Aggiornamento codici ATECO 2025: nessun impatto sul CPB in corso

L’entrata in vigore della nuova classificazione ATECO 2025 oltre a creare non pochi grattacapi a imprese e professionisti del settore, aveva sollevato dubbi concreti sulla tenuta del concordato preventivo biennale per il periodo 2025-2026. Ma l’Agenzia delle Entrate, con la risposta all’interpello 10.09.2025, n. 236, ha fornito rassicurazioni decisive che meritano un approfondimento attento.

Il cuore della problematica ruota attorno a un principio fondamentale: quando il cambiamento è solo di forma, non di sostanza, il concordato mantiene la sua validità. Questo vale anche nel caso in cui il nuovo codice ATECO comporti l’applicazione di un ISA completamente diverso da quello precedente. L’interrogativo nasceva da una disposizione piuttosto rigida contenuta nell’art. 21, c. 1, lett. a) D.Lgs. 13/2024. Secondo tale norma, il CPB cessa di produrre i suoi effetti quando il contribuente modifica l’attività svolta durante il biennio concordatario rispetto a quella esercitata nel periodo d’imposta precedente. Tuttavia, e questo rappresenta l’aspetto cruciale, il concordato conserva la sua efficacia se la nuova attività resta soggetta al medesimo ISA.

Ma cosa accade quando cambia sia il codice che l’ISA, pur rimanendo identica l’attività svolta? È proprio questa la situazione che si è verificata con l’introduzione della classificazione ATECO 2025, efficace dal 1.01.2025. Molte attività hanno visto modificarsi il proprio codice identificativo, spesso accompagnato da un cambio dell’ISA applicabile, nonostante l’essenza dell’attività fosse rimasta immutata.

La fattispecie esaminata nella risposta a interpello risulta emblematica. Si tratta di un agente plurimandatario operante nel settore del noleggio di autoveicoli che, a seguito dell’aggiornamento della classificazione, è passato dal codice 45.11.02 (con ISA DM09U) al codice 77.51.00 (con ISA EG61U). Il soggetto, valutando l’adesione al CPB 2025-2026, si interrogava legittimamente se tale variazione potesse compromettere l’adesione espressa nel modello Redditi 2025. La risposta dell’Amministrazione si dimostra rassicurante e, al tempo stesso, tecnicamente precisa. Per il CPB 2025-2026 non sussiste alcuna problematica legata alla cessazione per effetto della nuova classificazione ATECO 2025, naturalmente nell’ipotesi in cui l’attività rimanga concretamente invariata. Il ragionamento dell’Agenzia si basa su un elemento procedurale che spesso sfugge all’attenzione: nella dichiarazione dei redditi per il 2024 (modello Redditi 2025), così come nelle successive per i periodi d’imposta oggetto di concordato 2025-2026, deve essere utilizzato il “nuovo” codice ATECO. In questo caso specifico, il codice 77.51.00 cui è associato l’ISA EG61U. Non si verifica quindi alcuna variazione, nemmeno formale, dei codici identificativi dell’attività e dell’ISA applicabile, che rimangono costanti nei periodi 2024-2025-2026. L’elemento di continuità rappresenta la chiave di volta dell’intera costruzione interpretativa.

Questa soluzione si distingue nettamente dalla problematica che caratterizzava il CPB 2024-2025. In quel caso, infatti, per il periodo d’imposta 2023 poteva trovare applicazione un ISA diverso rispetto a quello da utilizzare nei periodi oggetto di concordato, creando quella discontinuità che la norma intende evitare.

L’Agenzia delle Entrate aveva già affrontato questioni analoghe. Con la FAQ del 28.05.2025, l’Amministrazione aveva precisato che, qualora per effetto della nuova classificazione ATECO 2025 il codice dell’attività esercitata fosse mutato solo a livello formale, la causa di cessazione del CPB non si verificava. Questo principio valeva sia nell’ipotesi in cui l’ISA applicabile restasse il medesimo, sia nel caso in cui mutasse rispetto a quello applicato per il periodo d’imposta precedente. L’aspetto determinante rimane sempre la sostanza dell’attività svolta. Ciò che conta, affinché il CPB continui a mantenere i propri effetti, è che l’attività interessata dalla modifica resti invariata nella sua essenza operativa ed economica.

