Permessi elettorali e busta paga: regole per maggio e giugno

Con l’arrivo dei cedolini paga relativi alle prossime mensilità, le aziende e i consulenti del lavoro devono fare i conti con una casistica ricorrente in periodo elettorale: la corretta gestione dei permessi per attività elettorali. Tra elezioni amministrative e referendum abrogativi, numerosi lavoratori dipendenti sono stati chiamati a svolgere incarichi nei seggi in qualità di presidenti, segretari, scrutatori o rappresentanti di lista. Ma quali sono le regole per gestire tali assenze?

Cosa spetta al lavoratore che partecipa ai seggi – Chi ha preso parte alle operazioni elettorali ha diritto a un trattamento economico specifico, definito dalla L. 69/1992. In particolare, per i giorni lavorativi trascorsi al seggio, il lavoratore deve ricevere la normale retribuzione che avrebbe percepito svolgendo l’attività in azienda. Per i giorni festivi o non lavorativi, è prevista una retribuzione aggiuntiva oppure, in alternativa, un riposo compensativo.

La scelta tra retribuzione aggiuntiva e riposo compensativo non è rigidamente normata. In genere, la decisione è concordata tra dipendente e datore di lavoro, ma la prassi suggerisce che il riposo venga fruito immediatamente dopo la chiusura del seggio, per garantire il recupero delle energie psicofisiche.

Attenzione al sabato: dipende dal contratto – La gestione dei permessi cambia a seconda dell’orario settimanale del lavoratore:

– se lavora su 6 giorni (tipicamente dal lunedì al sabato), svolgere attività elettorali da sabato a lunedì dà diritto alla retribuzione normale per sabato e lunedì (giorni lavorativi) e a una giornata aggiuntiva (o riposo) per la domenica;

– se lavora su 5 giorni (dal lunedì al venerdì), si retribuisce solo la domenica come giornata extra. Il sabato, pur non lavorato, è spesso considerato giornata a zero ore e non dà diritto al recupero.

In quest’ultimo caso, è però essenziale verificare il contratto collettivo applicato, poiché se il sabato è definito come giorno non lavorativo a tutti gli effetti, allora anche questa giornata può rientrare tra quelle indennizzabili.

Obblighi informativi prima e dopo il servizio – Il lavoratore chiamato a svolgere funzioni elettorali ha l’obbligo di informare preventivamente il datore di lavoro, verbalmente o per iscritto, anche allegando il certificato di convocazione.

Alla fine delle operazioni, dovrà invece consegnare un attestato firmato dal presidente del seggio e timbrato dalla sezione elettorale, riportante i giorni e le ore di servizio svolto. Questo documento è indispensabile per giustificare l’assenza e per il riconoscimento dei compensi o dei riposi spettanti.

Permessi elettorali e cassa integrazione: cosa dice la legge – Particolare attenzione va prestata nei casi in cui il lavoratore sia in cassa integrazione guadagni (CIG). Secondo Confindustria, il diritto a retribuzione o riposi compensativi per attività elettorali non sussiste se il rapporto di lavoro risulta sospeso. Se l’azienda ha comunicato in anticipo la sospensione lavorativa per CIG, il dipendente non ha diritto ad alcun trattamento aggiuntivo per i giorni trascorsi al seggio.

La stessa posizione è stata ribadita dalla Cassazione con la sentenza n. 29744/2018. La Suprema Corte ha escluso il riconoscimento del riposo compensativo per i lavoratori in CIG, evidenziando che l’istituto è volto a compensare lo sforzo lavorativo in giorni festivi. In assenza di un obbligo lavorativo, non può esserci compensazione.

Conclusioni operative – In vista delle elaborazioni delle prossime buste paga, i datori di lavoro devono:

– verificare le comunicazioni preventive e gli attestati rilasciati dai seggi;

– applicare correttamente la retribuzione ordinaria o aggiuntiva in base ai giorni coinvolti;

– concordare con il lavoratore eventuali riposi compensativi, garantendone la fruizione immediata;

– attenzionare con cura i casi di CIG, per i quali non spettano né retribuzione né riposo per l’attività elettorale.

Forfetari e ordinario: vincolo triennale anche per i professionisti?

Il tema dell’opzione per il regime ordinario esercitata dai professionisti in possesso dei requisiti per il forfetario sta assumendo rilevanza pratica sempre maggiore, con risvolti interpretativi tutt’altro che pacifici. La questione centrale, infatti, riguarda la possibilità per i professionisti di derogare al vincolo triennale previsto dalla L. 190/2014, analogamente a quanto già riconosciuto alle imprese minori in contabilità semplificata. L’art. 1, c. 70 costituisce il fulcro della questione: la norma stabilisce che i contribuenti forfetari possono optare per l’applicazione dell’Iva e delle imposte sul reddito nei modi ordinari, con un vincolo di permanenza minimo triennale. Decorso tale periodo, l’opzione resta valida per ciascun anno successivo fino a revoca espressa.

