PMI sostenibili e banche: come comunicare con le banche

Non solo rendicontazione: la sostenibilità come asset strategico – La comunicazione dei dati ESG non può limitarsi alla redazione del bilancio di sostenibilità, fotografia statica di un passato non più modificabile, ma deve invece diventare uno strumento vivo, capace di supportare l’impresa nell’analisi dei rischi e nella gestione di scenari complessi.

L’attuale crisi legata ai dazi doganali di origine trumpiana è un esempio concreto: chi dispone di sistemi ESG solidi può anticipare impatti, ripensare la catena del valore e attivare rapidamente contromisure. In questo senso, i dati ESG non servono solo a rendicontare, ma anche a prevedere.

Dati ESG come base per la previsione e la simulazione – integrati con i dati finanziari, gli indicatori ESG aiutano a:

– mappare l’esposizione a rischi geopolitici, normativi e ambientali;

– valutare l’effetto di shock esterni su mercati e stakeholder;

– orientare strategie verso modelli più resilienti.

Le banche, sempre più vincolate a criteri di sostenibilità nei propri portafogli, cercano imprese in grado non solo di raccontare ciò che hanno fatto, ma di dimostrare di saper affrontare crisi future. La comunicazione ESG, quindi, deve evidenziare anche la capacità di simulare scenari avversi, piani di gestione del rischio integrati, una governance pronta a reagire e la tenuta della supply chain in ottica ESG.

Chi riesce a rappresentare in modo credibile la propria resilienza attraverso dati aggiornati e verificabili rafforza il dialogo con il sistema bancario, migliora l’accesso al credito e si posiziona in modo più competitivo sul mercato.

Frequenza e tempestività: quando comunicare – La comunicazione non deve essere occasionale: è opportuno aggiornare i dati ESG almeno ogni 6 mesi, o in occasione di richieste finanziarie e cambiamenti strategici. La tempestività rafforza la percezione di affidabilità.

Canali e strumenti – Oltre a un documento formale quale il bilancio di sostenibilità, vanno attivati canali informativi integrati, tra cui: dashboard ESG dedicate alle banche; report sintetici mirati ai profili di rischio; incontri periodici di aggiornamento, anche digitali; newsletter o comunicazioni su progetti e certificazioni.

La qualità e la tracciabilità dei dati, basati su standard riconosciuti come GRI, SASB o ESRS, sono essenziali per garantire trasparenza e credibilità.

Ma soprattutto, i dati ESG devono essere utili: non un mero adempimento, ma uno strumento strategico per accedere al credito in modo più efficiente.

Conclusione – In un contesto economico incerto e in rapido mutamento, comunicare in modo strutturato e continuo i dati ESG alle banche significa dotarsi di una vera e propria bussola strategica.

Non si tratta più solo di dimostrare sostenibilità: oggi è indispensabile saperla prevedere, raccontare e gestire in chiave evolutiva.

Le imprese che riescono a comunicare la propria capacità di reazione e adattamento a scenari critici, sostenuta da una governance solida e da dati ESG aggiornati, coerenti e verificabili, ottengono quindi un vantaggio competitivo reale: maggiore fiducia da parte del sistema bancario, condizioni di credito più favorevoli e accesso facilitato a capitali pazienti e responsabili.

Nel prossimo e conclusivo articolo della serie, esamineremo in modo approfondito il piano e la frequenza di comunicazione dei dati ESG: un appuntamento da non mancare.

Parametri di prova della società fraudolentemente interposta

Per la Corte di Cassazione: “In tema di accertamento sulle imposte dirette e sull’Iva, nei confronti del soggetto che abbia gestito uti dominus una società di capitali, si determina, ai sensi dell’art. 37, c. 3 D.P.R. 600/1972, la traslazione del reddito d’impresa e delle relative imposte, in quanto effettivo possessore del reddito della società interposta. A tali fini incombe sull’Amministrazione Finanziaria l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, il totale asservimento della società interposta all’interponente, spettando quindi al contribuente l’onere di fornire la prova contraria dell’assenza di interposizione ovvero della mancata percezione dei redditi del soggetto interposto” (Cass. 17.01.2023, n. 1358).

