Torna l’incentivo al posticipo del pensionamento, noto ai più come Bonus Maroni. La nuova edizione presenta alcune interessanti novità introdotte dalla legge di Bilancio 2025 (art. 1, c. 161 L. 207/2024). Ad approfondirle è l’Inps con la circolare 16.06.2025 n. 102, che illustra i relativi adempimenti previdenziali anche per la gestione dei flussi UniEmens.
L’incentivo al posticipo del pensionamento opera sostanzialmente come il Bonus Maroni: il lavoratore (pubblico o privato, dipendente da datore di lavoro anche non imprenditore e prossimo alla pensione), che sceglie di proseguire l’attività lavorativa, rinuncia all’accredito contributivo della quota di contribuzione IVS a proprio carico, ivi compreso l’eventuale contributo aggiuntivo IVS, per vedersi liquidare i corrispondenti importi in busta paga.
La rinuncia è esercitabile dai lavoratori che maturano, entro il 31.12.2025, i requisiti per la pensione anticipata flessibile, ossia Quota 103 (62 anni di età e 41 anni di contributi) o i requisiti per la pensione anticipata ordinaria (42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne), avendo comunque riguardo alle specifiche finestre mobili.
Il lavoratore, iscritto all’AGO o alle forme sostitutive/esclusive della stessa, non deve aver raggiunto i requisiti anagrafici per la pensione di vecchiaia (67 anni) né essere titolari di pensione diretta, fatto salvo l’assegno ordinario di invalidità.
L’accesso all’incentivo avviene previa comunicazione all’Inps. Entro 30 giorni, l’Istituto, verificata la sussistenza dei requisiti, comunica l’esito al lavoratore e invia notifica di accoglimento al datore di lavoro mediante il servizio “Comunicazione bidirezionale”. Il datore di lavoro può procedere con gli adempimenti a proprio carico solo all’esito di tale comunicazione.
La quota IVS a carico del lavoratore (di regola, pari al 9,19% per il settore privato) non sarà più versata all’Inps, a cui tuttavia si continuerà a versare la quota IVS a carico del datore di lavoro.
Gli importi contributivi non versati all’ente previdenziale saranno erogati al lavoratore dipendente, con la retribuzione.
Il datore di lavoro domestico, chiarisce l’Inps, può generare dal “Portale dei pagamenti” gli avvisi di pagamento “PagoPA” con l’importo ricalcolato della contribuzione dovuta senza la quota a carico del lavoratore. Dovranno essere scaricati 2 avvisi, uno con e l’altro senza quota a carico del lavoratore dipendente, se la decorrenza dell’esonero cade all’interno di un trimestre solare.
In caso di variazione del datore di lavoro l’incentivo è automaticamente applicato dall’Inps anche al nuovo datore di lavoro, che riceve una comunicazione mediante il servizio “Comunicazione bidirezionale”.
Una novità di assoluto rilievo (il vero e unico vantaggio della misura) interessa il regime di imposizione fiscale. Le quote di retribuzione derivanti dalla rinuncia all’accredito contributivo non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente. L’Inps, sulla scorta dei pareri espressi dal MEF e dall’Agenzia delle Entrate, estende l’esenzione fiscale alle somme corrisposte ai lavoratori dipendenti iscritti alle forme esclusive dell’AGO.
Sotto il profilo pensionistico, la posizione assicurativa del lavoratore dipendente continua a essere alimentata solo dalla quota IVS a carico del datore di lavoro. La fruizione del beneficio non modifica la determinazione dell’importo delle quote di pensione calcolate con il sistema retributivo, mentre, con riferimento alla quota di pensione contributiva, l’esonero produce effetti sul montante contributivo individuale.
Il Bonus non è configurabile come incentivo all’assunzione ed è compatibile con gli incentivi contributivi che operano sulla quota a carico del datore di lavoro. L’incentivo al posticipo del pensionamento non può trovare applicazione se è già previsto un abbattimento totale o parziale della quota di contribuzione a carico del lavoratore.
A partire dal 5.06.2025 e fino al 5.08.2025 per imprese, enti e lavoratori autonomi interessati è possibile l’invio delle istanze di richiesta del credito d’imposta relativo alle sponsorizzazioni sportive del terzo trimestre 2023. L’adempimento viene effettuato utilizzando l’apposita piattaforma disponibile sul sito web del Dipartimento dello Sport all’interno del quale è contenuta una guida operativa per la compilazione.
