Da affidabilità a presunzione: ISA diventano strumento accertativo

Archiviata la stagione degli studi di settore, espressione di una logica essenzialmente punitiva, il sistema tributario aveva compiuto un passo avanti verso la cultura della premialità con l’introduzione degli Indici Sintetici di Affidabilità fiscale (ISA). Questi ultimi, concepiti per valorizzare i comportamenti trasparenti, consentono al contribuente in regola di accedere a benefici graduati in funzione del punteggio conseguito. Negli ultimi mesi, tuttavia, si registra un’inversione di tendenza: l’Agenzia delle Entrate utilizza sempre più frequentemente i punteggi ISA come base di partenza per accertamenti di natura sostanzialmente induttiva.

Con un approccio formalmente selettivo ma sostanzialmente presuntivo, gli Uffici individuano i contribuenti con punteggio inferiore a 8 e redditività ritenuta anomala, ipotizzando la presenza di ricavi non dichiarati ricostruiti attraverso l’applicazione al costo del venduto delle percentuali medie di ricarico di soggetti più “virtuosi”. Così, lo strumento originariamente pensato per favorire la compliance si trasforma in un indicatore probatorio, in altre parole la “pagella fiscale” diventa elemento d’accusa e non più segnale di affidabilità. L’architettura normativa degli ISA, delineata dall’art. 9-bis del D.L. 50/2017, non consente una simile traslazione funzionale. Gli indici sintetici non sono, né potrebbero essere, presunzioni legali idonee a fondare rettifiche analitico-induttive. La loro ratio è di natura statistico-comparativa e si limita a valutare la coerenza economico-gestionale dell’impresa rispetto a parametri di settore, al fine di orientare i controlli e favorire la compliance preventiva. L’utilizzo dell’indicatore quale fondamento probatorio di un accertamento compromette, pertanto, il principio di tipicità degli strumenti presuntivi di cui agli artt. 39 D.P.R. 600/1973 e 54 D.P.R. 633/1972.

L’azione istruttoria dell’Agenzia, invece, tende ad elevare la correlazione tra basso punteggio e scarsa redditività a “presunzioni gravi, precise e concordanti”, arrivando a sostenere che il modesto risultato intercettato dal punteggio ISA sia prova sufficiente di evasione. Tale impostazione, oltre a eludere il dovere di motivazione analitica dell’atto impositivo, finisce per invertire surrettiziamente l’onere della prova, costringendo il contribuente a dimostrare la legittimità dei propri risultati contabili. Un’interpretazione che trova deboli riscontri giurisprudenziali e che si pone in contrasto con il principio di capacità contributiva e con la recente evoluzione della riforma del processo tributario in tema di riparto probatorio.

In questo quadro, il contraddittorio preventivo previsto dall’art. 6-bis dello Statuto del contribuente rischia di essere svuotato della propria funzione garantista. L’istituto, anziché favorire un confronto leale tra Fisco e contribuente, viene percepito come un momento di pressione negoziale, in cui l’ufficio propone riduzioni di accertamenti per indurre alla definizione bonaria della controversia. A tale impianto consegue una pericolosa deriva procedimentale: l’atto preliminare diventa l’inizio di un percorso di “contrattazione” del reddito imponibile, più che l’esito di una verifica oggettiva.

Dal punto di vista metodologico, inoltre, le determinazioni fondate su medie di settore risultano intrinsecamente fragili. La composizione del campione di riferimento non è mai trasparente e la scelta di soglie arbitrarie inferiori a punteggi prefissati introduce margini di discrezionalità tali da compromettere l’attendibilità dell’intera ricostruzione. Sul piano sistematico, tale prassi appare in aperta contraddizione con lo spirito della riforma fiscale, orientata a superare le logiche approssimative degli studi di settore e a promuovere modelli di accertamento fondati su dati effettivi e su analisi economiche più oggettive. L’utilizzo improprio degli ISA, in definitiva, non solo mina la certezza del diritto e la fiducia dei contribuenti, ma rischia di compromettere la stessa funzione di prevenzione e collaborazione che ne aveva giustificato l’introduzione. Se l’indice di affidabilità diventa la premessa automatica di un accertamento, lo strumento perde la sua natura di incentivo alla compliance e si trasforma in un meccanismo di selezione punitiva. Un rischio che la dottrina e la prassi professionale non possono ignorare, poiché tocca il cuore del nuovo rapporto di leale cooperazione tra Fisco e contribuente.

