Repêchage a mansioni inferiori alla luce del nuovo art. 2103 c.c.

La giurisprudenza ha da tempo chiarito come la soppressione del posto di lavoro in seguito a riorganizzazione aziendale possa oggettivamente giustificare il licenziamento ex art. 3 L. 604/1966 a condizione, tuttavia, che non sia possibile assegnare il lavoratore a mansioni non solo equivalenti bensì anche inferiori rispetto a quelle sin lì svolte. Tuttavia, occorre valutare l’impatto della riscrittura dell’art. 2103 c.c. a opera dell’art. 3 D.Lgs. 81/2015: in altri termini, occorre valutare se e in che termini detta novella abbia inciso sull’onere di repêchage gravante sul datore di lavoro.

Al riguardo, si deve partire proprio dal nuovo dato normativo dell’art. 2103 c.c. e, in particolare:

– dal nuovo comma 2, che prevede che “in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale”;

– dal nuovo comma 5, che prevede che “il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento”;

– dal nuovo comma 6, che prevede che “Nelle sedi di cui all’articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita”.

Ad avviso di chi scrive, il nuovo art. 2103 c.c. ha codificato il perimetro dell’onere di repêchage a mansioni inferiori, stabilendo un equilibrio non (più) solo fra l’interesse del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro e quello alla tutela della sua professionalità, ma anche fra l’interesse del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro e quello all’intangibilità del proprio livello retributivo acquisito (principio che, parimenti, la giurisprudenza ha sempre tratto dall’art. 2103, c. 1 c.c.):

– laddove (commi 2 e 5) a valle di una “modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore” vi sia la possibilità di adibire il lavoratore a “mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale”, il datore di lavoro ha il potere di disporre in tal senso (potere che, in ossequio al consolidato orientamento in apertura del presente contributo, diventa un vero e proprio dovere). Entro questo perimetro, il Legislatore ha previsto, in un’ottica di bilanciamento fra opposti interessi ed in ragione del limitato salto fra le mansioni di provenienza e quelle di destinazione (e, conseguentemente, della limitata forbice retributiva), che il lavoratore, subendo già ripercussioni in termini di riduzione della propria professionalità, non debba subirne di ulteriori sotto il profilo economico;

– laddove invece (comma 6) si esca da detto perimetro e, cioè, la salvaguardia del posto di lavoro possa essere garantita solo assegnando al lavoratore mansioni comportarti un salto, fra mansioni di provenienza e mansioni di destinazione, superiore ad un livello, ciò può avvenire solo a seguito di un accordo fra le parti che, senza di per sé escluderlo, non deve necessariamente garantire l’intangibilità del livello retributivo.

In altri termini, a parere di chi scrive:

– ove il repêchage sia percorribile assegnando al lavoratore mansioni proprie di un solo livello inferiore, il datore di lavoro è tenuto a farlo, sopportando, quale corollario, di mantenere alle proprie dipendenze un lavoratore sovrainquadrato (e sovraretribuito);

– ove il repêchage sia percorribile solo assegnando al lavoratore mansioni di contenuto professionale ulteriormente ridotto, ciò può avvenire solo a seguito di un accordo fra le parti, che il lavoratore può valutare di accettare sull’altare della salvaguardia del proprio posto di lavoro ben sapendo che, in difetto, si esporrebbe ad un licenziamento.

Superminimo e qualifica superiore: il principio dell’assorbimento

La sentenza della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione n. 28368/2025 trae origine da una lunga vicenda iniziata negli anni Ottanta e segnata da ricorsi, sospensioni e licenziamenti. Il caso riguardava un lavoratore del settore della vigilanza privata, privo per un periodo dei titoli abilitativi necessari per svolgere la mansione: decreto prefettizio e licenza di porto d’armi. La perdita di tali requisiti aveva comportato la sospensione dal servizio e, in seguito, il licenziamento. Parallelamente, la controversia toccava la questione dell’assorbimento dei superminimi individualmente pattuiti nel tempo, in relazione al riconoscimento di una superiore qualifica. Il Tribunale riconobbe il diritto del lavoratore al nuovo inquadramento, ma escluse le retribuzioni per il periodo di sospensione, ritenendo che l’assenza delle abilitazioni avesse reso impossibile la prestazione lavorativa. La Corte d’Appello confermò la decisione, limitando le differenze retributive dovute e applicando il principio dell’assorbimento per i superminimi, salvo quello espressamente dichiarato non assorbibile.

