Il decreto legislativo correttivo, approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri il 14.07.2025, introduce modifiche sostanziali nella disciplina delle correzioni degli errori contabili con effetti fiscali. L’intervento normativo mira essenzialmente a restringere il campo operativo delle procedure semplificate precedentemente introdotte, mantenendo al contempo l’obiettivo di allineamento tra risultanze civilistiche e determinazione dell’imponibile. La nuova formulazione dell’art. 83 del Tuir stabilisce criteri più selettivi per l’applicazione della procedura di correzione diretta, escludendo espressamente gli errori classificati come rilevanti secondo i parametri stabiliti dal documento OIC 29 e dal principio contabile internazionale IAS 8. Il principio contabile nazionale OIC 29 stabilisce che un errore è rilevante quando, singolarmente o insieme ad altri errori, è in grado di influenzare le decisioni economiche degli utilizzatori del bilancio.
La correzione con effetti fiscali immediati, applicabile tanto per l’Ires quanto per l’Irap, può essere attuata soltanto nell’esercizio immediatamente successivo a quello in cui l’errore contabile si è manifestato. Il timing della correzione risulta vincolato alla chiusura dell’esercizio seguente; per gli errori omissivi, il termine coincide con la chiusura dell’esercizio successivo a quello in cui avrebbe dovuto essere operata la corretta rilevazione. Il legislatore ha tuttavia previsto una deroga temporale qualora la correzione venga effettuata prima dell’inizio di accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali il soggetto abbia ricevuto comunicazione formale.
Per quanto riguarda l’Irap, la correzione acquisisce rilevanza fiscale esclusivamente quando il valore della produzione netta, sia per l’esercizio di correzione sia per quello in cui gli elementi avrebbero dovuto essere correttamente rilevati, risulti non negativo.
Nell’applicazione pratica emerge chiaramente che la nuova normativa amplia il proprio raggio d’azione includendo anche gli errori di quantificazione, superando le incertezze interpretative che caratterizzavano la precedente formulazione. La Relazione illustrativa chiarisce espressamente che possono essere oggetto di correzione con immediata rilevanza fiscale sia gli errori relativi alla qualificazione e classificazione contabile sia quelli riguardanti la quantificazione di costi e ricavi, indipendentemente dal fatto che si tratti di eccessi o difetti di imputazione. Questa estensione rappresenta un elemento di semplificazione significativo per i contribuenti, eliminando la necessità di distinguere tra tipologie diverse di errori e consentendo l’applicazione di criteri uniformi di imputazione temporale. Si consideri che tale approccio riconosce sostanzialmente la rilevanza fiscale di ogni criterio di correzione dell’imputazione temporale, ancorché determinato da errori di diversa natura.
Un aspetto particolarmente rilevante riguarda le implicazioni sanzionatorie della procedura: l’utilizzo della correzione diretta non determina l’applicazione di sanzioni amministrative o penali per infedele dichiarazione. Tale precisazione, già desumibile dalle risposte a interpello dell’Agenzia delle Entrate nn. 73/2024 e 63/2025, trova ora conferma normativa espressa.
Le disposizioni transitorie stabiliscono che la nuova disciplina si applica alle correzioni di errori contabili rilevate nei bilanci relativi agli esercizi aventi inizio a partire dal 1.01.2025 e limitatamente ai soggetti sottoposti a revisione legale dei conti. È opportuno notare che il requisito della revisione legale deve sussistere con riferimento al bilancio dell’esercizio in cui viene effettuata la correzione.
Dal punto di vista operativo, la nuova disciplina richiede una valutazione attenta da parte dei contribuenti nella gestione degli errori contabili. Sarà necessario procedere preliminarmente alla classificazione dell’errore secondo i criteri di rilevanza stabiliti dai principi contabili di riferimento, verificare il rispetto dei vincoli temporali per l’applicazione della procedura semplificata e, nel caso dell’Irap, accertare la sussistenza delle condizioni relative al valore della produzione netta.