Sotto il profilo sanzionatorio, va sottolineato come la giurisprudenza abbia evidenziato che nell’interposizione del gestore uti dominus alla società di capitali interposta ai sensi del cit. art. 37, c. 3 non ha rilievo il rapporto fiscale proprio di quest’ultima, ma quello che fa capo direttamente all’interponente in quanto effettivo possessore del reddito d’impresa, per cui la fattispecie esula dal disposto di cui all’art. 7 D.L. 269/2003 e le violazioni, pur formalmente dell’ente collettivo, vanno riferite alla sua attività. Tale ultima conclusione può dirsi ormai consolidata, essendo stato affermato il principio secondo cui le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica, ex art. 7 D.L. 269/2003, sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando essa sia gestita da un amministratore di fatto. Tuttavia, tale principio non opera nell’ipotesi di società “cartiera”, atteso che, in tal caso, la società è una mera fictio, utilizzata quale schermo per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a personale vantaggio dell’amministratore di fatto, con la conseguenza che viene meno la ratio che giustifica l’applicazione del suddetto art. 7, diretto a sanzionare la sola società con personalità giuridica, e deve essere ripristinata la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito (in tal senso, tra le altre, Cass., sent. 1.04.2024, n. 10651).

Non basta, quindi, che nell’avviso di accertamento venga attribuita a un presunto amministratore di fatto la responsabilità per le imposte e le sanzioni a carico della società, unicamente in ragione della sua sola qualità di amministratore di fatto di quest’ultima, senza indicare gli elementi presuntivi dai quali si ricaverebbe l’utilizzazione della società quale schermo illecitamente costituito per mascherare l’attività commerciale svolta per proprio personale conto dall’amministratore di fatto. Occorre che l’Ufficio dimostri un’ingerenza uti dominus nella società e la chiara manipolazione dello schermo societario piegato a un uso strumentale del tutto diverso rispetto alla sua autentica fisionomia legislativa.

L’insussistenza di validi elementi presuntivi, costitutivi della responsabilità dell’amministratore di fatto, esonera il giudice tributario dall’esame della prova contraria prodotta dal presunto uti dominus e implica la nullità dell’atto impositivo, non fondato su elementi indiziari gravi, precisi e concordanti. Si deve infatti considerare che il soggetto che assume solo la qualifica di amministratore di fatto di una società senza l’intento fraudolento di declinarne l’uso per intenti criminosi (al pari, ad esempio, di una cartiera) è gravato dell’intero novero dei doveri cui è soggetto l’amministratore di diritto, dovendo quindi assolvere ai medesimi obblighi, amministrativi e gestori. L’amministratore di fatto per la Cassazione non può, ad esempio, lamentare la lesione del proprio diritto di difesa per non aver ricevuto personalmente, da parte dell’ente impositore, la notificazione di un atto idoneo all’istaurazione del contraddittorio preventivo, in quanto esso va ritenuto essere comunque a conoscenza di ogni vicenda riguardante la società effettivamente strutturata ed esistente.

Come rilevato in dottrina il possesso del reddito “per interposta persona” costituisce il fatto ignoto oggetto della prova logica a carico dell’Ufficio, quale elemento che lega il reddito prodotto dal soggetto interposto al titolare effettivo. La norma che attribuisce la rilevanza dell’effettivo possesso del reddito in luogo della titolarità formale del medesimo, intende sancire la prevalenza della sostanza (possesso del reddito) sulla forma (titolarità del reddito) e della realtà sull’apparenza, dovendosi individuare non la natura fittizia o ingannevole della titolarità del reddito, bensì l’effettività dell’esercizio del possesso del reddito a prescindere dalla sua formale titolarità.

La sentenza storica del 6.02.2025 della Corte EDU

La storica sentenza scaturisce da un ricorso collettivo per saltum proposto da un imprenditore individuale e da 12 persone giuridiche italiane innanzi alla Corte di Strasburgo. I ricorrenti denunciavano la discrezionalità illimitata dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza,nonché l’assenza di tutele per il contribuente in caso di accessi, ricerche, ispezioni e verifiche dei controllori fiscali.

La Corte di Strasburgo sancisce degli esiti che erano ovvi già a partire dalla riforma fiscale degli anni ’70 del secolo passato. La prefata riforma fiscale è stata addirittura decantata come ben congegnata, senza considerare quanti abbiano osannato l’Iva come risolutiva dei problemi della precedente IGE. Da quanto stabilito dalla Corte EDU emerge che, sui punti trattati dalla decisione, le riforme fiscali erano costituite da veri obbrobri legislativi. La decisione della Corte di Strasburgo è tanto storica quanto ovvia.

Il Legislatore degli anni ’70 aveva impostato un sistema fiscale italiano basato su uno stato di Polizia in netta antitesi ai valori basilari della Carta costituzionale. Si narra che fino a non molto tempo addietro certi controllori fiscali irrompevano nei luoghi di esercizio aziendale addirittura armati. Sorge il dubbio se davvero servisse scomodare la Corte EDU per sancire degli esiti che potevano, e forse dovevano, essere sanciti dalla giurisprudenza domestica.