Il 4 ottobre sarà la festa nazionale di San Francesco d’Assisi

Con ogni probabilità, dal 1.01.2026, il 4.10 sarà dichiarata festa nazionale di San Francesco d’Assisi.La Camera dei deputati è stata convocata il 15.09.2025 per la discussione generale sulla proposta di Legge C. 2097, adottata come testo base ed emendata in sede referente. L’esame presso la Commissione Affari Costituzionali è iniziato il 2.07.2025 e si è concluso il 10.09.2025.

La proposta di legge mira a introdurre la festa nazionale di San Francesco d’Assisi in occasione della ricorrenza dell’ottavo centenario della morte del Santo.

Si ricorda che attualmente la giornata del 4.10 è considerata, dall’art. 1 L. 4.03.1958, n. 132, come solennità civile e giornata della pace, della fraternità e del dialogo tra appartenenti a culture e religioni diverse, in onore dei Santi Patroni speciali d’Italia San Francesco d’Assisi e Santa Caterina da Siena. Il legislatore prevede che, in tale occasione, siano organizzate cerimonie, iniziative, incontri, in particolare nelle scuole di ogni ordine e grado.

La proposta di legge in discussione alla Camera si compone di 3 articoli che disciplinano rispettivamente:

– l’istituzione della festa nazionale nella giornata del 4.10, giornata in cui la Chiesa cattolica celebra San Francesco;

– le celebrazioni istituzionali previste per l’occasione;

– le disposizioni finanziarie e finali, ivi compresa la decorrenza delle disposizioni.

Green Digital Rating: la nuova frontiera della sostenibilità

Il Green Digital Rating, un modello sviluppato da Brightseed, spin-off dell’Università Bicocca di Milano, propone di ridefinire il concetto stesso di sostenibilità aziendale, affiancando ai tre Pilastri tradizionali ESG una quarta variabile, ovvero quella tecnologica. L’iniziativa prende avvio dalla consapevolezza che la transizione digitale e quella sostenibile sono ormai dimensioni interconnesse, impossibili da trattare come processi separati.

La docente associata di economia e gestione delle imprese all’Università Bicocca e cofondatrice di Brightseed, Alice Mazzucchelli, ha infatti affermato che le imprese rischiano di disperdere risorse quando adottano nuove tecnologie senza inserirle in una visione strategica chiara. In assenza di obiettivi definiti, l’investimento digitale tende a rappresentare un costo aggiuntivo, invece di diventare un fattore di vantaggio competitivo. Lo stesso accade con la sostenibilità, che viene troppo spesso percepita unicamente come un adempimento normativo privo di un concreto valore per l’azienda. Con l’obiettivo di superare questi preconcetti, il modello propone un vero e proprio cambio di prospettiva, orientando le aziende verso un approccio più integrato e trasformativo.

Il Green Digital Rating si articola in 4 aree di analisi, che permettono di misurare il livello di integrazione tra sostenibilità, governance e trasformazione digitale:

1) profit. Valuta la solidità economica e la governance aziendale, analizzando l’efficacia dei processi decisionali, la sostenibilità finanziaria e gli indicatori di bilancio;

2) proof. Riguarda la capacità di raccogliere, gestire e proteggere i dati. In questa dimensione viene esaminata l’aderenza al GDPR, l’adeguamento alle normative sulla privacy, i sistemi di tracciamento della pubblicità digitale e l’efficienza dei canali digitali dell’impresa;

3) people. Misura la percezione del brand all’interno dell’ecosistema digitale. L’analisi considera il livello di notorietà online, la reputazione aziendale e il grado di fiducia che i diversi stakeholder riconoscono al marchio;

4) purpose. Indaga gli impegni e i risultati dell’azienda in termini di sostenibilità ambientale e sociale, valutando se la mission e le azioni intraprese siano coerenti con una visione di lungo periodo.

Il modello si avvale non solo dei dati già in possesso dell’impresa, ma integra anche informazioni provenienti da una pluralità di fonti validate, quali database accademici, strumenti di analytics, analisi personalizzate e survey online. Il Green Digital Rating fornisce una valutazione approfondita che riguarda non solo l’azienda stessa, ma anche l’insieme dei competitor diretti e indiretti del brand.