Decisione della Cassazione – La Cassazione ha rigettato il ricorso del lavoratore, ritenendo legittime le conclusioni della Corte territoriale. I giudici di legittimità hanno ribadito che l’attività di guardia giurata è subordinata al possesso di abilitazioni pubbliche, il cui venir meno comporta un’impossibilità sopravvenuta della prestazione ai sensi dell’art. 1463 c.c. In tale situazione, l’assenza dei titoli impedisce di percepire la retribuzione, poiché manca la condizione essenziale per adempiere al contratto. 

Scorciatoia del 156 c.p.c. nelle notifiche

La tentazione è nota: la notifica è stata fatta male? Poco male si dirà, perché “lo scopo è stato comunque raggiunto”. Siamo al cospetto di una ricorrente scorciatoia retorica che all’apparenza semplifica, ma in realtà incrina 2 pilastri che risiedono nel diritto di difesa e nell’affidabilità della sequenza notificatoria.

La giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ Sez. V, ord. 6.08.2025, n. 22709) ha richiamato tutti all’ordine, ricordando che la sanatoria non è un condono di stile, ma uno strumento eccezionale, applicabile solo quando l’atto viziato è stato davvero conosciuto, e non quando la sua esistenza è filtrata da un provvedimento successivo come un’intimazione di pagamento.
In linea di principio, “conoscenza mediata” non equivale a “conoscenza effettiva”.


La cornice normativa è semplice e per questo anche alquanto esigente. Per le persone giuridiche, la legge impone un percorso tassativo:
– prima il tentativo presso la sede legale;
– se non riesce, si passa alla residenza del legale rappresentante;
– solo in subordine si attivano gli strumenti per irreperibilità relativa o assoluta (artt. 140 e 143 c.p.c.), che restano comunque indirizzati alla persona fisica del rappresentante e non alla società in modo impersonale.
È una regola base, non un mero orpello. In pratica, la notifica “alla società” con deposito e affissione, senza passare dal rappresentante, salta le regole e produce un vizio che non è un semplice graffio formale.

La vicenda ricostruita nella pronuncia è paradigmatica: in primo grado, la Commissione ha correttamente riconosciuto l’inesistenza della notifica e della cartella perché eseguita “alla società” con le forme dell’art. 140 c.p.c., senza aver prima tentato sul rappresentante; in appello, la decisione è stata ribaltata facendo leva proprio sull’art. 156 c.p.c., con l’argomento che la società avrebbe comunque saputo dell’atto per effetto dell’intimazione. È su questo passaggio che la Cassazione è intervenuta con nettezza, stabilendo che l’ordine legale delle notifiche va rispettato e il “raggiungimento dello scopo” non si può invocare quando la conoscenza dell’atto viziato è solo riflessa, cioè mediata da un atto successivo. In pratica, la sanatoria non può trasformarsi in un alibi per chi ha saltato i passaggi obbligati.

La stessa conclusione vale anche quando entra in scena l’art. 60 D.P.R. 600/1973. Quel meccanismo, che consente il deposito in Casa comunale se nel Comune non si trovano abitazione, ufficio o azienda del contribuente, non scardina la sequenza del codice di rito ma al contrario, la presuppone.
Prima si verifica la sede, poi si cerca il rappresentante, e solo se anche questo canale è impraticabile si ricorre alle forme sostitutive. Ogni scorciatoia, dal deposito affrettato all’affissione impersonale, non impersona efficienza procedurale, ma integra una palese compressione del contraddittorio.


C’è poi un profilo di cultura giuridica che balza innanzi!
L’idea che “tanto alla fine l’atto lo hanno visto” risponde a un’ansia di efficienza che tutti comprendiamo, ma che non può prevalere sulla regola. Se la notifica è il ponte tra Amministrazione e contribuente, costruirlo con materiale di fortuna non è un risparmio: è un rischio per la tenuta del processo. E quando il processo inciampa su quel ponte, la colpa non è della formalità, ma della fretta con cui si è voluto accorciare il tragitto.

Qualifica commercialista senza titolo: doppia condanna da Cassazione

La pronuncia della Cassazione 15.10.2025, n. 33866 mette nero su bianco una questione che da tempo agita il settore: dove finisce l’operatività legittima del tributarista e dove inizia l’abuso? La Quinta Sezione penale ha detto la sua e lo ha fatto confermando una condanna a 9 mesi di reclusione più 10.500 euro di multa. Due i reati contestati: quello previsto dall’art. 348 c.p. (esercizio abusivo di professione) e quello dell’art. 615-ter (accesso abusivo a sistema informatico). Ma andiamo con ordine.