Formazione valida anche durante il distacco

La sentenza del Tribunale di Firenze 4.04.2025, n. 496 affronta un tema rilevante nell’ambito del diritto del lavoro: l’effettività della formazione nell’ambito del contratto di apprendistato, anche in presenza di periodi di distacco presso terzi. La vicenda nasce da un ricorso presentato da un lavoratore che contestava la validità del proprio contratto di apprendistato professionalizzante, sottoscritto il 31.01.2014 con una durata quinquennale.

Il lavoratore ha affermato di non aver ricevuto la necessaria formazione, chiedendo che il rapporto venisse qualificato come subordinato a tempo indeterminato a partire dal 3.02.2014, con conseguente pagamento di differenze retributive.

Prove documentali e testimonianze coerenti – La società ha prodotto il registro della formazione interna, corredato da firme, argomenti trattati e numero di ore svolte. A ciò si sono aggiunti gli attestati di partecipazione ai corsi esterni e le dichiarazioni testimoniali rilasciate da colleghi direttamente coinvolti nell’affiancamento del lavoratore.

Sopravvenienze attive da sentenza: il momento impositivo è il deposito

Con l’ordinanza 6.05.2025, n. 11917, la Cassazione è intervenuta nuovamente in materia di sopravvenienze attive di natura giudiziale, chiarendo in modo ancora più dettagliato quando questi componenti positivi di reddito devono essere imputati a tassazione. Il principio cardine ribadito dai giudici di legittimità è che la tassabilità delle sopravvenienze originate da una pronuncia giudiziale matura al momento del deposito della sentenza, purché non ne sia stata sospesa l’efficacia esecutiva.

Com’è noto, in linea generale, ai fini Ires, in virtù di quanto previsto dall’art. 109, c. 1 del Tuir, i componenti positivi di reddito devono essere imputati all’esercizio in cui si verificano congiuntamente i requisiti della certezza nell’esistenza e della obiettiva determinabilità. In ambito contenzioso, ciò significa che la sopravvenienza attiva (come può essere il venir meno di un debito o il riconoscimento di un credito) deve essere dichiarata non al momento del giudicato, ma quando il provvedimento giudiziario viene depositato, se da questo momento emergono in modo netto gli elementi per configurare la componente reddituale.

Welfare e piattaforme digitali: la risposta dell’Agenzia delle Entrate

La società istante intende concedere, nell’ambito di un piano di welfare aziendale, una serie di beni e servizi ai propri dipendenti, servendosi di una piattaforma digitale gestita da un provider. All’interno della piattaforma, ciascun dipendente troverebbe la propria carta di debito nominativa, utilizzabile solo per fruire di beni e servizi, presso un elenco di esercenti autorizzati e nel limite del budget di spesa prestabilito. Tale importo non risulterebbe in alcun modo convertibile e/o monetizzabile, neanche parzialmente, né sarebbe possibile far utilizzare la carta ad altri soggetti non autorizzati.

Secondo l’istante, tale carta di debito rientra nella fattispecie dei documenti di legittimazione ai sensi dell’art. 51, c. 3-bis del Tuir e possono essere assimilati, ai sensi dell’art. 6, c. 2 D.M. Lavoro-Economia 25.03.2016, ad un voucher cumulativo. Accogliendo tale interpretazione, i sostituti d’imposta che scelgano di utilizzare questa tipologia di carta, non dovranno operare la ritenuta a titolo di acconto sul valore dei bene e dei servizi di cui all’art. 51, c. 3, ultimo periodo, del Tuir assegnati gratuitamente ai propri dipendenti mediante l’utilizzo della carta di debito in oggetto.

Le ore di viaggio sono orario di lavoro? Sono da retribuire?

Nel contratto di assunzione la sede di lavoro deve essere indicata (D.Lgs. 104/2022), come deve essere specificato che il lavoratore potrà svolgere la propria attività anche presso altre sedi, o che non vi è sede di lavoro, dovendo abitualmente lavorare in trasferta. Analizziamo e valutiamo le diverse situazioni.

Il tempo che il lavoratore impiega dalla propria abitazione per raggiungere la sede aziendale non è tempo di lavoro, quindi tempo non retribuito; per questo è rilevante il disagio dei cosiddetti “pendolari” che devono sostenere personalmente i costi per raggiungere la sede di lavoro.

