Il 30.04.2025 è scaduto il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale Iva 2025. In caso di errori o omissioni, il contribuente può rettificare o integrare la stessa presentando, secondo le modalità previste per la dichiarazione originaria, una nuova dichiarazione completa di tutte le sue parti. Presupposto per poter presentare la dichiarazione integrativa è che sia stata validamente presentata la dichiarazione originaria.
In caso di dichiarazione integrativa, occorre compilare l’apposita casella presente nel frontespizio del modello indicando:
– il codice 1, nell’ipotesi prevista dall’art. 8, c. 6-bis D.P.R. 22.07.1998, n. 322, entro il 31.12 del 5° anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, per correggere errori o omissioni, compresi quelli che abbiano determinato l’indicazione di un maggiore o di un minore imponibile o, comunque, di un maggiore o di un minore debito d’imposta ovvero di una maggiore o di una minore eccedenza detraibile. Resta ferma l’applicazione delle sanzioni e la possibilità di avvalersi dell’istituto del ravvedimento operoso;
– il codice 2, nell’ipotesi in cui il contribuente intenda rettificare la dichiarazione già presentata in base alle comunicazioni inviate dall’Agenzia delle Entrate, ai sensi dell’art. 1, cc. 634-636 L. 23.12.2014, n. 190, salva l’applicazione delle sanzioni e del ravvedimento. L’Agenzia delle Entrate, infatti, mette a disposizione del contribuente le informazioni che sono in suo possesso (acquisite direttamente o pervenute da terzi, relative anche ai ricavi o compensi, ai redditi, al volume d’affari e al valore della produzione, nonché ai crediti d’imposta, anche qualora gli stessi non risultino spettanti) dando la possibilità di correggere spontaneamente eventuali errori o omissioni, anche dopo la presentazione della dichiarazione.
L’eventuale credito derivante dal minore debito o dalla maggiore eccedenza detraibile risultante dalle dichiarazioni integrative, presentate entro il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo, può essere portato in detrazione in sede di liquidazione periodica o di dichiarazione annuale, oppure utilizzato in compensazione, ovvero, sempreché ricorrano per l’anno per cui è presentata la dichiarazione integrativa i requisiti di cui agli artt. 30 e 34, c. 9, chiesto a rimborso (art. 8, c. 6-ter D.P.R. 322/1998).
L’eventuale credito risultante dalle dichiarazioni integrative, presentate oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, può essere chiesto a rimborso ove ricorrano, per l’anno per cui è presentata la dichiarazione integrativa, i requisiti di cui agli artt. 30 e 34, c. 9, ovvero può essere utilizzato in compensazione; in quest’ultimo caso, lo stesso potrà essere utilizzato in F24 per eseguire il versamento di debiti maturati a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione integrativa.
Si ricorda, infine, che sono considerate valide anche le dichiarazioni tardive, presentate entro 90 giorni dal termine di scadenza (29.07), fatta salva l’applicazione delle sanzioni (di cui all’art. 5 D.Lgs. 18.12.1997, n. 471) pari al 120% dell’ammontare del tributo dovuto, per il periodo d’imposta o per le operazioni che avrebbero dovuto formare oggetto di dichiarazione, con un minimo di 250 euro (ravvedibile).
Conoscete la storia dell’elefante del circo? Da cucciolo viene legato con una robusta corda a un paletto. All’inizio, naturalmente, tenta di liberarsi (e chi non lo farebbe?), ma dopo vari tentativi falliti, si arrende. La cosa straordinaria è che crescendo, pur sviluppando una forza che gli permetterebbe di spezzare facilmente quel vincolo, rimane prigioniero. Non della corda, badate bene, ma di una convinzione limitante impressa nella sua memoria: “non posso liberarmi”.
Ebbene, spesso tutti noi ci comportano come quell’elefante! Prigionieri non di limiti reali, ma di convinzioni cristallizzate che col tempo trasformiamo in reali limitazioni. Come ci insegna la PNL (Programmazione Neuro Linguistica) “la mappa non è il territorio”, ma ciascuno di noi segue la mappa che ha in testa e non il territorio.