Il rating è uno strumento avanzato che valuta in modo integrato le performance dell’impresa rispetto alle tematiche ESG (ambientali, sociali e di governance) unite agli aspetti tecnologici e digitali. Non si limita quindi a esaminare singole dimensioni, ma adotta una visione sistemica che riflette la crescente interconnessione tra sostenibilità e innovazione.

Il modello attribuisce uno score basato su una scala da 1 a 5 che rappresenta il livello di attenzione e integrazione delle tematiche ESG e tecnologiche all’interno dell’impresa. Questo indicatore consente all’azienda di valutare il proprio posizionamento competitivo rispetto ai principali competitor, sia diretti che indiretti, e di comprendere il livello di compliance percepita dagli stakeholder.

Oltre alla misurazione, il modello supporta l’impresa nell’identificazione delle aree strategiche su cui intervenire con priorità, facilitando la definizione di una roadmap che integra obiettivi di marketing e azioni di comunicazione mirate. In questo modo, l’azienda può orientare le proprie scelte verso una crescita sostenibile e digitalmente consapevole.

Il Green Digital Rating si propone come strumento innovativo per accompagnare le imprese in una fase di trasformazione epocale, dove competitività, responsabilità e innovazione non possono più essere disgiunte. Integrare le dimensioni ESG con quella tecnologica significa riconoscere che la sostenibilità passa anche dalla capacità di utilizzare il digitale in modo strategico, sicuro ed etico.

La dichiarazione di terzi continua ad avere valore indiziario

Come chiarito già nel passato, sempre dalla giurisprudenza della Cassazione, nel processo tributario possono trovare ingresso le dichiarazioni extraprocessuali di terzi, nel rispetto dell’art. 6 CEDU e del principio di parità delle armi di cui all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Esse hanno valore di elementi indiziari, utilizzabili sia dall’Amministrazione, sia dal contribuente (in tal senso si cfr. Cass. 22.03.2023, n. 8221). D’altronde, già la Corte Costituzionale, pur avendo, nella vigenza del vecchio assetto processuale (cioè prima delle modifiche apportate all’art. 7 D.Lgs. 546/1992 dalla L. 31.08.2022, n. 130), più volte rigettato la questione di legittimità costituzionale del divieto di assunzione della prova testimoniale nel processo tributario, aveva comunque affermato che tale divieto non impedisce in sede contenziosa di valorizzare le dichiarazioni rilasciate da terzi, considerandole alla stregua di semplici indizi (Corte Cost., sent. n. 18/2000).

Tuttavia, anche se al contribuente, oltre che all’Amministrazione Finanziaria, è riconosciuta la possibilità di introdurre nel giudizio dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, in attuazione dei principi del giusto processo e della parità delle parti ex art. 111 Cost., esse assumono il valore probatorio di meri elementi indiziari che non fa venir meno il potere-dovere del giudice tributario di valutare l’affidabilità del contenuto delle dichiarazioni. Secondo il principio della libera valutazione delle prove, è compito del giudice confrontare le notizie raccolte e valutare l’attendibilità dei dichiaranti in base ad elementi soggettivi e oggettivi, anche in ordine all’intrinseca congruenza delle dichiarazioni con ulteriori altri elementi acquisiti (da ultimo, Cass. 30.10.2024, n. 28022).

Autoimpiego, agevolazioni in attesa dell’apertura dello sportello

Il D.M. 11.07.2025 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 21.08.2025, n. 193) disciplina le modalità attuative delle misure “Autoimpiego Centro-Nord (ACN)” e “Resto al Sud 2.0 (RSUD)”, previste dagli artt. 17 e 18 D.L. 7.05.2024, n. 60. Di seguito, si illustrano le linee principali del regolamento in attesa dell’operatività dello sportello telematico, demandato ad Invitalia che sarà operativo non prima di 90 giorni.

Sono destinatari del provvedimento i giovani under 35 anni (non ancora compiuti), che siano: disoccupati, inoccupati o inattivi, in condizione di marginalità sociale, vulnerabilità o discriminazione, secondo il Programma Nazionale Giovani, Donne e Lavoro 2021-2027, nonché i disoccupati destinatari delle misure del programma di politica attiva Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori (GOL).