I destinatari della misura sono i lavoratori autonomi, le imprese e gli enti non commerciali che hanno effettuato investimenti in campagne pubblicitarie, incluse le sponsorizzazioni, nei confronti di leghe che organizzano campionati nazionali a squadre ovvero società sportive professionistiche e società ed associazioni sportive dilettantistiche iscritte al Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche (che ha sostituito il precedente Registro CONI) in possesso dei seguenti requisiti:
1. che siano operanti in discipline ammesse ai Giochi Olimpici e paralimpici;
2. che svolgano attività sportiva giovanile;
Negli ultimi anni, la materia dei crediti d’imposta, in particolare quelli legati ai bonus edilizi, è stata al centro di un acceso dibattito giuridico e normativo.
L’intervento del legislatore, prima con il D.L. 11/2023, poi con il D.L. 39/2024, ha segnato un drastico ridimensionamento del meccanismo di cessione, ma non ha estinto le problematiche sottese al sistema. Anzi, sul piano penale, le operazioni già perfezionate continuano a generare contestazioni, sequestri e accertamenti, anche nei confronti di soggetti che, almeno formalmente, risultano estranei all’illecito presupposto.
In questo scenario si colloca l’ormai consolidato orientamento della Corte di Cassazione in materia di sequestro preventivo ex art. 321, c. 1 c.p.p., che trova ulteriore conferma nella sentenza n. 3108/2024. Secondo i giudici di legittimità, i crediti fiscali possono essere sequestrati anche quando siano transitati a soggetti terzi, banche, società o intermediari, pur in assenza di dolo o colpa, qualora il titolo originario si fondi su operazioni inesistenti o fraudolente.
La Cassazione, con tale pronuncia, ha rigettato l’idea che la cessione del credito generi un “nuovo” diritto soggettivo in capo al cessionario, autonomo e svincolato dal vizio originario. Al contrario, ha ribadito che la cessione comporta una mera successione soggettiva nel credito, con la conseguenza che il rapporto giuridico resta inficiato sin dall’origine. In questa logica, il sequestro impeditivo può essere disposto per ostacolare l’utilizzo del credito indebitamente generato, a prescindere dalla buona fede del cessionario.
Non solo: la Corte ha chiarito che la disciplina di cui all’art. 121 D.L. 34/2020, secondo cui la responsabilità del cessionario rileva solo in caso di dolo o colpa grave, e comunque limitatamente all’ambito fiscale, non esplica alcun effetto preclusivo in ambito penale (Cass. pen., sez. II, sent. 12.07.2024, n. 28064).
Dunque, sul piano generale del sistema giuridico, si assiste a una vera e propria distorsione del sequestro impeditivo: da strumento pensato per bloccare il reato e prevenirne la ripetizione, viene trasformato in una misura patrimoniale che colpisce indirettamente anche chi non ha responsabilità penali, senza adeguate garanzie e prima ancora che sia accertato un reato in via definitiva.
Dal punto di vista costituzionale, pone un ulteriore problema in relazione all’art. 42 della Costituzione, che tutela la proprietà privata. Colpire con il sequestro un credito acquisito legittimamente e senza alcuna condotta colpevole da parte del cessionario, e farlo senza prevedere alcun tipo di garanzia di indennizzo, rischia di violare questo principio fondamentale.
La buona fede, dunque, non protegge. L’interesse pubblico alla repressione delle frodi prevale, in sede penale, sulle esigenze di certezza del diritto e tutela dei terzi. Il cessionario rischia non solo il sequestro del credito, ma anche, in caso di utilizzo in compensazione, una contestazione per indebita compensazione ai sensi dell’art. 10-quater D.Lgs. 74/2000.
Con l’ordinanza 14.05.2025, n. 12974 la Cassazione torna su un concetto centrale connesso all’elaborazione della busta paga: vige un principio di autonomia del rapporto contributivo rispetto all’obbligazione retributiva, la cui conseguenza è un minimale contributivo normalmente inderogabile.
In altri termini, ai fini dell’individuazione della base imponibile e quindi del prelievo contributivo, a nulla rileva un’eventuale riduzione dell’orario lavorativo, o similare, dovuta a eventuali pattuizioni o situazioni che fuoriescano dalle ipotesi strettamente individuate ex lege o per contratto collettivo (quali malattia, maternità, infortunio, aspettativa, permessi, cassa integrazione).
La contribuzione, infatti, ricorda la Suprema Corte, in ossequio all’art. 1 D.L. 338/1989 (conv. con L. 389/1989), si determina sul dovuto e non sull’effettivamente erogato, nella misura in cui è ivi stabilito che “La retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo”.