La vicenda parte da una titolare di agenzia viaggi che si ritrova nel mirino del Fisco per irregolarità contabili. Niente di strano, se non fosse che quelle irregolarità derivano tutte dalle negligenze del suo consulente. Un consulente che si presentava come commercialista iscritto all’albo, ma che, come scoperto poi dalle indagini, commercialista proprio non era. E qui già la situazione si complica, perché l’operatore in questione aveva fatto molto di più che qualche dichiarazione fiscale.

Istituito il Registro nazionale dei crediti di carbonio

l 17.10.2025, grazie alla firma dei Ministri dell’Agricoltura e dell’Ambiente, è entrato in vigore il decreto interministeriale che istituisce il Registro nazionale dei crediti di carbonio volontari generati dal settore forestale e agricolo, ponendo le premesse per la creazione di un mercato nazionale del carbonio in linea con quanto previsto dal Regolamento (Ue) 2024/3012 sul “carbon farming”.
“Il Registro, affermano i 2 ministri, è uno strumento essenziale per dare nuova linfa alla gestione delle aree boschive italiane, mettendo insieme le energie dei privati con l’interesse pubblico: è un passo avanti per contrastare il fenomeno del greenwashing e per curare l’ambiente con i fatti e non con gli slogan”.


Il decreto contiene le linee guida che permetteranno il perseguimento dei seguenti obiettivi:
– promuovere un mercato volontario del carbonio basato su standard rigorosi, trasparenti e verificabili, mediante la valorizzazione di pratiche di gestione agricola e forestale sostenibili;
– incentivare il sequestro del carbonio atmosferico nei suoli agricoli e nei sistemi forestali e incrementarne lo stoccaggio, attraverso la produzione di prodotti legnosi di lunga durata e l’allungamento del ciclo di vita dei prodotti legnosi stessi;

Criptovalute: la nuova disciplina dopo la legge di Bilancio 2026

L’art. 13 del disegno di legge di bilancio 2026 introduce la modifica dell’art. 1, c. 24 L. 30.12.2024, n. 207 prevedendo che, a partire dal 1.01.2026, le plusvalenze e gli altri proventi derivanti da operazioni di detenzione, cessione o impiego di token di moneta elettronica denominati in euro saranno soggetti a un’imposta sostitutiva del 26%, in luogo dell’aliquota ordinaria del 33% applicabile alle altre cripto-attività. La ratio di questo intervento è duplice, ovvero:

– (da un lato) distinguere i token di moneta elettronica dai criptoasset a maggiore volatilità, riconoscendo la loro funzione assimilabile a strumenti di pagamento a valore stabile;

– (dall’altro) incentivare l’utilizzo di strumenti pienamente conformi ai requisiti MiCA, ossia token ancorati stabilmente all’euro e sostenuti da riserve integralmente detenute in attività denominate in euro presso soggetti autorizzati nell’Unione europea.

La disposizione chiarisce che la mera conversione tra euro e token di moneta elettronica denominati in euro, così come il rimborso in euro del valore nominale, non costituisce realizzo di plusvalenze o minusvalenze. Questa esclusione risponde all’esigenza di evitare effetti fiscali distorsivi in presenza di operazioni di mera sostituzione di strumenti rappresentativi di euro, rafforzando la coerenza del sistema tributario con la normativa europea.

PsiQuantum: un miliardo per il futuro quantistico

PsiQuantum, start-up statunitense attiva nel quantum computing, ha raccolto un miliardo di dollari in un round di Serie E, portando la valutazione a 7 miliardi. Tra gli investitori figurano colossi come BlackRock, Temasek, Baillie Gifford e la divisione NVentures di Nvidia.


L’obiettivo è ambizioso: costruire entro il 2027-2028 un computer quantistico commerciale fault-tolerant con milioni di qubit (che a differenza del bit può assumere 3 stati al posto di 2). La tecnologia scelta utilizza qubit fotonici su silicio, promettendo maggiore scalabilità e minore dipendenza da sistemi criogenici complessi.


Un passaggio strategico è la collaborazione con Nvidia, che unisce i propri chip classici ai sistemi di PsiQuantum per sviluppare software quantistici avanzati. L’integrazione ibrida potrà accelerare la transizione dall’attuale ricerca a un utilizzo pratico della computazione quantistica.
Un altro punto distintivo è l’attenzione alla produzione: i qubit fotonici sfruttano infrastrutture già esistenti nell’industria dei semiconduttori e delle fibre ottiche. In quest’ottica, PsiQuantum collabora con GlobalFoundries per produrre i chip nei suoi stabilimenti di New York.

