Licenziamento legittimo per abuso dei permessi 104

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 28.08.2025, n. 24093, ha confermato il licenziamento disciplinare di un dipendente per uso improprio dei permessi retribuiti previsti dalla L. 104/1992. Il lavoratore, nei giorni di assenza autorizzata, si era dedicato a occupazioni personali, tra bar, centri scommesse, supermercati e accompagnamenti del figlio in un centro sportivo, senza svolgere attività di assistenza alla sorella disabile. Le indagini investigative, condotte dal datore di lavoro e ritenute legittime dai giudici, hanno offerto un quadro chiaro delle condotte contestate, confermando la violazione del vincolo funzionale richiesto dalla normativa.

Percorso giudiziario – In primo grado, il Tribunale di Napoli Nord aveva accolto il ricorso del dipendente, ritenendo insufficiente il quadro probatorio anche per la contumacia della società. Successivamente, la Corte d’appello di Napoli ha ribaltato la decisione, giudicando pienamente dimostrato l’abuso dei permessi.

I giudici di secondo grado hanno sottolineato che l’assenza di attività di assistenza nei giorni contestati rendeva il comportamento del lavoratore incompatibile con i doveri contrattuali e tale da legittimare la sanzione espulsiva.

Decisione della Suprema Corte – La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del lavoratore, confermando la lettura dei giudici territoriali. Il primo motivo di impugnazione è stato ritenuto confuso e privo di una corretta correlazione con i parametri di legge, mentre il secondo, incentrato su presunti vizi motivazionali, non individuava fatti storici specifici omessi nella valutazione.

La Suprema Corte ha inoltre ribadito che la sede di legittimità non consente una nuova valutazione delle prove, ma impone motivazioni precise e puntuali. È stato confermato, inoltre, che il giudice d’appello può utilizzare le prove raccolte in primo grado, anche in presenza della contumacia di una parte, quando esse risultano già acquisite al fascicolo e decisive per il giudizio.

Indicazioni per imprese e lavoratori – La sentenza consolida un orientamento ormai costante, che richiede un utilizzo rigoroso dei permessi previsti dalla L. 104. Per i datori di lavoro, la decisione offre un riferimento chiaro per lo sviluppo di procedure investigative rispettose della normativa, utili a documentare eventuali abusi.

Per i lavoratori, il pronunciamento evidenzia l’importanza di mantenere il nesso funzionale tra permesso e assistenza, senza interpretazioni personali che possano trasformarsi in condotte sanzionabili.

Dal punto di vista processuale, il caso evidenzia la necessità di ricorsi ben articolati e tecnicamente corretti: motivazioni generiche o confuse riducono drasticamente le possibilità di accoglimento in sede di legittimità.

Appalto: prescrizione dell’azione di garanzia per vizi e difformità

Recentemente la Cassazione civile, Sez. II, con la sentenza 5.08.2025, n. 22649, è tornata su una problematica spinosa. Nel caso in cui vengono appaltati alcuni lavori da privati e le opere presentano vizi o difetti, quando può essere fatta valere la relativa garanzia? Il rischio è sempre quello di avere ragione, ma di avere perso troppo tempo prima di fare valere i propri diritti.

Il fatto: un soggetto ha adito il Tribunale, esponendo di avere affidato a una società la posa in opera di lastre di copertura di un immobile destinato allo stoccaggio di foraggi e cereali. I lavori erano stati ultimati e consegnati il 24.08.2015, ma nel giugno 2013 si era verificato il distacco di talune lastre, prontamente denunciato all’impresa.

La società di costruzione, nel riscontrare la denuncia, ha sostenuto che i pannelli erano soggetti a ondulazioni e rigonfiamenti a causa delle temperature e che il danno era solo estetico ma non funzionale e strutturale per cui non operava la garanzia, essendo anche decorsi i termini di prescrizione e decadenza ex art. 1667 c.c. Il committente ha, quindi, agito giudizialmente e la Suprema Corte di Cassazione ha riconosciuto le sue ragioni. L’art. 1667, c. 3 c.c. dispone che la garanzia per i vizi e le difformità dell’opera appaltata si prescrive nel termine di 2 anni dalla consegna dell’opera ultimata.