C’è un aspetto che molte aziende e troppi professionisti continuano a sottovalutare nella gestione della propria rete commerciale: la formazione degli agenti.
Ancor’oggi sento qualcuno che afferma: “Chi è portato per vendere, vende comunque”, oppure che “Un buon agente si arrangia e si forma sulla strada”. Vero fino a un certo punto, ma oggi non basta più.
Noi lo vediamo tutti i giorni: il mercato è cambiato, i clienti sono cambiati e le modalità di acquisto pure. Eppure, in molte reti vendita si continua a operare come 10 o 15 anni fa. Un esempio: “Quando vado dal cliente osservo l’ambiente e se vedo qualcosa che possa identificare un suo interesse, quadro, soprammobile o altro, lo faccio parlare di questo suo interesse”. Giusto. Come un fax: anch’esso fa arrivare messaggi istantanei … Ma una veloce ricerca su Internet, sui social gli darebbe ben più informazioni del poster del Milan alle spalle.
Chi lavora in prima linea lo sa: senza una preparazione continua, si resta indietro. E quando si resta indietro … si vendono solo sconti e ci si lamenta per la crisi di mercato. Strano però: in 40 anni di lavoro con gli agenti non ho trovato un anno, dico uno, senza qualche crisi di mercato. A giorno d’oggi, chi forma sé stesso e i propri agenti costruisce valore. Un agente ben preparato è un agente che trasmette valore. E riceve … valori.
In merito alla liquidazione occorre tenere distinto lo scopo, dal relativo mezzo e dal modo. In ordine allo scopo che si persegue con la liquidazione, esso consiste nell’affrancare il capitale sociale dal vincolo di destinazione che lo investe nella fase costitutiva della società, in occasione della quale esso viene preordinato al perseguimento degli obiettivi statutari ed eventualmente nelle fasi successive di ulteriore potenziamento delle risorse economiche proprie della società.
Il mezzo per poter procedere alla restituzione del capitale sociale consiste nell’integrale estinzione delle passività sociali, per cui estinto ogni diritto di credito dei terzi, il capitale sociale viene a vertere nell’incondizionata potestà dispositiva dei soci. In ordine, infine, al modo, il legislatore non si ingerisce sulle modalità (in denaro o in natura) con cui i soci intendono distribuirsi il residuo patrimonio sociale.
Da tale tripartizione di fine, mezzo e modo deriva che in presenza di solo attivo o di solo passivo o di attivo incapiente a soddisfare lo stato passivo non occorre transitare per la liquidazione, dal momento che nel primo caso (presenza di stato attivo e mancanza di stato passivo) il patrimonio netto è già affrancato da qualsiasi vincolo e, quindi, nella condizione giuridicamente libera di essere restituito ai soci (in ordine al modo, si è già detto, il legislatore civilistico si dimostra disinteressato, partecipando esso delle sole facoltà decisionali dei soci).
Il cosiddetto “decreto fiscale” (D.L. 84/2025) non si limita a rivedere i versamenti per la stagione dichiarativa. C’è dell’altro. E quel “dell’altro” riguarda una materia che già aveva fatto parlare parecchio: il riporto delle perdite fiscali. Non è che fosse una sorpresa, a dire il vero. Il D.Lgs. 192/2024 (il decreto Irpef/Ires) aveva già messo mano alla disciplina con il suo art. 15, c. 1, lett. a), introducendo vincoli nuovi per le operazioni dal periodo d’imposta in corso al 31.12.2024. Ma evidentemente qualcosa non convinceva del tutto. O forse, come spesso accade nella prassi, l’applicazione pratica aveva evidenziato aspetti che sulla carta sembravano funzionare ma che poi, nei fatti, si rivelavano macchinosi.
La vera innovazione del D.Lgs. 192/2024 era stata la possibilità, in caso di fusioni o scissioni, dell’ancoraggio del riporto delle perdite al valore economico del patrimonio netto a valori reali, superando il mero dato contabile (e in alternativa allo stesso che ricordiamo prevede che le perdite sono riportabili agli esercizi successivi nel limite del patrimonio netto contabile, “depurato” dei versamenti e dei conferimenti degli ultimi 24 mesi). Una scelta che, nella sostanza, aveva senso: se una società vale di più di quanto risulti dai suoi libri, perché limitare il riporto delle perdite al solo valore “di carta”? Il nuovo c. 3-ter dell’art. 84 del Tuir stabiliva così che, superato il famoso “test di vitalità” del c. 3-bis, le perdite potessero essere riportate nei limiti del valore economico del patrimonio.