Sono ammissibili le iniziative economiche avviate nel mese precedente la domanda, inattive al momento della domanda, nella forma di: lavoro autonomo con partita Iva, impresa individuale iscritta al Registro delle Imprese; impresa societaria (S.n.c., S.a.s., S.r.l. o cooperativa); libero-professionale, anche tramite società tra professionisti.

Benefici e sostegni finanziari – Per l’agevolazione “Autoimpiego Centro-Nord”, è previsto un voucher pari al 100% dell’investimento, non soggetto a rimborso, utilizzabile per l’acquisto di beni, strumenti e servizi per l’avvio dell’attività, per un importo massimo di 30.000 euro; sono previsti fino a 40.000 euro se relativi all’acquisto di beni/servizi innovativi, tecnologici, digitali o finalizzati alla sostenibilità ambientale o al risparmio energetico.

Revisione del rendiconto di sostenibilità

Da tempo si parla di ESG (Environmental, Social, and Governance), di rendicontazione di sostenibilità e di quanto questo debba interessare il management delle aziende. Parliamo, per queste ultime, della necessità di misurare, valutare e comunicare, attraverso la rendicontazione di sostenibilità, il vero impatto sociale e ambientale, fornendo una visione cristallina dei risultati ottenuti e degli obiettivi futuri che si intendono perseguire. Pertanto, il compito del revisore tenuto all’attestazione è quello di effettuare una limited assurance che ha caratteristiche precise e differenti dalla reasonable assurance.

Innanzitutto, occorre precisare che la rendicontazione di sostenibilità deve essere collocata all’interno della relazione sulla gestione secondo le disposizioni della direttiva comunitaria CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) entrata in vigore dal 5.01.2023 applicando i principi ESRS (European Sustainability Reporting Standards) definiti dall’autorità EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group). Pertanto, il revisore è tenuto a una preparazione professionale specifica di nicchia che abbia come framework le conoscenze di cui sopra.

Inoltre, ai sensi dell’art. 18 D.Lgs. 125/2024 “Disposizioni transitorie”, sono introdotti crediti formativi specifici per gli iscritti al registro entro il 1.01.2026, in quanto per presentare l’istanza per l’abilitazione al rilascio dell’attestazione di conformità della rendicontazione di sostenibilità, il revisore deve aver maturato, all’atto della presentazione della domanda, almeno 5 crediti formativi in materia di sostenibilità.

Motivazione dell’atto impositivo, vincolo per l’Amministrazione

Nel processo tributario, la riqualificazione giuridica dei fatti operata dal giudice non legittima l’Amministrazione Finanziaria a modificare, integrare o estendere in corso di causa le ragioni poste a fondamento dell’atto impositivo. Qualsiasi variazione della motivazione, anche se sollecitata dall’inquadramento giuridico adottato in sede giudiziale, è preclusa dal principio dell’immutabilità dell’atto e dal divieto, sancito dall’art. 57 D.Lgs. 546/1992, di mutatio libelli, a tutela del diritto di difesa del contribuente e della natura impugnatoria del giudizio tributario.

Nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 9.09.2025, n. 24881, l’Agenzia delle Entrate notificava a una società un avviso di accertamento con il quale contestava, in relazione ad alcune operazioni immobiliari, la mancata dichiarazione di ricavi e l’indebita deduzione di costi. Il contenuto dell’atto impositivo era chiaramente orientato a qualificare l’operazione come una vendita in nero. Tuttavia, nel corso del giudizio di merito, i giudici riqualificavano la natura dell’operazione in termini di permuta, ritenendo che le prestazioni oggetto del contratto presentassero caratteri bilaterali e sinallagmatici tipici della permuta immobiliare. Sulla base di questa riqualificazione, in sede di legittimità l’Ufficio eccepiva per la prima volta l’omesso assoggettamento a Iva separata delle 2 prestazioni permutative.