PEC amministratori: si cambia di nuovo

L’introduzione dell’obbligo di domicilio digitale per gli amministratori societari, avvenuta quasi un anno fa con la legge di Bilancio 2025, rappresenta un caso emblematico di incertezza operativa, la cui gestione ha messo a dura prova i professionisti e le imprese.

La norma istitutiva (art. 1, c. 860 L. 207/2024), entrata in vigore il 1.01.2025, si è limitata a estendere l’obbligo di comunicazione della PEC agli “amministratori di imprese costituite in forma societaria”, utilizzando una formulazione tanto ampia quanto vaga. Tale indeterminatezza ha immediatamente generato dubbi: l’obbligo era da intendersi esteso a tutti i membri di un consiglio di amministrazione? Comprendeva anche tutti i soci amministratori delle società di persone? Inoltre, la norma non prevedeva alcun termine di adempimento per le società già esistenti.

In questo vuoto normativo si era inserito il MIMIT, con una nota del 12.03.2025. La linea indicata era rigorosa: obbligo per tutti gli amministratori (inclusi i liquidatori) e termine al 30.06.2025 (poi prorogato al 31.12.2025) per la regolarizzazione delle posizioni pregresse. Punto qualificante della posizione ministeriale era inoltre il divieto assoluto di coincidenza tra la PEC dell’amministratore e quella della società.

Audit privacy: perché evitare le domande che orientano la risposta

L’audit rappresenta uno degli strumenti centrali per la verifica dell’efficacia dei sistemi di gestione e per la dimostrazione della conformità al GDPR.

La ISO 19011, linea guida di riferimento per la conduzione degli audit, è oggi in fase di revisione con pubblicazione prevista nel 2026. Pur senza modifiche sostanziali, il documento rafforza un principio essenziale: l’audit deve essere condotto in modo imparziale, indipendente e metodologicamente coerente.

Tra gli aspetti più delicati rientra la formulazione delle domande durante le interviste, in particolare quelle che la norma definisce “leading questions”, in italiano, domande che orientano la risposta.

Perché le domande tendenziose sono un rischio – La sezione A17 della ISO 19011:2018, dedicata alla conduzione delle interviste, distingue tra domande aperte, chiuse, di apprezzamento e orientate. Le domande tendenziose appartengono a quest’ultima categoria: sono quelle che presuppongono un problema, suggeriscono la risposta desiderata e limitano la libertà dell’interlocutore.

Utilizzarle durante un audit significa ridurre l’obiettività del processo e compromettere la qualità delle evidenze raccolte. Esse, infatti, suggeriscono implicitamente la risposta attesa, condizionano l’intervistato e possono generare risposte compiacenti, riducono la capacità dell’audit di far emergere criticità reali e compromettono l’imparzialità e l’indipendenza dell’auditor.

Esempi tipici, in ambito protezione dati, sono domande come: “Non avete avuto alcun data breach quest’anno, vero?” oppure “Presumo che cambiate le password semestralmente, giusto?”. In entrambi i casi, la formulazione condiziona l’intervistato, spingendolo verso una risposta di conferma piuttosto che di analisi.

Effetti sul sistema di gestione e sulla conformità al GDPR – Nel contesto della protezione dei dati personali, la neutralità dell’audit assume valore giuridico. Il principio di accountability (art. 5, par. 2, GDPR) richiede che le organizzazioni dimostrino la conformità in modo oggettivo e documentato.

Un audit basato su domande che orientano la risposta produce invece: report non attendibili, incapaci di rappresentare la realtà operativa; verbali privi di valore probatorio in caso di controllo ispettivo; decisioni errate nelle successive attività di valutazione d’impatto (DPIA) o nella gestione di incidenti di sicurezza.

Di fatto, la formulazione scorretta delle domande può condurre a una falsa percezione di conformità, esponendo l’organizzazione a rischi sanzionatori e reputazionali.

Neutralità e metodo: le chiavi di un audit efficace – L’auditor non deve mai cercare conferme, ma evidenze.

L’intervista deve essere condotta in modo asettico, senza giudizi o complicità con l’auditato.

Il valore dell’audit risiede nella capacità di raccogliere dati oggettivi, basati su risposte spontanee e verificabili. Per questo, le domande più efficaci sono:

– aperte, quando mirano a comprendere processi e comportamenti (“Come gestite gli accessi ai sistemi?”);

– chiuse, quando servono a ottenere conferme specifiche (“Chi autorizza i log di accesso?”);

– di apprezzamento, utili per valutare consapevolezza o percezione (“Come giudica l’efficacia delle attuali misure di sicurezza?”).