Confortevole gabbia delle nostre abitudini – Perché è così difficile cambiare le nostre routine in studio? La risposta sta in quella che in psicologia si chiama “comfort zone”, quell’area di sicurezza percepita che ci fa sentire protetti e competenti. È come una vecchia poltrona: magari non è più bellissima, anzi, forse è anche un po’ sfondata, ma conosciamo ogni sua curva e vi ci accomodiamo con naturalezza.
Come possiamo allora liberarci da queste catene invisibili? Il primo passo è quasi banale, ma tremendamente potente: la consapevolezza. Non possiamo cambiare ciò che non riconosciamo, di cui non ci rendiamo conto. Dobbiamo fermarci e chiederci, con semplice onestà: “Questa abitudine mi serve davvero oggi? Porta i risultati sperati? Oppure, è solo un rituale rassicurante che mi mantiene nella zona di comfort?”. Poi serve una visione e non parlo di vaghi desideri del tipo “vorrei uno studio più efficiente”. No, intendo qualcosa di tangibile e definito secondo il metodo SMART (Specifico, Misurabile, Accessibile, Realistico, Temporalmente definito). Senza una direzione chiara, qualsiasi strada sarà buona e, quindi, paradossalmente, nessuna lo sarà veramente! Il terzo elemento è la strategia, quel ponte che collega il nostro presente al futuro desiderato. Non si tratta di un salto nel vuoto, ma di un percorso strutturato.
Tecniche che funzionano davvero – L’esperienza mi ha insegnato che per modificare un’abitudine radicata servono alcune condizioni chiave. La prima: la motivazione intrinseca. Se cambiamo solo perché “il capo lo vuole”, durerà quanto una nevicata ad agosto! Ogni persona deve capire il vantaggio personale che ne trarrà e, credetemi, c’è sempre!
L’ambiente fisico poi gioca un ruolo sorprendente. Riorganizzate le postazioni dei collaboratori, fate periodicamente job rotation, fate lavorare insieme persone che di solito non lo fanno. Insomma, dovete ogni tanto mischiare un po’ le carte, rompere gli schemi e le abitudini. Preparatevi: incontrerete lamentele dei collaboratori, musi lunghi e poco sostegno all’inizio, ma se terrete duro per almeno un anno, vedrete magicamente i risultati fiorire.
E poi, non dimentichiamoci di celebrare i successi, anche quelli piccoli! Il cervello umano risponde magnificamente al rinforzo positivo. Un titolare o una titolare che si complimenta pubblicamente con chi ha implementato con successo una nuova procedura digitale crea un modello che altri vorranno seguire. È la nostra natura: ci piace essere riconosciuti e apprezzati!
Errore: il miglior maestro che abbiamo – Una delle abitudini più tossiche nelle professioni è la demonizzazione dell’errore. Ci hanno insegnato che sbagliare è imperdonabile, creando un’atmosfera di giudizio e paura intorno all’errore. L’errore, invece, è un’informazione preziosa, non un giudizio. Riconoscere lo sbaglio, analizzarlo senza cercare colpevoli, estrarre l’insegnamento e implementare il miglioramento: questo è l’atteggiamento giusto.
Gli studi professionali che emergeranno nel futuro sapranno introdurre queste novità, questo cambio di cultura e mentalità. Basta crogiolarsi e lamentarsi, oppure trovare alibi e scuse. Il mercato professionale sta cambiando, e molto più velocemente di quanto pensiamo. Chi si aggrappa alle vecchie abitudini per paura di perdere certezze finirà per perdere molto di più: opportunità, clienti e, infine, rilevanza.