Esportazioni extra UE: esenzione Iva anche per esportazioni indirette

Con la sentenza 1.08.2025, causa C-602/24, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affrontato un’importante questione interpretativa relativa all’art. 146, par. 1, lett. b), della Direttiva 2006/112/CE in materia di Iva, stabilendo che l’esenzione da Iva è applicabile anche a quelle operazioni che, pur essendo inizialmente qualificate come cessioni intracomunitarie, si concretizzano successivamente in esportazioni verso Paesi terzi da parte dell’acquirente, senza la preventiva conoscenza o partecipazione del cedente.

Nel caso analizzato una società fornitrice aveva emesso fattura in regime di non imponibilità per una cessione intracomunitaria, sulla base delle dichiarazioni dell’acquirente, residente in altro Stato membro. Soltanto in una fase successiva era emerso che i beni oggetto della transazione erano stati esportati al di fuori del territorio doganale dell’Unione Europea. Il fornitore non era stato informato dell’intenzione dell’acquirente di riesportare i beni né aveva partecipato attivamente all’esportazione. Le autorità fiscali, pur avendo accertato documentalmente l’effettiva uscita dei beni dal territorio doganale UE, avevano contestato l’applicazione dell’esenzione Iva in quanto, a loro avviso, mancava il requisito soggettivo e formale della consapevolezza del fornitore circa la destinazione extracomunitaria della merce.

La Corte, nel pronunciarsi, ha ribadito principi già consolidati nella giurisprudenza unionale, ma ha anche introdotto ulteriori elementi: in primis è stato chiarito che l’esenzione Iva prevista per le operazioni di esportazione non è subordinata alla sussistenza di un accordo espresso tra le parti circa la destinazione extracomunitaria, né alla previa conoscenza, da parte del fornitore, della successiva riesportazione a cura dell’acquirente. Infatti, ai fini del riconoscimento del trattamento di non imponibilità Iva, è sufficiente che siano rispettati i requisiti sostanziali dell’operazione, ovvero che i beni abbiano lasciato fisicamente il territorio dell’Unione e che ciò risulti provato da documentazione oggettiva, quale ad esempio la dichiarazione doganale di esportazione, anche se presentata dall’acquirente e non dal cedente. In secondo luogo, la Corte ha affermato con forza il principio di prevalenza della sostanza sulla forma, chiarendo che l’inosservanza di requisiti formali (come la classificazione iniziale dell’operazione o la mancanza di partecipazione diretta del fornitore all’esportazione) non può giustificare il diniego dell’esenzione quando i requisiti sostanziali sono comunque soddisfatti.

Particolarmente rilevante è l’enfasi posta dalla Corte sulla tutela del legittimo affidamento e della buona fede del fornitore: l’esenzione non può essere negata in assenza di elementi oggettivi che facciano presumere un comportamento fraudolento o abusivo da parte sua. Infatti, anche se non è conoscenza dell’esportazione, il fornitore non può essere penalizzato se la merce è effettivamente uscita dal territorio dell’Unione e se ciò può essere dimostrato in modo oggettivo e verificabile.

La sentenza C-602/24 conferma l’obbligo per gli Stati membri di non subordinare il riconoscimento dell’esenzione a condizioni formali il cui mancato rispetto non incide sulla sostanza dell’operazione. Pertanto, eventuali difformità o omissioni formali non sono di per sé sufficienti a negare l’esenzione, purché l’amministrazione tributaria possa verificare l’effettiva esistenza e realizzazione dell’esportazione.

Sul piano operativo, ciò comporta una responsabilità probatoria in capo al fornitore che, anche in assenza di comunicazioni da parte dell’acquirente, può avvalersi della documentazione doganale o di altri elementi oggettivi per dimostrare che la merce è uscita dall’Unione.

Lombardia: nuovo sistema S.I.T.E.C. per i tirocini extracurricolari

Dal 20.06.2025 è reperibile online la nuova piattaforma SIUF del sistema unico regionale per l’attivazione e la gestione dei tirocini extracurriculari in Lombardia, denominata “S.I.T.E.C.”; la stessa rappresenterà, a titolo definitivo dal 31.10.2025, l’esclusiva “porta d’accesso” ai fini della promozione e dell’attuazione dei tirocini extracurriculari.

Lo strumento, che intende superare la precedente piattaforma creata nel 2018 “GEFO”, quale encomiabile proposito della Regione, dovrebbe rappresentare un utile e innovativo sistema volto alla semplificazione della gestione dei tirocini, finalizzato al monitoraggio della loro efficacia, del loro corretto avvio e della loro regolare gestione, oltreché all’agevolazione delle procedure dell’intero processo amministrativo.