Nonostante lo studio professionale, in ordine all’interazione dei vari fattori produttivi che lo contrassegnano, abbia ormai una delineazione strutturale molto prossima all’azienda, esso rimane, anche per effetto di una radicata tradizione giuridica, non immedesimabile con essa, rimanendo la professionalità intellettuale/artistica la prerogativa fondativa l’attività. Tuttavia, lo studio professionale riassume un modulo organizzato, caratterizzato da molte delle sinergie operative che contraddistinguono l’azienda e in virtù delle quali si presta alle complessive medesime forme di riorganizzazione dell’impresa.
In tal senso va la ristrutturazione legislativa del nuovo art. 177-bis del Tuir che, in particolare, prevede un regime fiscale neutro in caso di trasferimento di attività materiali e immateriali, inclusa la clientela e ogni altro elemento immateriale, nonché di passività, riferibili all’attività artistica o professionale svolta in forma individuale per causa di morte o per atto gratuito.
L’Autorità Garante per la protezione dei dati personali ha comminato una multa di 420.000 euro ad Autostrade per l’Italia S.p.a. per aver impiegato impropriamente informazioni personali per avviare un procedimento disciplinare nei confronti di una lavoratrice (provvedimento 21.05.2025, n. 288, pubblicato nella newsletter 25.06.2025, n. 536). La vicenda mette in luce alcuni aspetti significativi riguardanti l’equilibrio tra controllo legittimo dell’attività lavorativa e protezione della privacy individuale, particolarmente rilevanti nell’era digitale dove le informazioni personali sono facilmente reperibili attraverso le piattaforme online.
L’Autorità ha individuato 2 aspetti distinti di violazione della disciplina in materia: in primo luogo, l’assenza di una base giuridica adeguata e la violazione del principio di finalità nel trattamento dei dati raccolti in ambiti privati o riservati; in secondo luogo, l’impiego improprio di informazioni extra-professionali, ossia dati non correlati all’attività lavorativa e pertanto non utilizzabili a fini disciplinari. La dipendente aveva infatti presentato reclamo all’Autorità, denunciando il trattamento illegittimo dei propri dati, includendo l’uso scorretto di informazioni estratte da conversazioni su piattaforme social e di messaggistica per finalità connesse al rapporto lavorativo. Nel delineare la disciplina applicabile, l’Autorità ha evidenziato che il datore di lavoro può processare i dati personali dei dipendenti, inclusi quelli relativi a “categorie particolari”, quando il trattamento risulti necessario per adempiere un obbligo legale o per l’esecuzione di un contratto di cui l’interessato è parte. Per i dati “ordinari”, il titolare del trattamento può effettuare operazioni di elaborazione quando ciò sia necessario per perseguire un legittimo interesse, purché non prevalgano gli interessi o i diritti fondamentali dell’interessato. Il responsabile del trattamento deve rispettare, in particolare, i principi di liceità, correttezza e trasparenza, di limitazione delle finalità e di minimizzazione dei dati previsti dal GDPR.
Nel caso di specie è emerso che la società aveva formulato 2 contestazioni disciplinari utilizzando, oltre ad altri elementi, il contenuto di comunicazioni effettuate dalla ricorrente attraverso Facebook, Messenger e WhatsApp. Nello specifico, l’azienda, dopo aver ricevuto tramite WhatsApp alcuni screenshot del profilo Facebook e degli account di messaggistica della dipendente da parte di alcuni partecipanti alle conversazioni, aveva deciso di impiegarli nel procedimento disciplinare, pur non avendo condotto ricerche dirette sui social network o sulle piattaforme di messaggistica. Secondo l’Autorità, l’assenza di un ruolo attivo della società nella ricerca delle informazioni non rileva ai fini dell’identificazione dell’attività consistente nel successivo utilizzo nel procedimento disciplinare come “trattamento”, rappresentandone soltanto una delle possibili manifestazioni.