Il quadro, però, è stato ridisegnato dalla risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 64/E/2018, che ha introdotto un primo importante distinguo: per le imprese in contabilità semplificata ex art. 18 D.P.R 600/1973, il vincolo triennale non trova applicazione. La motivazione? Sia il regime di cassa applicato da tali imprese che quello forfetario sono considerati “regimi naturali” per i contribuenti minori. Tale orientamento è stato successivamente confermato dalla circolare n. 9/E/2019, al paragrafo 3.1. Questa differenziazione sembra fondarsi sull’assunto che l’art. 1, c. 70 L. 190/2014 faccia riferimento esclusivamente alla contabilità ordinaria. In questa visione, il vincolo triennale permarrebbe soltanto nei casi, numericamente modesti, di opzione esplicita per il regime di contabilità ordinaria.

Clienti storici e parcelle: perché è ora di cambiare approccio

Uno dei temi più ricorrenti che incontriamo in BDM Associati è: molti titolari di studio non gestiscono i clienti come dovrebbero. E non per mancanza di volontà o professionalità. Il problema è più sottile: oggi gestire un cliente significa condurre la relazione con metodo, consapevolezza e visione imprenditoriale.

Il primo ostacolo? La mancanza di dati. “Quante ore dedichi davvero a quel cliente? Quanto ha generato negli anni? Quanto margine ti lascia?” Spesso si risponde “a sensazione”, ma senza numeri manca autorevolezza. Così, se un cliente storce il naso sul compenso, si tende a cedere. Magari perché “lo seguiva mio padre” o “siamo amici da vent’anni”. E allora? Non aggiorni i compensi, non rivedi il servizio, non introduci novità.

Il risultato? Una perdita costante e silenziosa.

Non sto dicendo di alzare i prezzi a tutti. Ma se il costo del servizio supera la parcella, l’unica alternativa è continuare a perdere. Bisogna affrontare il cliente con trasparenza, dati alla mano: “Posso mostrarti cosa stiamo facendo per voi? Il livello di servizio che vi offriamo è superiore a quello standard e, oggi, non è più sostenibile. Sono in perdita, o sotto tariffa, e dobbiamo decidere insieme se aggiornare la parcella o modulare il servizio”.

Due i punti chiave: parlare di servizio (non di parcella) e guardare al futuro, non al passato. Perché se oggi perdi soldi su un cliente e “a parità di accordo” li perderai anche l’anno prossimo, che senso ha tenerlo? Sì, fa volume, ma è anche il motivo per cui lo studio non migliora.

Paradossalmente, i clienti più affezionati diventano spesso i meno profittevoli e più ingestibili, quando invece dovrebbero essere quelli con cui, grazie alla relazione, è più facile riprogettare il futuro.

Un altro ostacolo? Il “come glielo dico?”. Per questo ho simulato il dialogo: tanti hanno paura di sembrare arroganti o rovinare il rapporto. Così rinviano, usano giri di parole o mandano e-mail sperando che il messaggio passi. Ma così non si comunica, si elude. Serve chiarezza, rispetto, determinazione. Bisogna passare da un rapporto lose-win (dove tu perdi e il cliente ha dei benefici) a un rapporto win-win, sostenibile per entrambi.

Serve anche preparazione. I tuoi prezzi come si posizionano rispetto al mercato? Se sono più alti ma giustificati dal servizio, non è un problema. Ma se hai dubbi, allora ti servono benchmark concreti. I prezzi “dell’Ordine” sono spesso solo un riferimento, sovrastimato, per rendere evidente al cliente uno sconto rispetto ai prezzi ufficiali. Quello che serve è un modello economico coerente con la tua strategia. Anche su questo possiamo aiutarti.

Il punto vero però è un altro: perché è fondamentale imparare a gestire i clienti?

Perché è il tuo lavoro, in quanto titolare di studio. Il libero professionista offre qualità e ottiene clienti soddisfatti. Il titolare, invece, ha un compito diverso: far funzionare bene lo studio.

Un titolare efficace crea un’organizzazione capace di generare margini, soddisfazione e qualità della vita. Questa visione si realizza solo se impari a governare le relazioni. E ricorda: se non sei tu a gestire il cliente, sarà lui a gestire te.