Scendendo nel dettaglio, con Decreto 18.06.2025, n. 8570, Regione Lombardia ha approvato le nuove linee attuative in materia di tirocini extracurriculari, le quali hanno aggiornato quelle della D.G.R. 7763/2018 e della D.G.R. 5451/2016; in quella sede, è stato decretato:

L’illogica ostilità all’uso della testimonianza scritta nel processo

L’obiettivo perseguito dal legislatore con lo strumento della testimonianza scritta è quello di tendere a uniformare i giudizi processuali e, nel contempo, di rafforzare il principio del contraddittorio tra Amministrazione Finanziaria e contribuente. Proprio alla luce di tali obiettivi la locuzione “necessaria ai fini della decisione” non può che raccordarsi al senso proposto in Dottrina di ritenere ammissibile la prova testimoniale ogniqualvolta risulti rilevante ai fini della decisione. La giurisprudenza di merito (C.G.T. Lazio n. 800/2023, C.G.T. Toscana n. 522/2023) che assume la prova testimoniale come prova straordinaria/eccezionale, si fonda sull’assunto del tutto sbagliato di ritenere corretta, in ordine alla ratio, la similitudine del termine “necessità” con quello tracciato dalla dottrina e dalla giurisprudenza a proposito dell’art. 58 D.Lgs. 546/1992, a mente del quale il Giudice dell’appello non può ammettere nuove prove “salvo che non le ritenga necessarie ai fini della decisione”.

La similitudine non è in alcun modo concepibile dal momento che nell’ambito dell’art. 58 la necessità del nuovo mezzo di prova deriva dall’avvertita e condivisa opportunità di impedire che le parti riservino indebitamente al giudizio di secondo grado facoltà processuali già agevolmente esperibili nel grado introduttivo del processo.

Cumulo contributivo: l’arma in più per i giovani lavoratori

La frammentazione dei rapporti di lavoro, tipica dei percorsi professionali delle nuove generazioni, rischia di trasformarsi in un ostacolo per il raggiungimento della pensione. Contratti a termine, passaggi da dipendente ad autonomo, iscrizioni alla Gestione Separata o a casse professionali, sono ormai situazioni frequenti. Proprio per rispondere a questo scenario il legislatore ha previsto uno strumento che consente di ricongiungere gratuitamente gli spezzoni di contribuzione, evitando di perdere quanto versato in gestioni diverse: il cumulo contributivo nel regime contributivo puro. Attenzione: questa misura non deve essere confusa con il più conosciuto e generalizzato cumulo dei contributi di cui all’art. 1, c. 139 e ss. L. 228/2012. L’istituto è stato infatti introdotto dall’art. 1 D.Lgs. 184/1997 ed è rivolto ai lavoratori privi di anzianità assicurativa al 31.12.1995 o optanti per il sistema contributivo, quindi interamente soggetti al metodo di calcolo contributivo della pensione.

Vantaggi rispetto al cumulo generalizzato – Anche se entrambi gli istituti, difatti, consentono di riunire gratuitamente, al fine di arrivare al diritto alla pensione, i versamenti accreditati in casse diverse, il cumulo contributivo di cui al D.lgs. 184/1997 consente di raggiungere 2 trattamenti pensionistici che il cumulo generalizzato non permette di ottenere, ossia la pensione a 64 anni (art. 24, c. 11 D.L. 201/2011) e la pensione di vecchiaia con 5 anni di contributi (art. 24. c. 7 D.L. 201/2011).

Datore di lavoro, formazione obbligatoria delle imprese affidatarie

Il nuovo Accordo Stato-Regioni del 17.04.2025 ha riacceso l’attenzione sul tema della formazione per la sicurezza nei luoghi di lavoro. Tuttavia, occorre distinguere con precisione tra i diversi regimi formativi previsti dal D.Lgs. 81/2008, in particolare tra l’obbligo formativo ex art. 37 e quello ex art. 97. Quest’ultimo riguarda specificamente i datori di lavoro delle imprese affidatarie operanti nei cantieri temporanei o mobili ed è caratterizzato da autonomia normativa, contenuti specialistici e applicabilità immediata.

Natura giuridica autonoma dell’art. 97 – A differenza dell’art. 37, che demanda alla Conferenza Stato-Regioni la definizione di contenuti e modalità formative, l’art. 97 non contiene alcun rinvio a fonti secondarie. L’obbligo di formazione previsto per datori, dirigenti e preposti delle imprese affidatarie è già pienamente vigente e direttamente applicabile.