La controversia ha riguardato una ritenuta violazione dell’art. 2 D.Lgs. 504/1992 in ordine a un’area che un Comune sosteneva dovesse essere assoggettata a imposta, in quanto non presentava, sul piano fattuale, natura pertinenziale rispetto ai fabbricati, sia sul piano soggettivo che su quello oggettivo. Inoltre, l’Ente locale poneva in evidenza l’assenza di una dichiarazione da parte del contribuente volta a rappresentare l’esistenza del vincolo di asservimento. Ancora il Comune eccepiva l’erronea valutazione del giudice regionale per non avere il medesimo considerato l’ampia superficie (7.480 mq) del terreno, sproporzionata rispetto alla consistenza del fabbricato e senza una comune recinzione.
La Corte di Cassazione dapprima espressamente esclude la rilevanza della graffatura catastale, considerandola di rilievo solo formale e, a tal proposito, evidenzia come nella verifica del rapporto pertinenziale non assumano rilevanza fattori di ordine meramente estrinseco e formale, quali le modalità, accorpate o frazionate, di accatastamento dei fondi, ovvero la graffatura catastale del fondo asseritamente pertinenziale al mappale del fondo principale, in quanto ad assumere rilevanza è la destinazione effettiva della cosa al servizio ovvero all’ornamento di un’altra, secondo quanto stabilito dall’art. 817 c.c. (in tal senso anche Cass. 30.05.2018, n. 13606).
La certificazione dei crediti per ricerca e sviluppo, pur costituendo un presupposto necessario per il loro utilizzo in compensazione, non rappresenta di per sé elemento sufficiente a configurare il concorso del professionista nel reato di indebita compensazione fiscale. È questo il principio chiarito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 5.05.2025, n. 16532, con cui i giudici di legittimità hanno annullato con rinvio una condanna a 2 anni di reclusione inflitta a una commercialista dai giudici di merito.
La professionista era stata ritenuta responsabile, in concorso con gli amministratori di 2 società e altri professionisti, del reato di indebita compensazione ai sensi dell’art. 10-quater D.Lgs. 74/2000, per aver certificato crediti inesistenti denominati “Ricerca e sviluppo” utilizzati poi in compensazione. Il nodo interpretativo centrale riguarda proprio la necessità di provare il contributo causale effettivo del professionista nella realizzazione dell’illecito tributario, non potendosi assumere automaticamente che l’attività certificatoria, pur irregolare, integri di per sé il concorso nel reato.
Alla base della vicenda esaminata dalla Corte di Cassazione vi è il ricorso di alcuni lavoratori che avevano ricevuto un’indennità di mobilità inferiore rispetto a quanto ritenevano spettante. Secondo la loro ricostruzione, l’Inps aveva omesso di considerare nella base di calcolo voci retributive fisse e continuative come l’indennità di trasferta, l’indennità di mensa e l’EDR. Elementi che, a loro giudizio, avrebbero inciso sulla corretta determinazione della retribuzione globale di fatto.
In primo e secondo grado, le loro domande erano state respinte: la Corte d’Appello di Napoli aveva ritenuto prescritti i crediti, applicando il termine breve di 5 anni previsto per le prestazioni periodiche, e aveva giudicato insufficienti le prove documentali offerte. La Corte di Cassazione, però, ha ribaltato la decisione dei giudici di merito.
Il pagamento parziale non determina la liquidità del credito – Uno snodo centrale dell’ordinanza riguarda il significato da attribuire alla parzialità del pagamento. La Corte precisa che l’erogazione di una parte della somma dovuta non rende automaticamente liquido il residuo, se quest’ultimo necessita ancora di una verifica puntuale nel merito.
L’edizione 2025 del cosiddetto “bonus colonnine domestiche” è stata promossa dal MIMIT attraverso il D.D. 9.12.2024 che ha dato attuazione al D.P.C.M. 4.08.2022, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 4.10.2022, Serie Generale, n. 232, nel quale sono stati istituiti gli incentivi per l’acquisto di veicoli non inquinanti e delle infrastrutture di ricarica per quelli elettrici.
La misura è rivolta alle persone fisiche residenti in Italia e ai condomìni e consiste in un contributo pari all’80% del prezzo di acquisto e di installazione dei caricatori di veicoli alimentati ad energia elettrica (come, ad esempio, colonnine o wallbox).