Fatture generiche: approfondimenti sul piano fiscale e civilistico

Premesso che la fattura non dispone di una configurazione definitoria e neppure che essa deriva da una precisa struttura grafica (art. 21, c. 1 D.P.R. 633/1972), il suo paradigma strutturale viene legislativamente fatto coincidere con la rappresentazione cartolare dell’operazione imponibile o comunque rilevante ai fini Iva, in unione con il preciso contenuto descrittivo dell’art. 21, c. 2 D.P.R. 633/1972, pur esso determinante ai fini della qualificazione del documento alla stregua di “fattura”.

Solo il documento emesso in aderenza alle informazioni indicate nell’art. 21 D.P.R. 633/1972 costituisce un’espressione di cartolarizzazione del contratto e degli obblighi giuridici che da esso derivano. In tal senso è anche la pronuncia della Corte di Cassazione 25.07.2024, n. 20719, la quale ribadisce che, sia in tema di imposizione diretta e sia in tema di Iva, la fattura costituisce elemento probatorio a favore dell’impresa solo se redatta in conformità ai requisiti di forma e di contenuto prescritti dall’art. 21 D.P.R. 633/1972.

Tale orientamento risulta conforme alla giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 15.09.2016, causa C-516/14), secondo la quale la normativa unionale prescrive l’obbligatorietà dell’indicazione dell’entità e della natura dei servizi forniti (art. 226, p. 6 della Direttiva n. 2006/112), nonché della specificazione della data (art. 226, p. 7) in cui è effettuata o ultimata la prestazione di servizi, al fine di consentire alle Autorità fiscali di controllare l’assolvimento dell’imposta dovuta e, se del caso, la sussistenza del diritto alla detrazione dell’Iva.

Commercialista tradizionale o professionista tecnologico?

Le tecnologie digitali, con l’intelligenza artificiale in prima linea, stanno rapidamente trasformando l’intero scenario professionale, aprendo nuove rotte e prospettive che fino a pochi anni fa avremmo giudicato fantascientifiche.

Il professionista si trova oggi di fronte a una scelta che, senza esagerazione, potremmo definire “epocale”: continuare a identificarsi esclusivamente con i tradizionali servizi di tenuta contabile e adempimenti dichiarativi, oppure abbracciare il cambiamento e assumere un ruolo di advisor evoluto, in grado di integrare strumenti digitali avanzati nella propria attività. Molti colleghi, comprensibilmente, trovano rassicurante restare ancorati a modelli consolidati, confidando che la tempesta innovativa sia solo passeggera.

Eppure, l’esperienza insegna che le grandi trasformazioni non si arrestano davanti alla resistenza: chi non si adatta rischia di vedere ridotto, anno dopo anno, il proprio spazio competitivo.

Videosorveglianza, istanza unica di autorizzazione per più Province

Per l’installazione e l’uso di impianti di videosorveglianza o di altri strumenti dai quali possa derivare un controllo a distanza del lavoratore, le imprese con più unità produttive site in Province diverse ma facenti capo, per competenza territoriale, a un solo ITL competente per più Province, possono presentare allo stesso Ufficio una sola istanza di autorizzazione ex art. 4 L. 300/1970. È quanto ha spiegato l’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la nota 26.05.2025, n. 4757, a ulteriore chiarimento delle indicazioni operative fornite con la circolare INL 14.04.2023, n. 2572.

In base all’art. 4, c. 1 L. 300/1970, l’utilizzo di sistemi di videosorveglianza o di altri sistemi potenzialmente in grado di controllare a distanza il lavoratore è consentito solo:

– in presenza di esigenze organizzative e produttive (ad esempio, impiego di macchinari e impianti che necessitano di continuo monitoraggio; controllo video della qualità di prodotto / processo; impianti che richiedono frequenti interventi di manutenzione urgente);

LBO: nessun abuso se l’azienda cambia assetto per crescere

L’operazione analizzata dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Reggio Emilia nella sentenza 5.05.2025, n. 111 ha riguardato un classico schema di Merger Leveraged Buy-Out (MBLO), nel quale i soci di una società operativa cedevano le proprie partecipazioni, precedentemente rivalutate, a una società veicolo (SPV) partecipata dagli stessi cedenti e da un investitore istituzionale. Successivamente, la SPV deliberava una fusione inversa con la società target. In questo contesto l’Agenzia ha qualificato l’operazione come elusiva, emettendo il relativo avviso di accertamento e contestando la sussistenza di un indebito risparmio d’imposta.

Il perno della contestazione erariale risiede nell’asserito abuso del diritto, ai sensi dell’art. 10-bis L. 212/2000. Secondo l’Ufficio, infatti, la sequenza degli atti avrebbe avuto come finalità essenziale l’aggiramento della tassazione ordinaria sui dividendi, ottenuto tramite una cessione di partecipazioni, più favorevolmente tassata. La tesi dell’Amministrazione presume che i soci avrebbero “dovuto” procedere alla distribuzione dei dividendi per circa 17 milioni di euro prima della cessione e che la società avrebbe quindi dovuto operare ritenute per oltre 3 milioni di euro.