I contenuti erano stati impiegati dal datore di lavoro senza una base giuridica valida (art. 6 GDPR). L’Autorità ha precisato che i dati personali pubblicati sui social network o disponibili online non possono essere utilizzati indiscriminatamente per qualsiasi scopo, semplicemente perché accessibili a un numero variabile di persone. Con la sua condotta, la società ha violato i principi di liceità, finalità e minimizzazione, considerando anche l’inutilizzabilità dei dati personali trattati in violazione della normativa in argomento. Nel giustificare la sanzione, proporzionata alla gravità della violazione e al volume d’affari aziendale, l’Autorità ha evidenziato che, una volta verificato il carattere privato delle conversazioni e dei commenti pubblicati in ambienti digitali ad accesso ristretto, l’azienda avrebbe dovuto rinunciare al loro utilizzo, considerata la manifesta violazione dei principi fondamentali del trattamento dati.
A sostegno di tali argomentazioni, l’Autorità si è basata sulle valutazioni espresse dalla Corte di Cassazione nella sentenza 7.10.2014, n. 21107, secondo cui l’acquisizione di informazioni sui dipendenti configura sempre un trattamento di dati soggetto a limiti specifici e la pubblicazione online di dati personali non implica il consenso al loro utilizzo per finalità diverse da quelle originarie.
Con la circolare 16.05.2025, n. 4 l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha fornito chiarimenti puntuali sulle modalità di utilizzo, in deroga, dei locali sotterranei o semisotterranei ai sensi dell’art. 65 D.Lgs. 81/2008, come modificato dalla L. 203/2024. Il documento stabilisce con rigore i criteri tecnici e procedurali per la valutazione delle comunicazioni trasmesse dai datori di lavoro, specificando i requisiti formali e sostanziali necessari all’uso lecito di tali ambienti.
La circolare chiarisce che, in assenza di una definizione normativa univoca a livello nazionale, per individuare correttamente un locale interrato o seminterrato occorre riferirsi al regolamento edilizio comunale vigente, tenendo conto delle definizioni contenute nel Regolamento edilizio-tipo. Restano esclusi dall’obbligo di comunicazione in deroga i locali ad uso tecnico o con basso fattore di occupazione, come sottoscala, locali caldaia e spogliatoi con presenza lavorativa sporadica.
La comunicazione in deroga deve contenere i seguenti elementi:
1. una relazione descrittiva delle attività da svolgere nei locali;
L’art. 2477 c.c., rubricato sindaco e revisione legale dei conti, come novellato dall’art. 2-bis D.L. 18.04.2019, n. 32, ha apportato rilevanti modifiche ai parametri in base ai quali le società a responsabilità limitata sono chiamate a nominare l’organo di controllo. Al riguardo è opportuno ricordare che la citata norma, ferme restando le previsioni dell’atto costitutivo o dello statuto, tra l’altro, precisa che la società è obbligata a nominare un organo di controllo o di un revisore, qualora:
– tenuta alla redazione del bilancio consolidato;
– controlli una società obbligata alla revisione legale dei conti;
– abbia superato per 2 esercizi consecutivi almeno 1 dei seguenti limiti: 1) totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 4 milioni di euro; 2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 4 milioni di euro; 3) dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 20 unità.
Infatti, l’assemblea che approva il bilancio in cui vengono superati i limiti sopra indicati deve provvedere, entro 30 giorni, alla nomina dell’organo di controllo o del revisore. Se l’assemblea non provvede, alla nomina provvede il tribunale su richiesta di qualsiasi soggetto interessato (es. socio di minoranza, creditore, ecc.) o su segnalazione del Conservatore del Registro delle Imprese. Sul punto, si segnala un recente documento di ricerca della Fondazione nazionale dei commercialisti del 17.06.2025, che fa un focus anche in ordine agli interventi effettuati da taluni Conservatori dei Registri delle Imprese, piuttosto che per rinvio dal Giudice delle imprese del tribunale competente.
Ebbene, il fenomeno della mancata osservazione dell’obbligo in argomento è derivato anche dal fatto che le Camere di Commercio previo invito ai relativi Conservatori da parte di Unioncamere (nota 28.11.2019, prot. n. 0028255/U) suggerivano di non procedere immediatamente con le segnalazioni al tribunale ma di inviare preventivamente alle società interessate alla nomina, una comunicazione per indurle al rispetto degli obblighi di legge. Va da sé che le Camere di Commercio dispongono di tutti i dati per le verifiche del caso sui bilanci periodicamente depositati da parte delle società in oggetto.
