanale disciplinata dalle norme locali vigenti in vigore, e per le restanti 4 ore mediante la concessione di un’ulteriore mezza giornata a turno settimanale;
  • b) realizzare un orario normale di lavoro settimanale pari a 39 ore, mediante l’assorbimento di 36 ore di permessi retribuiti;
  • c) realizzare un orario normale di lavoro settimanale pari a 38 ore, mediante l’assorbimento di 16 ore di ex festività e 56 ore di permesso retribuito.

Pertanto, ferma restando la maturazione “biennale” prevista per il riconoscimento dei permessi retribuiti (50% decorsi 2 anni dall’assunzione e 100% decorsi 4 anni dall’assunzione), distinguendo imprese con più o meno di 15 dipendenti, sarà possibile riassumere l’effettiva maturazione, per anzianità di servizio, delle ore di permesso maturabili in ragione dell’articolazione oraria adottata dal datore di lavoro.

Quanto alle ulteriori forme di flessibilità attuabili mediante confronto in sede di contrattazione aziendale, il CCNL fornisce vere e proprie indicazioni su come potranno essere adottati nuovi regimi orari, consistenti nella messa a regime di un orario cosiddetto multiperiodale. Le ipotesi contemplate dagli artt. 137 e ss., infatti, prevedono che, in un periodo massimo di 12 mesi, per far fronte a variazioni dell’intensità lavorativa dell’impresa, sarà possibile:

  • superare l’orario contrattuale in particolari periodi dell’anno sino al limite di 44 ore settimanali, per un massimo di 16 settimane, riconoscendo ai lavoratori interessati, nel corso dell’anno e in periodi di minore intensità lavorativa, una pari entità di ore di riduzione. In tal caso, i lavoratori interessati percepiranno la medesima retribuzione contrattuale sia nei periodi di superamento che in quelli di corrispondente riduzione dell’orario di lavoro, accedendo alle maggiorazioni per lavoro straordinario solo laddove prestino ore aggiuntive rispetto a quelle previste dal programma definito;
  • superare l’orario contrattuale in particolari periodi dell’anno sino al limite di 48 ore settimanali, per un massimo di 16 settimane, riconoscendo ai lavoratori, oltreché il recupero delle “ore aggiuntive” svolte, mediante una paritaria distribuzione tra recuperi e banca ore, un incremento di permessi retribuiti nella misura di 45 minuti per ciascuna settimana di superamento dell’orario normale settimanale;
  • con il medesimo meccanismo di cui al punto precedente, raggiungere le 44 ore settimanali per un massimo di 24 settimane (in questo caso i 45 minuti aggiuntivi di permessi per ciascuna settimana potrebbero portare sino a 18 ore annue in più, pari per l’appunto a 45 minuti moltiplicati per 24 settimane);
  • raggiungere, con il citato meccanismo di recupero delle ore eccedenti le 40 settimanali (50% – 50%) tra ore in riduzione e ore in banca ore, le 48 ore settimanali per un massimo di 24 settimane, riconoscendo, in aggiunta 70 minuti per ciascuna settimana di superamento del normale orario di lavoro.

Per ognuno di questi regimi, si noti, in caso di mancata fruizione dei riposi compensativi individuali, le ore di maggior lavoro prestate e contabilizzate in banca ore verranno liquidate, con la maggiorazione prevista per il lavoro straordinario entro e non oltre il mese di dicembre dell’anno successivo a quello di maturazione.

Tax credit per acquisto di prodotti alternativi alla plastica monouso

Con il D.M. 4.03.2024 (pubblicato in G.U. 13.04.2023, n. 87), sono stati definiti i criteri, le modalità di applicazione e di fruizione del credito d’imposta finalizzato a promuovere l’acquisto e l’utilizzo di materiali e prodotti alternativi a quelli in plastica monouso.

Il beneficio è riconosciuto alle imprese che acquistano e utilizzano prodotti della tipologia di quelli elencati nell’allegato, Parte A e Parte B al D.Lgs.196/2021, che sono riutilizzabili o realizzati in materiale biodegradabile e/o compostabile, certificato secondo la normativa UNI EN 13432:2002. Si tratta, a titolo esemplificativo, di:

  • tazze o bicchieri per bevande (inclusi i relativi tappi e coperchi);
  • contenitori per alimenti;
  • bastoncini cotonati, posate, piatti, cannucce.

Sul piano soggettivo, possono presentare domanda di concessione del contributo, le imprese che alla data di presentazione della domanda, siano in possesso dei seguenti requisiti:

  • risultano attive, regolarmente costituite e iscritte al Registro delle Imprese;
  • risultano iscritte all’assicurazione generale obbligatoria o alle forme esclusive e sostitutive della medesima oppure alla Gestione separata di cui all’art. 2, c. 26 L. 335/1995;
  • non siano destinatarie di sanzioni interdittive ai sensi dell’art. 9, c. 2 D.Lgs. 231/2001;
  • non sussistano nei loro confronti cause di divieto, decadenza o sospensione;
  • non si trovino in liquidazione né sono soggette a procedure concorsuali con finalità liquidatoria.

Sono ammesse all’agevolazione le spese effettivamente sostenute nel corso delle annualità 2022, 2023 e 2024. L’effettività del sostenimento della spesa deve risultare da apposita “attestazione” resa dal presidente del collegio sindacale ovvero da un revisore legale iscritto nel registro dei revisori legali, o da un professionista iscritto nell’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, o nell’albo dei periti commerciali o in quello dei consulenti del lavoro, ovvero dal responsabile del centro di assistenza fiscale.