Il limite massimo del contributo è di 1.500 euro per gli utenti privati e fino a 8.000 euro in caso di installazione sulle parti comuni degli edifici condominiali di cui agli artt. 1117 e 1117-bis c.c.
Le imprese interessate al concordato preventivo biennale (CPB), principalmente contribuenti di dimensioni medio-piccole, devono tenere conto di implicazioni specifiche sia nella determinazione dell’onere fiscale sia nella rappresentazione in nota integrativa.
Il meccanismo del CPB si basa sulla determinazione forfettaria e vincolante del reddito imponibile per un biennio, indipendentemente dal risultato contabile dell’esercizio. Questa impostazione genera una naturale disconnessione tra il risultato economico determinato secondo i principi contabili nazionali (civilistico) e l’imponibile fiscale. Questa asimmetria assume una particolare rilevanza in bilancio, in quanto incide su:
– determinazione dell’onere fiscale corrente;
– rappresentazione della fiscalità differita;
– informativa ex art. 2427 c.c. e secondo i criteri del principio contabile OIC 25.
L’attuale assetto normativo in materia di esenzione Imu dei cosiddetti “immobili-merce” è fondato sull’art. 1 c. 751 L. 160/2019 dove viene espressamente previsto che, a decorrere dal 1.01.2022, i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, finché permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati, sono esenti dall’Imu. Si è giunti a questa norma dopo un travagliato percorso che passa dall’art. 13 D.L. 6.12.2011 n. 201, convertito in L. 22.12.2011 n. 214.
Di recente la Corte Costituzionale, con sentenza 17.04.2025 n. 49, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 del citato decreto, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., nella parte in cui non prevede l’esenzione dell’Imu a favore dell’impresa che possiede immobili destinati alla vendita e non utilizzati ad altri fini.
Quando uno studio professionale cresce, anche la sua organizzazione interna deve evolversi. È fisiologico: più aumenta il personale, più diventa importante strutturare un sistema che preveda figure di responsabilità intermedia. Non per gerarchia, ma per garantire coordinamento, supporto operativo e collegamento tra direzione e team.
In un organigramma ideale troviamo tre livelli: direzione; responsabili d’area; operativi.
La direzione stabilisce gli obiettivi; i responsabili li traducono in indicazioni operative e supportano il lavoro dei collaboratori, raccogliendo feedback e monitorando i risultati. Gli operativi eseguono le attività e segnalano eventuali problemi o criticità, alimentando così un flusso informativo essenziale.
A guidare questo flusso dovrebbero esserci due macro-obiettivi: efficacia ed efficienza.
L’efficacia riguarda la qualità, ovvero la capacità di trasformare le risorse nel risultato corretto e risolutivo per il quale abbiamo deciso di investirle.
L’efficienza consiste nella capacità di produrre il risultato con il minor impiego possibile di risorse, senza scendere a compromessi sulla qualità.
Nonostante i numerosi interventi legislativi e interpretativi degli ultimi anni, il tema delle riassegnazioni di autoveicoli aziendali continua a generare perplessità e incertezze, specialmente in merito alla corretta determinazione del valore imponibile del fringe benefit in caso di riutilizzo di veicoli già immatricolati. Un interrogativo che si rinnova nel 2025, con riferimento alle auto immatricolate entro il 31.12.2024 ma oggetto di riassegnazione a decorrere dal nuovo anno, spesso in conseguenza della cessazione del rapporto di lavoro del precedente assegnatario.
Il caso odierno trova un chiaro precedente nel 2020, quando l’entrata in vigore, dal 1.07.2020, del nuovo regime di determinazione del valore del benefit per i veicoli concessi in uso promiscuo aveva già sollevato dubbi analoghi. La questione verteva allora sull’inquadramento fiscale dei veicoli immatricolati fino al 30.06.2020 ma riassegnati successivamente, per i quali non risultava pacifico se applicare il regime forfettario previsto dall’art. 51, c. 4, lett. a) del Tuir nella sua versione antecedente o successiva alla riforma.