Ottava edizione Banca Nazionale delle Terre Agricole

L’ottava edizione della Banca Nazionale delle Terre Agricole (BTA), gestita da ISMEA su mandato del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, rappresenta una tappa significativa nel quadro della valorizzazione del patrimonio fondiario pubblico agricolo. In questa edizione sono resi disponibili oltre 14.000 ettari di terreni agricoli, corrispondenti a circa 571 potenziali aziende agricole, con una base d’asta complessiva che supera i 180 milioni di euro.

Struttura tecnica dello strumento e meccanismi operativi – La BTA si articola su 2 canali distinti: un lotto permanente, nel quale sono inseriti 386 terreni acquistabili in qualsiasi momento dell’anno, e un lotto periodico, che comprende 185 terreni (nel dettaglio: 32 al primo tentativo, 61 al secondo, 92 al terzo) soggetti a procedura competitiva a finestra temporale.

L’accesso avviene in 2 fasi: una presentazione della manifestazione di interesse (MDI) e l’invito a presentare l’offerta economica per i terreni del lotto periodico. Per i terreni del lotto permanente l’offerta può essere presentata in qualunque momento.

Risulta inoltre distribuito su tutto il territorio nazionale, con una prevalenza delle superfici offerte al Sud: ad esempio, la Sicilia da sola raccoglie circa il 40% delle superfici.

Assenza per arresto: obbligo di comunicazione e rischio licenziamento

L’ordinamento non prevede deroghe all’obbligo, in capo al lavoratore, di comunicare tempestivamente al datore di lavoro l’assenza, anche quando questa sia determinata da eventi eccezionali come un arresto. È su questo principio che si fonda la recente sentenza del Tribunale di Latina n. 1105/2025, che ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa di un dipendente detenuto in custodia cautelare, il quale non aveva fornito alcuna informazione all’azienda durante il periodo di detenzione.


Il Tribunale, in linea con l’orientamento espresso anche dalla Cassazione (ad es. Cass. n. 10352/2014), ha chiarito che l’assenza, per non risultare ingiustificata, deve essere comunicata in modo tempestivo, completo ed efficace, così da consentire al datore di lavoro di riorganizzare l’attività o attivare sostituzioni. Non rileva che l’impresa sia venuta a conoscenza dell’arresto per vie informali: la responsabilità di informare resta comunque in capo al lavoratore.


Nel caso esaminato, l’assenza era durata oltre un mese e la società aveva ricevuto solo voci informali da parte di colleghi. L’inerzia comunicativa ha condotto all’attivazione del procedimento disciplinare e al successivo licenziamento per giusta causa, ritenuto proporzionato e legittimo in relazione alla gravità della condotta e alla violazione dell’obbligo di lealtà contrattuale.

Opponibilità della cessione di credito nel concordato preventivo

In tema di opponibilità alla procedura della cessione di credito, la giurisprudenza consolidata ha chiarito che “la natura consensuale del contratto di cessione di credito comporta che esso si perfeziona per effetto del solo consenso dei contraenti, cedente e cessionario, ma non anche che dal perfezionamento del contratto consegua sempre il trasferimento del credito dal cedente al cessionario, in quanto, nel caso di cessione di un credito futuro, il trasferimento si verifica soltanto nel momento in cui il credito viene a esistenza e, anteriormente, il contratto, pur essendo perfetto, esplica efficacia meramente obbligatoria”.

È stato poi ribadito che “il trasferimento del credito futuro si verifica unicamente nel momento in cui il credito viene ad esistenza” e che “in caso di sopravvenuto fallimento del cedente, la cessione, anche se tempestivamente notificata o accettata ex art. 2914, n. 2 c.c., non è opponibile al fallimento se alla data della dichiarazione di fallimento il credito non era ancora sorto e non si era verificato l’effetto traslativo” (Trib. Piacenza, sent. 10.09.2025).

Va ribadito che l’anteriorità della venuta a esistenza del credito rispetto alla procedura concorsuale costituisce, in ogni caso, condizione necessaria per l’opponibilità della cessione, indipendentemente dall’anteriorità della notifica e a nulla rilevando, a tali fini, la distinzione tra crediti futuri identificati nel rapporto genetico e crediti meramente eventuali.

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