Non sono, comunque, ammesse al beneficio le spese:

  • sostenute “anteriormente” alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 196/2021;
  • per l’acquisto di prodotti che, non essendo utilizzate dall’impresa richiedente, si configurano unicamente come merce di rivendita operata da imprese del commercio.

Il tax credit spetta, fermo restando il limite delle risorse disponibili, nella misura del 20% delle spese sostenute e documentate, fino all’importo massimo annuale di 10.000 euro per ciascun beneficiario.
Nell’ipotesi in cui le agevolazioni complessivamente richieste “eccedano” i limiti, l’importo del credito d’imposta concedibile a ciascun beneficiario è proporzionalmente ridotto, rispetto alla spesa sostenuta, al fine di garantire il limite della spesa autorizzata.

Il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione, mediante modello F24, attraverso i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate. Non si applicano i limiti alle compensazioni di cui all’art. 1, c. 53 L. 244/2007 e di cui all’art. 34 L. 388/2000.
Inoltre, il suddetto credito di imposta:

  • è alternativo e non cumulabile, in relazione a medesime voci di spesa, con ogni altra agevolazione prevista da normativa europea, nazionale o regionale;
  • non concorre alla formazione del reddito d’impresa né della base imponibile dell’Irap produttive e non rileva ai fini del rapporto di cui agli artt. 61 e 109, c. 5 del Tuir.

Per accedere al contributo, i soggetti in possesso dei requisiti previsti, per il tramite del legale rappresentante, presentano un’apposita istanza attraverso la procedura informatica resa accessibile dal sito istituzionale del Ministero. Sulla sezione news di detto sito sono indicati i termini e le modalità di presentazione della domanda nonché la documentazione utile allo svolgimento dell’attività istruttoria.
Nell’istanza, i beneficiari dichiarano il possesso dei requisiti previsti, ivi inclusi quelli di carattere tecnico, compreso l’ammontare complessivo delle spese sostenute e del contributo richiesto per ogni annualità, allegando l’attestazione su indicata. Al solo fine di consentire lo svolgimento dei controlli, i soggetti beneficiari allegano all’istanza la documentazione giustificativa delle spese e del relativo pagamento, nonché la certificazione che i prodotti acquistati sono riutilizzabili o realizzati in materiale biodegradabile e/o compostabile, certificato secondo la normativa UNI EN 13432:2002.

La gestione dell’istruttoria finalizzata alla concessione del contributo è svolta mediante Invitalia Spa, la quale provvede allo svolgimento delle seguenti attività:

  • ricezione delle istanze di contributo, attraverso una piattaforma dedicata;
  • accertamento della completezza dell’istanza e della sussistenza dei requisiti di ammissibilità;
  • definizione dell’elenco delle istanze che necessitano di integrazione documentale;
  • definizione dell’elenco delle istanze ammissibili;
  • definizione dell’elenco delle istanze per le quali le verifiche si sono concluse negativamente.

Il Ministero verifica, poi, tramite il registro nazionale degli aiuti, il rispetto, da parte del soggetto beneficiario, del massimale previsto dai regolamenti de minimis applicabili, e procede alla registrazione dell’aiuto individuale nel suddetto registro. L’importo del contributo concesso è ridotto qualora necessario al fine di garantire il rispetto del massimale previsto dal regolamento de minimis.

Sul fronte dei controlli si osserva, da ultimo, che il Ministero procede ad effettuare ispezioni a campione in misura proporzionale al rischio e all’entità del contributo concesso, controllare la veridicità delle dichiarazioni rese, nonché le condizioni per la fruizione del contributo. I controlli in merito alla legittima fruizione del credito di imposta sono effettuati dall’Agenzia delle entrate.

Qualora l’Agenzia accerti l’indebita fruizione, totale o parziale, del credito d’imposta, la stessa ne dà comunicazione in via telematica al Ministero che, previe verifiche per quanto di competenza, provvede al recupero.

Dichiarazione integrativa e istanza di rimborso: strumenti concorrenti

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 17.04.2024, n. 10415, ha ritenuto che, in materia di dichiarazione integrativa, sulla scia dei principi espressi dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 13378/2016, l’emendabilità o la ritrattabilità degli elementi dichiarativi contenuti nella dichiarazione integrativa (che si salda con l’originaria dichiarazione presentata), da un lato, e l’istanza di rimborso (ex art. 38 D.P.R. 602/1973), da proporre entro 48 mesi, nel caso d’inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento, dall’altro, operano su piani diversi del rapporto d’imposta tra Amministrazione Finanziaria e contribuente e costituiscono due opzioni concorrenti e non alternative, che l’ordinamento tributario offre all’interessato, a seconda che egli si attivi nel campo applicativo dell’accertamento fiscale (la dichiarazione integrativa) o nel diverso ambito della riscossione dei tributi (l’istanza di rimborso) (Cass. 16.07.2018, n. 19002).

Ed ancora, per il giudice di Cassazione, costituisce fermo principio di diritto che “in caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi in danno del contribuente, il rimborso può essere chiesto entro il termine di quattro anni dal versamento, ai sensi dell’art. 38 D.P.R. 602/1973, decorso il quale non può più domandarne la restituzione nel corso del giudizio instaurato avverso il silenzio rifiuto sull’istanza di rimborso, atteso che il principio della deducibilità, anche in giudizio, di suoi eventuali errori nella dichiarazione dei redditi non può essere utilizzato per eludere i termini decadenziali espressamente previsti dalla norma” (Cass. 30.05.2023, n. 15211).

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