Lettera del direttore ·
19 Settembre 2025
C’è una cosa che non capisco, tra le tante, di questa nebbiosa situazione internazionale. Nebbiosa va bene perché è, per molti versi, imperscrutabile, misteriosa negli esiti. Ma di aggettivi se ne possono aggiungere molti: tragica, insidiosa, pericolosa, aggressiva e ignorante.
Sì, ignorante, perché ignora la storia e ciò che ci ha insegnato, nel bene e, soprattutto, nel male. Fa paura anche l’impotenza degli Stati, o la loro malafede, nel cercare soluzioni a una crisi che rischia di degenerare nel peggiore dei modi, coinvolgendo tutti, nessuno escluso. E l’impotenza genera timori e incertezza.
Ecco, la cosa che non capisco è come sia possibile che, in una situazione dove sembra che tutto possa essere accettato senza l’elaborazione di una logica e una umana risposta, l’economia globale non sia precipitata in una crisi epocale e che, anzi, mostri indicatori che sembrano non preoccupare le borse, gli operatori economici e finanziari, le imprese e gli Stati.
Ci sono dati incredibili che mostrano lievi declini, ma sostanziali tenute, negli indicatori della fiducia dei consumatori. Le dinamiche di finanziarizzazione dell’economia proseguono. L’industria bellica ritrova il ruolo di traino. L’occupazione non va così male. I ricchi continuano a diventare sempre più ricchi e i giovani proseguono nel loro trend di difficoltà.
Tutto normale, si tollerano invasioni, massacri e prove di forza, si muove di più l’opinione pubblica dei governi e tutto sembra andare, dal punto di vista economico, come prima. Beh, certo, con spostamenti di potere finanziario e produttivo, ma globalmente mi sembra che una qualche forma di pericolo non sia (ancora) avvertito.
Non voglio fare l’uccello del malaugurio, ma un’ipotesi ce l’ho. La politica delle sanzioni ha prodotto un’economia sommersa formidabile, in grado di sostituire i canali tradizionali di scambio. È una cosa abbastanza nota, non so se qualcuno ha provato a darle una dimensione, ma da profano arrischierei un volume enorme di transazioni nascoste, un volume incalcolabile. Anche di commerci tollerati dagli stessi Stati che sanzionano.
Solo la UE, tra primarie e secondarie, ha imposto sanzioni a 5.000 entità, tra Stati, imprese, consorzi, enti, singoli imprenditori. Non parliamo degli Stati Uniti. Come mai non sembrano funzionare? O fare solo il solletico, mentre si configurano altre strade e altre alleanze. Mi immagino commerci che fanno il giro del mondo, che cambiano mille bandiere e arrivano tranquillamente dove devono arrivare senza che nessuno abbia il potere, o la volontà, di fare nulla.
Pensate pure alle petroliere, ma quante merci? Quante armi? Ci sarebbe forse la possibilità di un minimo riscontro attraverso la valutazione del PIL, dell’export, dei livelli di inflazione o delle riserve in valuta degli Stati sanzionati. O del fatturato e dei conti correnti per le imprese. Ma chi fa i controlli?
Non c’è alcuna agenzia che possa indagare e contestare dati fasulli resi ufficiali. L’incertezza si infiltra dappertutto, nella conoscenza dei dati oggettivi e nella perdita di potere delle istituzioni internazionali. Ho la sensazione che questo stato di cose faccia comodo a qualcuno, anche ad alcuni che magari sbraitano in pubblico e poi giocano in borsa. Non chiedetemi nomi, ognuno avrà i suoi.
Al contempo non posso non constatare come il commercio riesca a trovare, in ogni situazione, canali sempre fantasiosi per esprimere la sua insopprimibile essenza. E qualcuno canterà: finché la barca va, lasciala andare.
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