Le domande orientate, al contrario, vanno evitate o utilizzate con estrema cautela, solo in contesti mirati e con finalità di verifica puntuale.

Conclusione – La conduzione di un audit sulla protezione dei dati richiede equilibrio tra rigore tecnico e neutralità comunicativa. Domande neutre, formulate con precisione e senza presupposti impliciti, consentono di raccogliere evidenze oggettive, indispensabili per dimostrare la reale conformità dell’organizzazione.

Le vere “tasse” non sono le imposte, ma la spesa pubblica

Tre pensatori hanno offerto risposte che possono aiutare a comprendere la realtà e il futuro:

– secondo Milton Friedman, la spesa pubblica è una “tassa nascosta”, anche quando non la vediamo direttamente. Infatti, la vera tassa non sono le imposte, ma la spesa pubblica! Lo Stato può spendere più di quanto incassa con le tasse, ma la differenza la paghiamo noi tutti: o con tasse future, o con inflazione (prezzi che salgono), o con debito pubblico (che poi richiede tasse e tagli futuri);

– John Maynard Keynes avverte che l’inflazione, cioè la crescita generale dei prezzi, è tra i pericoli più grossi per la società. Quando lo Stato punta su questa strada, spesso per evitare di aumentare le tasse, il risultato è che il valore del denaro diminuisce e chi ha risparmi e stipendi viene lentamente impoverito senza accorgersene;

– per Alexander Fraser Tytler, la democrazia rischia sempre di finire quando la gente si abitua a ricevere generosi aiuti dallo Stato: se il governo spende troppo per accontentare tutti, prima o poi il sistema crolla e si va verso soluzioni drastiche che tolgono la libertà politica (dittature).

Deducibilità compensi amministratori: questioni ancora controverse

La Cassazione ha ormai consolidato il principio, già affermato dalla sentenza delle Sezioni Unite 29.08.2008, n. 21933, per le quali la mancanza di esplicita delibera assembleare in ordine alla determinazione del compenso degli amministratori, qualora il medesimo non risulti essere già stato predefinito nello statuto, interdice alla società il diritto di deduzione fiscale del compenso erogato, non potendosi considerare implicito il relativo consenso sociale nella delibera di approvazione del bilancio. Per la Corte di Cassazione la necessità di un’esplicita delibera dell’assemblea alla base della determinazione del compenso riservato agli amministratori deriverebbe da:

– natura imperativa e inderogabile delle previsioni normative, dovendo considerarsi la disciplina di funzionamento delle società dettata anche a supporto dell’interesse pubblico al regolare svolgimento dell’attività economica;

– distinta previsione della delibera di approvazione del bilancio e di quella di determinazione dei compensi (art. 2364, n. 1 e 3 c.c.);

– mancata liberazione degli amministratori dalla responsabilità di gestione nel caso di approvazione del bilancio (art. 2434 c.c.);

– diretto contrasto, in quanto strutturalmente diverse, delle delibere tacite e implicite con le regole di rituale formazione della volontà della società (art. 2393, c. 2 c.c.).

Cessione quote S.r.l. a un’altra società: spese notarili deducibili?

Fattispecie concreta – Nell’ambito dell’attività d’impresa può accadere che una S.r.l. decida di acquistare, con intervento in atto del proprio rappresentante legale, una quota di partecipazione, di minoranza, di maggioranza o totalitaria, di altra S.r.l.

Ci si è chiesti se la spesa relativa alla prestazione professionale, espletata dal Notaio o dal commercialista nei confronti della cessionaria S.r.l., possa essere considerata deducibile dal reddito d’impresa.

Soluzione prospettata – In termini generali, la deducibilità del costo va valutata ex art. 109 D.P.R. 22.12.1986, n. 917, in relazione all’inerenza della spesa sostenuta all’attività d’impresa. Di conseguenza, qualora l’acquisto di una partecipazione societaria non rappresenti un mero investimento finanziario, ma sia strumentale all’attività economica svolta dalla società e sussista un obiettivo collegamento tra business aziendale e produzione di ricavi (anche prospettici), il costo sostenuto dalla S.r.l acquirente relativo alla prestazione professionale, con le dovute cautele del caso, potrebbe essere considerato inerente e, di conseguenza, la spesa deducibile ai fini della determinazione del reddito d’imponibile;

Licenziamento legittimo per chi rifiuta il trasferimento

Il caso trae origine dal licenziamento disciplinare di un dipendente che, nel giugno 2020, aveva rifiutato di recarsi nella sede presso cui era stato trasferito a seguito della chiusura di quella originaria.

