Fatture elettroniche: strumento per velocizzare la riscossione

La bozza della legge di Bilancio 2026 introduce una modifica significativa all’art. 1, c. 5-bis D.Lgs. 127/2015, secondo quanto stabilito nell’art. 27 della Manovra, trasformando il ruolo operativo dei dati contenuti nel Sistema di Interscambio. Le fatture elettroniche, sino a oggi utilizzate prevalentemente a finalità di controllo e analisi del rischio da parte della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate, assumono ora una funzione ulteriore quale strumento di localizzazione dei flussi finanziari per l’avvio di procedure esecutive presso terzi.

A partire dal 2026, l’Agenzia delle Entrate potrà comunicare all’Agenzia delle Entrate-Riscossione i dati relativi ai corrispettivi dei soggetti debitori iscritti a ruolo e loro coobbligati nel semestre precedente, consentendo così interventi riscossori mirati. Le informazioni che transitano attraverso il Sistema di Interscambio gestito dall’Agenzia, una sorta di snodo centrale dove confluiscono i documenti elettronici prima di raggiungere i destinatari, divengono accessibili all’ufficio che gestisce la riscossione. La logica sottesa non è difficile da cogliere: se conosco a chi deve pagare il mio debitore e quanto, posso intercettare quei pagamenti prima che vengano liquidati. Si tratta, concretamente, di un pignoramento presso i clienti abituali del debitore. L’applicazione della disposizione non è tuttavia immediata: l’Agenzia delle Entrate dovrà emanare, entro 3 mesi dall’entrata in vigore, un provvedimento amministrativo che definisca soglie, criteri operativi e modalità di comunicazione ai debitori interessati, durante i quali il dispositivo legislativo rimane vigente nella forma ma inoperante negli effetti.

Il contesto in cui questa misura si inserisce riguarda la gestione del patrimonio di crediti insoluti, quantificabile in circa 1 miliardi e 300 milioni, accumulato negli anni da cartelle non pagate e inattuate rottamazioni. Non tutte le ipotesi avanzate hanno trovato accoglimento normativo: rimane infatti escluso l’accesso della Riscossione ai movimenti bancari dei debitori, limitazione ritenuta ancora restrittiva dagli operatori professionali.

Le informazioni che transitano attraverso il Sistema di Interscambio, snodo centrale di confluenza e smistamento dei documenti fatturali verso i destinatari, divengono così accessibili all’ufficio della riscossione sulla base dell’analisi dei flussi periodici dei corrispettivi. Settori caratterizzati da periodicità marcata (servizi locativi, consulenziali, manutentivi) risulteranno presumibilmente più esposti alle azioni esecutive. Si pensi all’imprenditore che riscuote ogni mese un canone di affitto da diversi inquilini, oppure al professionista che percepisce corrispettivi ricorrenti da una clientela stabile. Su questi soggetti l’Agenzia delle Entrate-Riscossione potrà ora concentrare l’azione esecutiva, bloccando direttamente (o comunque sequestrando) i flussi di denaro provenienti da transazioni ordinarie. Non è dissimile da quanto avviene già oggi con i pignoramenti su stipendi e pensioni, con l’elemento di novità che manca, al momento, un quadro di protezioni analoghe per il soggetto debitore.

L’introduzione del nuovo meccanismo di pignoramento attraverso l’accesso alle fatture elettroniche rappresenta un tentativo di bilanciare la necessità di recupero fiscale con la realtà operativa delle imprese. A conti fatti, rimane una misura proporzionata, in quanto circoscritta ai soli debitori già in ruolo. Tuttavia, la sua efficacia dipenderà da come sarà implementata. Un’interpretazione troppo aggressiva potrebbe frenare l’economia reale; un’applicazione troppo blanda non raggiungerebbe l’obiettivo. La strada di mezzo, come sovente accade, sarà la più difficile da individuare, ma pure la più necessaria. Sarà cruciale, pertanto, attendere i provvedimenti attuativi per comprendere tempi di decorrenza, forme di preavviso e procedure di contestazione. L’evoluzione del sistema tributario verso modelli di tracciabilità e controllo progressivamente più penetranti rimane inesorabile: gli operatori professionali e imprenditoriali dovranno adattarvisi, non fosse altro per ragioni prudenziali di gestione del rischio tributario e finanziario.

Manovra 2026: il calcolo delle detrazioni in 4 fasi

Proseguendo l’analisi dei meccanismi di calcolo delle detrazioni Irpef, passiamo ora alla sequenza operativa da porre in essere al fine di determinare il beneficio fiscale effettivamente spettante. È indispensabile seguire un preciso e complesso flusso di calcolo che, peraltro, esclusa la fase 4 è già applicabile in sede Redditi PF 2026 anno di imposta 2025.