Peraltro, secondo una interpretazione “bonaria”, ecco dunque, che molte Srl (in particolare quelle al di sopra di poco dei parametri su indicati) hanno rinviato sine die la nomina in trattazione, attendendo l’eventuale sollecitazione da parte del più volte menzionato Conservatore.
Di conseguenza, è da scongiurare il mancato rispetto dell’obbligo in argomento, poiché l’eventuale segnalazione del Conservatore al tribunale (sezione specializzata in materia d’impresa per materia e territorio) potrebbe comportare l’adozione di un provvedimento (rectius decreto) di nomina anche senza la previa fissazione di alcuna udienza. Al riguardo il Tribunale di Milano, in forza delle linee guida per i procedimenti di volontaria giurisdizione in materia societaria (gennaio 2020), prevede che la nomina dell’organo di controllo e del revisore legale effettuata ai sensi dell’art. 2477, c. 5 c.c. è classificata come procedimento nei confronti di una sola parte. Mentre, altro tribunale (Ancona) ha ravvisato la necessità di sentire le parti in contraddittorio, ordinando la notifica del decreto di fissazione d’udienza alla società interessata.
Fermo restando la procedura di supplenza, non va sottaciuto che nel merito l’eventuale decreto del Giudice ben potrebbe discostarsi dalle previsioni statutarie della società, anche perché di sovente i patti (sociali) sul controllo legale non contemplano previsioni definite, ma annoverano sistemi diversi e alternativi, talvolta prevedendo un sindaco (monocratico), piuttosto che un collegio sindacale e/o un revisore legale (persona fisica o società) ex art. 13 D.Lgs. 39/2010, con iscrizione nel registro tenuto dal MEF.
La circolare, pubblicata dall’Inps il 2.07.2025, fornisce istruzioni e importi relativi ai contributi obbligatori che dovranno versare nel corso del 2025 le seguenti categorie: coltivatori diretti; coloni; mezzadri; imprenditori agricoli professionali (IAP).
La contribuzione IVS dovuta dai coltivatori diretti, coloni, mezzadri e imprenditori agricoli professionali è determinata applicando le aliquote di finanziamento al reddito convenzionale individuato in base alla classificazione delle aziende nelle quattro fasce di reddito indicate nella “Tabella D” allegata alla L. 2.08.1990, n. 233, rimodulate a partire dal 1.07.1997 dal D.Lgs. 16.04.1997, n. 146, e convertite in euro, come da circ. 23.04.2002 n. 83.
Il reddito convenzionale per ciascuna fascia è determinato, ai sensi dell’art. 7 L. 233/1990, moltiplicando il reddito medio convenzionale giornaliero – stabilito annualmente con decreto del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali sulla base della media delle retribuzioni medie giornaliere degli operai agricoli – per il numero di giornate indicate nella citata “Tabella D”, in corrispondenza della fascia di reddito in cui si colloca l’azienda.
Il D.M. Economia 9.07.2025 ha ufficializzato la disciplina operativa del nuovo regime facoltativo di adozione del sistema di controllo del rischio fiscale (Tax Control Framework – TCF) per le imprese di minori dimensioni.
Il provvedimento attua quanto previsto dall’art. 7-bis D.Lgs. 128/2015 e consente anche a quei contribuenti, che non soddisfano i requisiti per l’adempimento collaborativo ordinario, di accedere a un modello gestionale analogo, beneficiando delle stesse esenzioni sanzionatorie. Il legislatore ha inteso così promuovere una cultura strutturata della compliance fiscale anche tra le piccole e medie imprese, le quali, per caratteristiche organizzative, risultano talvolta meno attrezzate a implementare strumenti di governance interna formalizzati (è utile ricordare che il regime collaborativo tradizionale è attualmente accessibile ai soggetti con ricavi pari almeno a 750 milioni di euro, soglia destinata a ridursi progressivamente a 500 milioni dal 2026 e a 100 milioni dal 2028).