Bonus Nido ampliato dal decreto omnibus

Settembre, mese di ripartenze e nuovi inizi; chi iscrive il figlio per la prima volta ad un asilo nido potrebbe richiedere un bonus che va da un minimo di 1.500 a un massimo di 3.600 euro per sostenere le rette versate per la frequenza all’asilo nido dei propri figli o per l’assistenza domiciliare in caso di gravi patologie che impossibilitino la presenza. L’art. 6-bis, c. 2 D.L. 95/2025 ha disposto che la domanda del bonus, a partire dal 1.01.2026 produrrà effetti anche per gli anni successivi senza necessità di ripresentarla, previa verifica dei requisiti e prenotazione delle mensilità per ciascun anno.

Gli importi, a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 1, c. 210 della legge di Bilancio 2025, sono:

– per i bambini nati dal 1.01.2024: con un ISEE minorenni maggiore o uguale a 40.000 euro: 3.600 euro; con un ISEE minorenni > 40.000 euro: 1.500 euro;

– per i bambini nati prima del 1.01.2024: con un ISEE minorenni maggiore o uguale 25.000 euro: 3.000 euro; con un ISEE minorenni > 25.000 euro e < 40.000 euro: 2.500 euro; con un ISEE minorenni > 40.000 euro: 1.500 euro.

Le domande vengono accolte in ordine cronologico di presentazione. La domanda deve essere presentata dal genitore che sostiene il pagamento della retta e deve contenere l’indicazione delle mensilità di frequenza (per i mesi da gennaio 2025 a dicembre 2025), con un massimo di 11 mesi.

Ancora sulla convalida delle dimissioni in periodo protetto

La necessità di convalida delle dimissioni in periodo protetto vale a dire gravidanza, l’età sotto i 3 anni dei figli ed anche il periodo intercorrente dal giorno della richiesta di pubblicazione del matrimonio ad 1 anno dopo la celebrazione delle nozze, spesso manda in confusione gli addetti ai lavori, poiché non è chiaro come si coordinano i tempi propri delle dimissioni e degli adempimenti ad esse legati, alla necessità di convalida da parte degli uffici territoriali dell’Ispettorato del Lavoro.

La convalida delle dimissioni fu prevista ormai molti anni fa dall’art. 55, c. 4 L. 151/2001, che in maniera lineare recita: “La risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, (…), devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. A detta convalida è sospensivamente condizionata l’efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro”.

Per l’emissione del provvedimento di convalida gli uffici hanno un termine di 45 giorni, previsto dal D.P.C.M. 22.12.2010 n. 275 – Tabella B – Amministrazione periferica.

Capita che tale termine venga utilizzato in toto prima di concludere il procedimento di verifica della genuinità delle dimissioni ed emettere il relativo provvedimento, che quindi può legittimamente vedere la luce con tempi molti differenti rispetto agli adempimenti legati alle dimissioni in sé.

Congedo di paternità: l’accezione si fa più ampia

Con la sentenza n. 115/2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 27-bis D.Lgs. 151/2001 nella parte in cui escludeva la madre intenzionale, in una coppia omogenitoriale femminile legalmente riconosciuta, dal congedo obbligatorio di paternità. Un chiarimento fondamentale, che impone l’estensione del diritto anche al genitore non biologico, se legalmente riconosciuto.

Congedo obbligatorio di paternità: un diritto autonomo – Introdotto dal D.Lgs. 105/2022, il congedo di paternità obbligatorio prevede 10 giorni di astensione dal lavoro (20 in caso di parto plurimo), fruibili tra i 2 mesi precedenti e i 5 successivi alla nascita. Il trattamento economico è pari al 100% della retribuzione ed è a carico dell’Inps. Il congedo è autonomo rispetto a quello della madre e può essere fruito anche in caso di morte perinatale del figlio.

Questione sollevata: una discriminazione digitale e normativa – Il caso trae origine da una segnalazione davanti al Tribunale di Bergamo, dove una madre intenzionale lamentava l’impossibilità di richiedere il congedo parentale sul portale Inps, bloccato alla presenza di 2 codici fiscali femminili. L’Inps ha successivamente adeguato il sistema, ma il giudice ha comunque riconosciuto la discriminazione e la Corte d’Appello di Brescia ha rimesso la questione alla Corte Costituzionale, evidenziando l’assenza di tutela normativa per il secondo genitore nelle coppie dello stesso sesso.

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