Fase 1: le regole per ciascuna detrazione – Il punto di partenza è la verifica delle norme che disciplinano ciascun onere detraibile. Per ciascuna spesa occorre accertare il rispetto dei presupposti (es. tracciabilità del pagamento), applicare eventuali limiti o franchigie previsti dalla singola disposizione (es. limite per spese funebri) e determinare la spesa rilevante e, di conseguenza, la corrispondente detrazione teorica a seconda della percentuale specifica (19%, 26%, 50%, ecc.).

Fase 2: plafond di spesa (art. 16-ter Tuir) – Il meccanismo è operativo dal 2025 per redditi superiori a 75.000 euro (al netto del reddito per abitazione principale e pertinenze). Limita l’ammontare massimo complessivo di spesa utilizzabile. Il contribuente deve: a) sommare gli oneri astrattamente detraibili come sopra determinati, escludendo però le spese sanitarie, gli investimenti in start-up/PMI innovative e interessi su mutui e premi relativi a spese e contratti antecedenti al 1.01.2025; b) calcolare il proprio plafond di spesa (importo base 14.000 euro/8.000 euro x coefficiente figli 0,50/0,70/0,85/1); c) confrontare la somma delle spese (punto a) con il plafond (punto b).

Intermediari: nuovo servizio per accedere alle CU massive

In attuazione delle disposizioni di cui all’art. 23, D.Lgs. 8.01.2024, n. 1, il Direttore dell’Agenzia delle Entrate ha emanato il provvedimento 20.10.2025, n. 390142, con il quale sono state fornite le istruzioni tecniche e amministrative per richiedere e acquisire, anche massivamente, i dati delle Certificazioni Uniche.

Il servizio è reso disponibile a favore degli intermediari (CAF, professionisti abilitati o altri soggetti incaricati alla trasmissione delle dichiarazioni) per i soggetti per i quali siano stati delegati.

In via sperimentale, saranno messi a disposizione degli intermediari i dati delle CU 2025, inerenti ai redditi percepiti dai contribuenti nel periodo d’imposta 2024.

Per l’invio della richiesta e la successiva acquisizione dei dati, gli intermediari dovranno trasmettere tramite il servizio telematico Entratel, un file contenente:

– il codice fiscale dell’intermediario che effettua la richiesta;

– l’elenco dei codici fiscali dei soggetti di cui si richiede l’accesso ai dati della CU e l’anno di riferimento delle stesse.

Il file dovrà essere predisposto tramite l’apposito software reso disponibile dall’Agenzia delle Entrate, ovvero con altri strumenti conformi alle specifiche tecniche contenute nell’allegato A del provvedimento stesso.

Successivamente all’invio della richiesta, l’Amministrazione Finanziaria fornirà i dati all’intermediario, dopo aver verificato che la delega alla consultazione del cassetto fiscale del soggetto titolare della CU sia attiva alla data di acquisizione del file di richiesta. Al contempo, il contribuente, oltre a essere informato tramite notifica sull’App IO, potrà visualizzare dal proprio cassetto fiscale l’elenco dei soggetti per i quali detti dati sono stati resi disponibili.

Inviata la richiesta il sistema fornirà, come di consueto, un apposito protocollo telematico e l’esito dell’avvenuta o della mancata acquisizione dell’istanza. I dati saranno invece resi disponibili nell’area riservata entro 5 giorni dalla data di richiesta e potranno essere consultati per i 10 giorni successivi alla pubblicazione sull’area riservata.

Laddove la Certificazione Unica non sia presente nella fornitura richiesta, l’elemento “stato”, presente nel campo “Esito richiesta”, potrà essere valorizzato con i seguenti codici errore:

– 055, 355 – Il codice fiscale del contribuente non è valido;

– 056 – Il codice fiscale del contribuente non è associato a una persona fisica;

– 057, 357 – Il codice fiscale del contribuente non è utilizzabile in quanto aggiornato in altro codice fiscale;

– 076 – Il soggetto richiedente non risulta delegato al Cassetto fiscale del contribuente;

– 360 – Per la fornitura in esame è stata superata la soglia di 5.000 certificazioni uniche fornite;

– 067 – Per il codice fiscale del contribuente la Certificazione Unica è in corso di elaborazione;

– 307 – Per il codice fiscale del contribuente non è presente la Certificazione Unica.