Nuove regole per le imprese in liquidazione

La riforma fiscale (in particolare, il D.Lgs. 192/2024) ha integralmente sostituito l’art. 182 del Tuir, riguardante la liquidazione ordinaria, a seguito delle difficoltà procedurali del relativo regime, attuando un ribaltamento del criterio di tassazione rispetto alla previgente normativa. Le nuove disposizioni si applicano alle liquidazioni che hanno inizio successivamente alla data di entrata in vigore del decreto (31.12.2024).

Lo scenario precedente, in sintesi, prevedeva che il reddito degli esercizi compresi nella liquidazione si determinasse in via provvisoria, in base al rispettivo bilancio. Tali redditi, tuttavia, diventavano definitivi nell’ipotesi in cui la liquidazione dell’impresa individuale o della società di persone si protraesse per più di 3 esercizi (5 esercizi in caso di soggetti Ires). Analoga situazione nel caso in cui fosse stata omessa la presentazione del bilancio finale.

Il nuovo art. 182 del Tuir lascia sostanzialmente invariato il primo comma e, pertanto, il reddito di impresa relativo al periodo compreso tra l’inizio dell’esercizio e l’inizio della liquidazione è determinato seguendo le regole ordinarie sulla base dell’apposito conto economico redatto secondo le regole previste dal regime contabile adottato. Inoltre, sia nella nuova che nella previgente normativa, resta fermo il principio che il reddito relativo al periodo di liquidazione viene determinato sulla base del bilancio finale.

Innovazione nella consulenza: il GPT “Consulente Codici Ateco 2025”

Lo abbiamo già affermato più volte in queste pagine: i GPTS possono essere un ottimo supporto al commercialista e all’imprenditore e allo stesso tempo una finestra di visibilità per il professionista che li mette a disposizione della rete. È il caso di Consulente Codici Ateco 2025 un GPTS creato da uno studio professionale italiano (Simona Baseggio) che ha creato un vero e proprio agente per comprendere l’attività che si intende svolgere e trovare il codice Ateco 2025 corretto.

La knowledge base è trasparente (talvolta i GPTS hanno ordine di nasconderla) e consente al GPTS di fornire risposte solo con ricerche nei documenti ufficiali. Tra la documentazione caricata troviamo le note esplicative Ateco 2025, la nota informativa e metodologica, la risoluzione Ateco 2025, le normative di riferimento UE, il comunicato stampa del 10.04.2025 oltre a una serie di file Excel di raccordo Ateco 2022-Ateco 2025.

Il GPTS è stato ripetutamente testato e corretto con caricamento di ulteriore documentazione e indicazioni ad hoc.

Casi come questo si stanno rapidamente diffondendo (si pensi che il mio Assistente al Revisore delle PMI, già citato in questa rubrica, ha superato le 1.000 visualizzazioni e, ciononostante, continua a conservare un rating di 4.3) e rappresentano esempi virtuosi di servizio gratuito che crea valore.

Parte del compenso dei professionisti va in chirografo

Sempre più spesso si assiste al mancato riconoscimento, nello stato passivo di una liquidazione giudiziale, del privilegio di cui all’art. 2751-bis, n. 2 c.c. sulle spese generali e sui compensi riconosciuti ai professionisti che hanno prestato la propria attività di consulenza, rappresentanza e difesa a beneficio del debitore. È opportuno rilevare, al fine di delibare la questione, che la L. 29.07.1975, n. 426 ha introdotto i privilegi generali di cui all’art. 2751-bis c.c., riferiti tutti a crediti connessi in qualche modo con l’attività lavorativa dei soggetti creditori. La norma, coerentemente con le sue radici, riveste un ruolo centrale nel sistema dei privilegi, reso evidente nell’ordine tracciato all’art. 2777 c.c.

Tali brevi considerazioni generali conducono a esaminare la questione, tenendo conto della necessità di interpretare questo privilegio, che, a eccezione delle spese di giustizia, determina una preferenza su ogni altra categoria di privilegi generali e speciali, escludendo il ricorso ad ampliamenti in via analogica.

Il rimborso per spese generali spettante all’avvocato è previsto all’art. 2 D.M. 55/2014, ove si legge che è “[…] oltre al compenso e al rimborso delle spese documentate in relazione alle singole prestazioni, all’avvocato è dovuta, in ogni caso e anche in caso di determinazione contrattuale, una somma per rimborso spese forfettarie nella misura del 15% del compenso totale per la prestazione, fermo restando quanto previsto dai successivi artt. 5, 11 e 27 in materia di rimborso spese per trasferta”.

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