L’orario di lavoro è disciplinato dal D.Lgs. 66 /2003, specificatamente l’art. 1, c. 2, lett. a) attesta che l’orario di lavoro è qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, mentre l’art. 8 attesta che il tempo impiegato quotidianamente per raggiungere la sede lavorativa o durante una trasferta non viene considerato parte della prestazione lavorativa vera e propria. Il tempo di viaggio dalla sede aziendale al luogo indicato dove svolgere il lavoro è tempo di lavoro normalmente retribuito.

Scadenze della precompilata 2025

Dal 30.04.2025 l’Agenzia delle Entrate ha reso disponibile la dichiarazione precompilata.

Il primo controllo sulla dichiarazione precompilata 2025, a disposizione nell’area dedicata del sito dell’Amministrazione Finanziaria, sia nella modalità semplificata che in quella ordinaria, consente di mettere a fuoco le voci su cui sarà necessario un supplemento di istruttoria in vista dell’avvio della seconda fase dove sarà possibile, dal 15.05.2025, accettare o modificare il modello e trasmetterlo.

L’attenzione si deve concentrare proprio sugli immobili e sulla situazione familiare, in quanto da una prima analisi a campione delle dichiarazioni è particolarmente alto il rischio di incongruenze e disallineamenti.

Anche sui redditi occorrerà porre molta attenzione, in particolare a partire dalle pensioni, sulle quali è arrivata qualche segnalazione di incompletezza dei dati.

Da quest’anno anche coloro che aderiscono al regime forfetario troveranno precompilato il quadro LM, ma solo in parte. Il provvedimento 23.04.2025, n. 193922 prevede, infatti, che, dal 2025, ai fini dell’elaborazione della dichiarazione precompilata modello Redditi PF, siano utilizzate, in via sperimentale, le informazioni reddituali tratte dai dati delle fatture elettroniche trasmesse allo SdI e dai dati dei corrispettivi giornalieri inviati nel 2024 dai soggetti in questione.

Le tasche piene di sassi

L’elenco degli artisti e dei poeti che si sono confrontati con il senso di smarrimento causato dalla fine di una relazione è lunghissimo. Innumerevoli sono le opere che descrivono lo stato d’animo frustrante che affiora quando ci si trova a fare i conti con la perdita di qualcosa che si aveva e che ora non si ha. Lo esprimono la musica e la poesia, come nel celebre brano di Jovanotti: “Sono solo stasera senza di te, mi hai lasciato da solo davanti al cielo e non so leggere, vienimi a prendere, mi riconosci, ho le tasche piene di sassi”. A ben pensarci, il senso di delusione ci rende spesso irrazionali e le prove non mancano.

Chi gioca d’azzardo, ad esempio, continua a puntare anche dopo perdite significative, nel tentativo di recuperare il denaro speso, spesso con conseguenze finanziarie disastrose. Alcune persone restano intrappolate in relazioni infelici o tossiche per non vanificare il tempo e le energie investite, anziché considerare con lucidità il proprio benessere futuro. Allo stesso modo, studenti o lavoratori possono esitare a cambiare percorso accademico o professionale per non “sprecare” quanto già fatto, anche quando una nuova strada si prospetta più appagante o redditizia.

Tornando nel nostro contesto: come reagiamo quando riceviamo una rescissione unilaterale del mandato professionale? Cosa proviamo quando perdiamo un cliente? Nella maggior parte dei casi, l’irritazione è palpabile. Avvertiamo un senso di ingiustizia e ingratitudine: siamo sempre stati disponibili, mai un conflitto, abbiamo lavorato con dedizione… e questo è il risultato?

Accollo di debito: un mezzo anomalo di pagamento revocabile

La sentenza della Suprema Corte 24.04.2025, n. 10811 ha preso in esame l’interessante caso di revocatoria di un pagamento eseguito con mezzi anormali da parte di un terzo e rappresentato dall’accollo di un mutuo assunto dalla parte acquirente di un immobile di proprietà dell’impresa poi fallita, in funzione del quale l’acquirente aveva soddisfatto gli interessi creditori della banca, a fronte del mutuo concesso alla fallita, garantito dall’ipoteca immobiliare.

L’istituto di credito aveva contestato la pronuncia extra petita della Corte di merito che, a fronte di una richiesta di revoca dei negozi di accollo da parte della curatela, aveva revocato in realtà il pagamento dei rapporti di mutuo. L’accollo non aveva in sé alcun effetto assolutorio, comportando solo una variazione nel lato passivo del rapporto obbligatorio, posto che al debitore originario (fallendo), accollato, si aggiunge (accollo cumulativo) ovvero si sostituisce (accollo liberatorio), il nuovo debitore accollante, senza alcun effetto estintivo dell’obbligazione originaria.

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