Nel quadro della mission di Consap (Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici Spa, società partecipata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze), particolare rilevanza è da attribuire alla gestione del Fondo di Garanzia Mutui Prima Casa. Tale Fondo è stato istituito con l’art. 1, c. 48, lett. c) L. 27.12.2013, n. 147 ed è finalizzato ad agevolare il rapporto tra il cittadino e la banca offrendo una garanzia pubblica, sul mutuo per l’acquisto della prima casa.
L’operatività del Fondo, prorogata fino al 31.12.2027 dalla legge di Bilancio 2025 (art. 1, cc. 113-115 L. 207/2024), ammette quali soggetti beneficiari:
– giovani che non hanno compiuto 36 anni di età;
– giovani coppie coniugate ovvero conviventi more uxorio, il cui nucleo familiare sia stato costituito da almeno 2 anni e in cui uno dei due componenti non abbia superato 35 anni di età ai nuclei familiari monogenitoriali con figli minori;
– nuclei familiari che includono 3 figli di età inferiore a 21 anni e con un valore dell’indicatore della situazione economica (Isee) non superiore a 40.000 euro annui;
– nuclei familiari che includono 4 figli di età inferiore a 21 anni e con un valore dell’Isee non superiore a 45.000 euro annui;
Con l’entrata in vigore, dal 13.06.2025, delle modifiche apportate all’art. 25-bis, c. 5-bis D.Lgs. 546/1992 ad opera dell’art. 16 D.Lgs. 81/2025, cambia in modo significativo la disciplina relativa all’attestazione di conformità dei documenti cartacei digitalizzati nel processo tributario. In particolare, la nuova formulazione stabilisce che gli atti e i documenti cartacei, una volta depositati in formato PDF nel fascicolo telematico, non devono essere nuovamente presentati nelle fasi successive o nei diversi gradi di giudizio, purché siano corredati da un’attestazione di conformità al documento analogico detenuto dal difensore.
Si abbandona, quindi, la vecchia impostazione che richiedeva la conformità all’“originale”, concetto che aveva creato difficoltà interpretative e operative tra i professionisti, generando il rischio di inutilizzabilità probatoria dei documenti in assenza del documento originario. Con la riformulazione, il legislatore chiarisce che l’attestazione riguarda semplicemente la corrispondenza tra il documento cartaceo consegnato al difensore (ad esempio, dal cliente) e la sua riproduzione in PDF, prescindendo dal possesso dell’originale. L’attestazione deve essere redatta in un file separato, firmato digitalmente, e depositato contestualmente all’atto processuale cui si riferisce (costituzione in giudizio, memoria, produzione documentale, ecc.).
Con la sentenza 5.06.2025, n. 87 il Tribunale ordinario di Trento, Sezione Lavoro, si è pronunciato per la prima volta sull’ambito applicativo della presunzione legale di dimissioni per fatti concludenti, introdotta con l’art. 19 L. 203/2024, mediante l’inserimento del c. 7-bis all’art. 26 D.Lgs. 151/2015.
La novella legislativa riconosce al datore di lavoro, al ricorrere di determinati presupposti, la facoltà di ritenere cessato il rapporto di lavoro per implicita volontà del lavoratore, in caso di protratta assenza ingiustificata. La norma configura, dunque, una presunzione legale relativa, subordinata alla sussistenza di un’assenza ingiustificata eccedente il limite previsto dal contratto collettivo applicabile, ovvero, in mancanza, superiore a 15 giorni. La cessazione opera mediante comunicazione formale agli enti competenti, con obbligo di attenta verifica dell’effettiva ricorrenza dei presupposti contrattuali e normativi.
Nel caso sottoposto al vaglio del giudice trentino, una lavoratrice del settore terziario, impiegata in regime di lavoro agile, non aveva ripreso servizio alla scadenza del periodo comunicato per il rientro in presenza, interrompendo la prestazione lavorativa dal 7.01.2025. Il datore, ritenendo integrata l’ipotesi di dimissioni per facta concludentia, aveva inoltrato comunicazione di cessazione al Servizio Lavoro provinciale il 13.01.2025.
La lavoratrice ha impugnato la cessazione, contestandone l’assenza di forma scritta e l’insussistenza dei presupposti di legge e contrattuali.