Con apposito e successivo provvedimento sarà infine resa nota la data di disponibilità delle funzionalità per l’invio della richiesta e per l’acquisizione dei dati in argomento.

Scelta contabile delle spese di manutenzione: è sindacabile dal Fisco?

In ordine alle spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione, in molti casi di verifica fiscale viene contestata l’omessa capitalizzazione delle medesime in conto al cespite di riferimento, in quanto ritenute incrementative dei beni. Si ritiene che tale sindacato di giudizio non spetti ai verificatori e il relativo esame non può che dipartire dalla versione letterale dell’art. 102, c. 6 del Tuir che, per la parte che qui è d’interesse, dispone: “Le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione che dal bilancio non risultino imputate a incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono, sono deducibili nel limite del 5% del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili quale risulta all’inizio dell’esercizio dal registro dei beni ammortizzabili…”.

Tale norma ha un preciso raccordo storico con l’art. 55 R.D. 11.07.1907, n. 560, il quale individuava la categoria delle spese incrementative prevedendo la deduzione dal reddito d’impresa delle spese di produzione e di conservazione, manutenzione, di restauro e di innovazione dei locali e delle macchine, limitatamente a quella parte che non andava in aumento del valore degli uffici e della potenza delle macchine.

Pensione di vecchiaia: aumento del requisito di età

Alla fine, l’aumento del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia (art. 24, cc. 6 e 7 D.L. 201/2011), così come dei requisiti contributivi per la pensione anticipata, ci sarà, anche se in misura attenuata rispetto al pieno adeguamento alla speranza di vita calcolata dall’Istat. Con la prossima legge di Bilancio 2026, infatti, il Governo interverrà per bloccare solo parzialmente gli adeguamenti automatici previsti dall’art. 12 D.L. 78/2010, che lega i requisiti di pensionamento all’incremento della speranza di vita.

Aumenti graduali dal 2027 – In particolare, secondo le anticipazioni contenute nella bozza di manovra, il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia salirà a 67 anni e 1 mese nel 2027, mentre vi sarà un adeguamento pieno, pari a 3 mesi, a partire dal 1.01.2028, quindi un anno più tardi rispetto al calendario originario fissato dall’Istat.

Parallelamente, aumenteranno anche i requisiti per la pensione anticipata ordinaria (art. 24, c. 10 L. 214/2011), oggi pari a 42 anni e 10 mesi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne: diventeranno pari a 42 anni e 11 mesi per gli uomini e 41 anni e 11 mesi per le donne dal 2027, mentre subiranno l’incremento pieno, pari a 43 anni e 1 mese per gli uomini e 42 anni e 1 mese per le donne, dal 2028.

Dividendi e nuova soglia del 10%: revisione della dividend exemption

L’art. 18 del disegno di legge di Bilancio per il 2026, approvato dal Consiglio dei Ministri del 17.10.2025, segna un punto di svolta rilevante nella disciplina della tassazione dei dividendi, introducendo una significativa restrizione al perimetro applicativo del regime di esenzione parziale previsto per i dividendi percepiti da soggetti imprenditori Irpef e dai soggetti Ires. La modifica consiste, in estrema sintesi, nell’introduzione di una soglia minima di partecipazione diretta nel capitale, pari al 10%, necessaria per continuare a beneficiare dell’esclusione del 95% dei dividendi dal reddito imponibile.

La novella normativa incide su 2 fondamentali disposizioni del Tuir, ovvero: l’art. 59, riguardante i soggetti Irpef imprenditori, e l’art. 89, relativo ai soggetti Ires. In entrambi i casi, viene previsto che l’esenzione parziale sia limitata alle partecipazioni dirette pari o superiori al 10% del capitale della società erogante. Tuttavia, si precisa che, ai fini del raggiungimento di detta soglia, è possibile considerare anche le partecipazioni detenute indirettamente tramite società controllate, secondo quanto disposto dall’art. 2359, c. 1., n. 1) c.c., con applicazione della regola della demoltiplicazione lungo la catena di controllo.

Nel caso delle persone fisiche esercenti attività d’impresa, la parziale imponibilità dei dividendi (oggi fissata nella misura del 58,14%) viene quindi subordinata al possesso della partecipazione qualificata, in discontinuità rispetto all’impostazione vigente che non distingue tra partecipazioni qualificate e non.

Buoni pasto elettronici: verso l’aumento della soglia a 10 euro?