L’art. 97, c. 3-ter stabilisce che tali soggetti “devono essere in possesso di adeguata formazione”, riferita al coordinamento e alla verifica delle condizioni di sicurezza in cantiere. Non si tratta di un obbligo eventuale o subordinato, bensì di un requisito strutturale per l’esercizio stesso delle funzioni attribuite al datore di lavoro affidatario.

ETS: dal 2026 nuove regole su commercialità e impresa sociale

Dal 1.01.2026 la riforma del Terzo Settore entrerà definitivamente a regime, segnando un passaggio cruciale per migliaia di organizzazioni non profit. Il D.L. 17.06.2025, n. 84, entrato in vigore il 18.06.2025, ha fissato l’applicazione del Titolo X del D.Lgs. 117/2017, che disciplina il nuovo regime fiscale degli ETS, a partire dal primo periodo d’imposta successivo al 31.12.2025. Contestualmente, l’art. 18 D.Lgs. 112/2017 troverà finalmente una piena attuazione per le imprese sociali, uniformando il quadro normativo e fiscale. Il passaggio non rappresenta un semplice adeguamento tecnico: ridefinisce le modalità con cui un ente si qualifica come “commerciale” o “non commerciale” ai fini tributari, con riflessi immediati su imposte, esenzioni e adempimenti contabili.

Il Tuir (art. 73) classifica da sempre gli enti partendo dal loro oggetto sociale, considerando commerciali i casi in cui l’attività principale è di natura imprenditoriale e non commerciali gli altri casi. Il Codice del Terzo Settore, per contro, muovendo dai medesimi presupposti, non si limita a un’evidenza di natura statutaria, ma pone alla base delle agevolazioni le modalità di gestione delle attività effettivamente svolte, che trovano un riscontro nello statuto.

Sport bonus 2025: credito d’imposta 65% alle imprese partecipanti

A tutte le imprese che decidono di investire in impianti sportivi viene riconosciuto un credito d’imposta del 65% dell’importo versato come erogazione liberale, nel limite del 10 per mille dei ricavi annui, da utilizzarsi in 3 quote annuali di pari importo.

I beneficiari delle erogazioni liberali sono i soggetti che detengono impianti in concessione, o in affidamento per interventi di manutenzione e restauro di impianti sportivi pubblici o nuove strutture pubbliche.

Le domande per la partecipazione al bando Sport bonus 2025 devono essere presentate tramite la piattaforma seguendo la procedura prevista dal Dipartimento per lo Sport accedendo al sito.

Il D.P.C.M. 30.04.2019 ha previsto l’apertura di 2 finestre temporali di 120 giorni; il 30.05 ed il 15.10. Dalla data di apertura i soggetti interessati hanno 30 giorni di tempo per presentare la domanda di ammissione al procedimento. La seconda finestra si apre il 15.10.2025 e termina il 15.11.2025.

Ccnl Metalmeccanica piccola industria (Confimi): welfare contrattuale

Con i cedolini paga di prossima elaborazione riferiti alla mensilità di settembre 2025 deve essere riconosciuto ai lavoratori aventi diritto, cui si applica il Ccnl metalmeccanica piccola industria Confimi, il welfare contrattuale.

A decorrere dal 1.09.2021 le aziende devono mettere a disposizione dei lavoratori strumenti di welfare del valore di 150 euro, elevato a 200 euro a partire dal 2022, con decorrenza dal 1.09 di ciascun anno e da utilizzare entro il 31.08 di ogni anno successivo.

Il valore a titolo di welfare contrattuale deve essere riconosciuto un’unica volta nel periodo di competenza nel caso di lavoratori reiteratamente assunti o utilizzati con varie tipologie contrattuali (contratto a tempo determinato, somministrazione, ecc.) presso la medesima azienda.

Per l’anno in corso, pertanto, dal 1.09.2025 le aziende dovranno mettere a disposizione dei lavoratori strumenti di welfare del valore di 200 euro che dovranno essere utilizzati entro il 31.08.2026. Al riguardo, la data del 1.09 deve essere intesa come il termine entro il quale l’azienda deve mettere effettivamente a disposizione dei lavoratori gli strumenti di welfare.

C.F e P.IVA: 01392340202 · Reg.Imp. di Mantova: n. 01392340202 · Capitale sociale € 210.400 i.v. · Codice destinatario: M5UXCR1

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