Il lavoratore aveva giustificato l’assenza con ragioni familiari, richiamando la difficoltà di conciliare gli spostamenti con la presenza di figli minori. Il Tribunale e la Corte d’Appello di Roma hanno tuttavia ritenuto legittimo il licenziamento, accertando che la sede di provenienza aveva cessato ogni attività e che l’azienda aveva garantito condizioni di lavoro equivalenti. Contro tale pronuncia è stato proposto ricorso per Cassazione, fondato su 4 motivi.

La Suprema Corte, con ordinanza n. 29341/2025, ha respinto integralmente il ricorso, confermando la correttezza delle valutazioni dei giudici di merito.

Argomentazioni della Cassazione – La Corte ha giudicato inammissibili i primi 2 motivi, poiché riguardavano questioni di fatto non suscettibili di riesame. La lavoratrice aveva contestato il mancato riconoscimento dell’impugnazione del trasferimento, ma i giudici di legittimità hanno osservato che la Corte d’Appello aveva fondato la decisione su un’altra ragione determinante: l’assenza di buona fede nel rifiuto della prestazione.

Professionista e cliente nel reato fiscale: concorso e responsabilità

La più recente giurisprudenza (Cass. 25.07.2024, n. 20697) ha ridefinito in modo significativo la responsabilità del professionista per le violazioni fiscali commesse dal cliente, modificando un orientamento che per anni aveva escluso ogni responsabilità in capo al consulente esterno.

In base all’orientamento precedente, l’art. 7, c. 1 D.L. 269/2003 (che attribuisce le sanzioni fiscali esclusivamente alla persona giuridica) era ritenuto incompatibile con l’art. 9 D.Lgs. 472/1997, impedendo di sanzionare i professionisti esterni in concorso con la società.

La Cassazione ha ora stabilito che le 2 norme sono compatibili e che anche il professionista può essere sanzionato, se partecipa alla violazione con consapevolezza e volontà. In buona sostanza, il professionista può essere chiamato a rispondere in concorso con la società quando fornisce un apporto, anche indiretto, alla realizzazione della violazione fiscale.

Assunzioni agevolate nuove disposizioni per il 2026

Con l’entrata in vigore del D.L. 31.10.2025 n. 159, “Misure urgenti per la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro e in materia di protezione civile”, il legislatore ha introdotto, ex art. 14, una nuova disposizione che andrà ad interessare, dall’aprile 2026, quei datori di lavoro che intenderanno operare delle assunzioni per le quali siano fruibili dei benefici contributivi. La ratio è quella di incentivare la “trasparenza nel mercato del lavoro e le pari opportunità tra i lavoratori, nonché di rafforzare le misure di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e altresì di monitorare gli effetti dell’intervento pubblico”.

La norma in esame specifica che “i datori di lavoro privati che chiedono benefici contributivi, comunque denominati e finanziati con risorse pubbliche, per l’assunzione di personale alle proprie dipendenze pubblicano la disponibilità della posizione di lavoro sul Sistema Informativo per l’Inclusione Sociale e Lavorativa (SIISL) di cui all’art. 5 del D.L. 4.05.2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3.07.2023, n. 85”. Ciò, come detto, a decorrere dal 1.04.2026.

Innovazione: contributo diretto alla spesa e finanziamento agevolato

Con il D.D. 27.10.2025 il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha definito i termini di apertura dello sportello agevolativo e le modalità di presentazione delle domande inerenti ai progetti di ricerca industriale e sviluppo sperimentale di rilevante impatto tecnologico realizzati nell’ambito degli accordi per l’innovazione tramite lo sviluppo delle tecnologie abilitanti fondamentali.

La misura è rivolta alle imprese che esercitano attività industriali e di trasporto, incluse le imprese artigiane, le imprese ausiliarie delle precedenti attività e i centri di ricerca, nonché agli organismi di ricerca.

Dote economica – La dotazione di 731 milioni di euro sarà destinata al finanziamento delle iniziative riguardanti le seguenti aree di intervento: automotive e competitività industriale nel settore dei trasporti, materiali avanzati, robotica, semiconduttori (per un totale di 530 milioni di euro), tecnologie quantistiche, reti di telecomunicazione, cavi sottomarini, realtà virtuale e aumentata (per un totale di 201 milioni di euro).

Una quota pari al 34% delle risorse sarà riservata ai progetti interamente svolti nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Calabria, Puglia, Sardegna e Sicilia.

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