È tempo di legge di Bilancio per l’anno 2026 e le prime indiscrezioni hanno fatto emergere diverse disposizioni che potrebbero interessare i lavoratori durante il prossimo anno, tra cui una in particolare sul tema dei buoni pasto. Già in precedenza la legge di Bilancio 2020 aveva modificato i previgenti limiti di esclusione dal reddito di lavoro dipendente dei buoni pasto, rendendo più conveniente l’utilizzo di quelli in formato elettronico.

A oggi, quindi, sono escluse dalla formazione della base imponibile ai fini Irpef le prestazioni sostitutive delle somministrazioni di vitto fino all’importo complessivo giornaliero di 4 euro, aumentato a 8 euro nel caso in cui le stesse siano rese in forma elettronica.

Come sappiamo, i buoni pasto fanno parte della più ampia categoria dei fringe benefit, di cui non esiste a livello legislativo una definizione: con questo termine intendiamo i compensi in natura, sottoforma di beni e servizi, che il datore di lavoro eroga ai propri dipendenti, in aggiunta alla retribuzione e per fini non direttamente collegati allo svolgimento della prestazione.

ChatGPT: come lo usiamo davvero

OpenAI ha pubblicato a settembre 2025 il più ampio studio mai condotto sull’uso di ChatGPT, basato su 1,5 milioni di conversazioni e oltre 700 milioni di utenti settimanali. In meno di 3 anni dal lancio, il chatbot è diventato una piattaforma globale, usata da circa il 10% della popolazione adulta.

I dati mostrano un cambiamento nella composizione degli utenti: il divario di genere si è ridotto fino a invertire la tendenza, passando dal 37% di nomi femminili nel 2024 al 52% nel 2025. L’espansione più rapida si registra nei Paesi a reddito medio-basso, con tassi 4 volte superiori rispetto alle economie avanzate.

Gli usi principali sono 3: ricerca di informazioni, consigli pratici e scrittura, che resta la funzione più diffusa in ambito professionale. Il coding pesa solo il 4% delle conversazioni, mentre quasi metà dei messaggi riguarda richieste di informazioni, il 40% la produzione di output e l’11% l’espressione personale, solo l’1,9% delle conversazioni riguarda tematiche sentimentali o confidenziali (grazie al cielo).

Analisi dei principali aspetti del repêchage

Come noto, nell’ambito di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, è onere del datore di lavoro recedente andare ad operare una ampia valutazione circa la ricollocazione del lavoratore in altra posizione, nell’ambito di quanto presente in azienda. Tale indicazione, di ordine giurisprudenziale, è conosciuta con nome di repêchage.

Con la sentenza n. 18075/2025 la Corte di Cassazione ci offre un’interessante ricognizione su quelli che sono i caratteri che contraddistinguono tale onere datoriale.

La causa, all’attenzione della Suprema Corte, riguarda la contestazione di una lavoratrice circa la non corretta valutazione, a suo dire, effettuata dalla Corte d’Appello di Roma in relazione all’obbligo di repêchage. Nell’andare a ritenere infondate le ragioni esposte dalla ricorrente, la Corte di Cassazione ripercorre una serie di interessanti aspetti che, in qualche modo, ci tratteggiano il quadro applicativo corretto secondo il quale il datore di lavoro, ante recesso, deve operare. Vediamo, di seguito, i diversi punti trattati.

Auto a uso promiscuo: riforma 2025 e criticità del “valore normale”

La riforma della tassazione delle auto aziendali a uso promiscuo, introdotta con la legge di Bilancio 2025, ha segnato un cambio di paradigma nella determinazione del fringe benefit imponibile. L’abbandono del sistema basato sulle emissioni di CO2 in favore di un criterio fondato sulla tipologia di alimentazione del veicolo rappresenta una semplificazione apparente che nasconde, tuttavia, significative complessità operative. Fermo restando il meccanismo convenzionale basato su una percorrenza annua di 15.000 km determinata in base alle tariffe Aci, dal 1.01.2025, per i veicoli immatricolati, contrattualizzati e consegnati successivamente a tale data, si applicano 3 percentuali forfetarie: 10% per i veicoli elettrici a batteria, 20% per gli ibridi plug-in e 50% per tutti gli altri veicoli, inclusi quelli a combustione tradizionale, ibridi non plug-in, alimentati a metano, GPL o idrogeno.

Il decreto Bollette (D.L. 19/2025, conv. L. 60/2025) ha previsto un regime transitorio per garantire gradualità: i veicoli concessi dal 2020 al 2024 o ordinati entro il 31.12.2024 e consegnati nel primo semestre 2025 continuano ad applicare il precedente sistema basato sulle emissioni (25%, 30%, 50% o 60% in funzione dei grammi di CO2/km).

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