Per poter accedere al nuovo TCF volontario, le imprese interessate devono adottare un sistema di controllo conforme ai criteri fissati dall’art. 4 D.Lgs. 128/2015 e allegare alla comunicazione telematica all’Agenzia delle Entrate una serie di documenti obbligatori, tra cui: una relazione descrittiva sull’attività economica dell’impresa; una strategia fiscale approvata formalmente prima dell’esercizio dell’opzione; un documento che esponga il funzionamento del sistema di rilevazione, analisi e gestione dei rischi fiscali; una mappa dettagliata dei processi aziendali; una rappresentazione completa dei rischi fiscali, inclusi quelli derivanti dall’applicazione dei principi contabili; una descrizione tecnica del modello di controllo adottato; una certificazione rilasciata da un professionista indipendente, in conformità al regolamento previsto dall’art. 4, c. 1-ter.
In sede di chiusura delle dichiarazioni dei redditi (Modello Redditi 2025, periodo d’imposta 2024) il reddito generato dalla società di persone o dallo studio associato viene attribuito per trasparenza ai soci; pertanto, la società/studio rilascerà ai propri soci una certificazione dove si evince il reddito imputato al socio e le ritenute a lui attribuite secondo la sua quota di partecipazione agli utili.
Il socio/associato se non utilizza tutte le ritenute per la sua dichiarazione dei redditi personale può decidere, come ogni anno, di riattribuire le ritenute allo studio/società, per compensare per esempio l’Irap.
La restituzione, o meglio riattribuzione, delle ritenute allo studio/società deve seguire questo iter:
1) preventivo ed esplicito assenso del socio/associato alla riattribuzione. Prima dell’utilizzo in compensazione da parte dello società/associazione è necessario questo assenso da redigere con atto avente data certa (per esempio attraverso la PEC). L’assenso può essere generale, ossia fino a espressa revoca per tutte le dichiarazioni a venire oppure puntuale per la dichiarazione dell’anno X;
2) indicazione nella dichiarazione dei redditi del socio/associato al rigo RN33 colonna 3 “di cui ritenute art. 5 non utilizzate” dell’importo delle ritenute che si intende riattribuire;
Da un po’ di tempo ho intrapreso un piccolo esperimento: quando incappo in post sui social media che mi lasciano perplesso o contrariato, anziché perdere tempo ed energie a commentare e polemizzare direttamente, lascio che sia ChatGPT a farlo al posto mio. Copio il testo incriminato nella chat, espongo le mie ragioni e faccio generare all’intelligenza artificiale una risposta chiara, logica e puntuale anche con una buona dose d’ironia che non guasta mai. Poi copio il risultato e lo utilizzo direttamente per commentare, sedendomi metaforicamente con “popcorn e bibita” a osservare l’evoluzione della discussione che da quel momento sarà gestita interamente da ChatGPT.
I risultati di questo micro “esperimento sociale” sono notevoli e sorprendenti per diversi motivi. Innanzitutto, ciò che emerge chiaramente è l’assoluta impermeabilità di molti utenti ai contenuti razionali e ben strutturati, indipendentemente dalla loro provenienza umana o artificiale. Le risposte generate da ChatGPT, infatti, sono sempre coerenti, educate e logicamente ineccepibili seppur taglienti e passivamente aggressive.
Nell’ordinanza 10.02.2025, n. 3317 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione si inserisce nel filone interpretativo volto a garantire la coerenza tra l’imposta sul valore aggiunto e l’imposta di registro, con particolare riferimento alle agevolazioni previste per l’acquisto della “prima casa” non di lusso.
Il punto focale della pronuncia risiede nella conferma di un principio che può sembrare tecnico, ma che in realtà incide in modo rilevante su sicurezza giuridica e prevedibilità dell’azione amministrativa: l’allineamento temporale dei criteri di definizione dell’immobile agevolabile in funzione della data dell’atto di trasferimento.
Nel caso esaminato, la compravendita immobiliare era stata perfezionata nel marzo 2014, cioè prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 175/2014, che ha armonizzato la nozione di “immobile non di lusso” al criterio catastale già previsto per le agevolazioni in materia di imposta di registro.