Priorità alle DOP e IGP negli appalti pubblici

Con un voto ampiamente favorevole, il Parlamento europeo ha approvato in seduta plenaria il mandato negoziale relativo alla proposta di regolamento volto a rafforzare la posizione degli agricoltori all’interno della filiera agroalimentare. Tra le disposizioni più rilevanti, spicca l’emendamento che riconosce una priorità ai prodotti a Denominazione di Origine Protetta (DOP) e Indicazione Geografica Protetta (IGP) nelle forniture della Pubblica Amministrazione. Si tratta di un passaggio significativo nella strategia europea di tutela e valorizzazione delle produzioni di qualità, con ricadute potenzialmente importanti sul piano economico, territoriale e ambientale.

Nuovo orientamento per la politica agroalimentare europea – Il testo approvato impegna gli Stati membri a introdurre criteri che privilegino nei contratti pubblici prodotti agricoli e alimentari locali, stagionali e di origine europea, attribuendo una corsia preferenziale a quelli certificati DOP o IGP. Tale indirizzo si inserisce in una più ampia revisione del quadro normativo della Politica Agricola Comune (PAC), orientata a rafforzare la trasparenza e la sostenibilità delle filiere, nonché a riequilibrare il potere contrattuale tra produttori e grandi operatori della distribuzione.

L’emendamento approvato mira a favorire modelli di approvvigionamento pubblico sostenibili, in grado di valorizzare la qualità, la tracciabilità e il legame con il territorio. In questo modo, l’Unione Europea riconosce alle Indicazioni Geografiche non solo un valore culturale e identitario, ma anche un ruolo strategico nel promuovere sistemi alimentari resilienti e circolari.

Valore scientifico ed economico delle Indicazioni Geografiche – Le produzioni a Indicazione Geografica rappresentano un elemento chiave del patrimonio agroalimentare europeo, basato sul legame tra caratteristiche del territorio, competenze tradizionali e qualità organolettiche dei prodotti. Numerosi studi economici e territoriali hanno evidenziato come il sistema delle DOP e IGP contribuisca in modo significativo alla sostenibilità economica e ambientale delle aree rurali, generando occupazione e preservando la biodiversità agricola.

Secondo dati della Commissione Europea, le produzioni certificate DOP e IGP generano complessivamente un valore di oltre 80 miliardi di euro l’anno, con un impatto positivo sulla competitività e sull’export agroalimentare europeo. L’inclusione di tali prodotti nelle forniture pubbliche (ad esempio nelle mense scolastiche, ospedaliere o nelle strutture pubbliche) rappresenta un meccanismo di diffusione della qualità e dell’educazione alimentare, oltre che uno strumento di politica economica locale.

Implicazioni normative e operative – Sul piano tecnico, l’emendamento si inserisce nel quadro di revisione delle norme sulla governance delle filiere e sulle pratiche commerciali sleali, già affrontate nelle precedenti riforme della PAC. Oltre alla priorità per i prodotti a Indicazione Geografica, il pacchetto di modifiche include l’introduzione di contratti scritti obbligatori tra produttori e acquirenti, al fine di garantire maggiore trasparenza nei rapporti economici e una distribuzione più equa del valore lungo la catena di produzione.

La misura risponde anche all’esigenza di allineare le politiche pubbliche agli obiettivi del Green Deal europeo e della strategia “Farm to Fork”, che promuove modelli di consumo e produzione più sostenibili. In questo contesto, la valorizzazione dei prodotti DOP e IGP nei bandi pubblici contribuisce a ridurre le distanze di trasporto, incentivando la filiera corta e la riduzione delle emissioni di CO2 legate alla logistica agroalimentare.

Sostegno concreto ai produttori e ai territori – Dal punto di vista socioeconomico, la priorità accordata alle DOP e IGP rappresenta una forma di riconoscimento del valore aggiunto del lavoro agricolo e delle pratiche tradizionali. Essa può contribuire a rafforzare il reddito dei produttori, a migliorare la competitività delle piccole imprese agricole e a contrastare lo spopolamento delle aree rurali.

In prospettiva, l’applicazione coerente dell’emendamento da parte degli Stati membri potrà fungere da volano per l’innovazione sostenibile e per la diffusione di buone pratiche amministrative negli appalti pubblici. L’acquisto di prodotti di qualità certificata da parte delle istituzioni non è soltanto un atto economico, ma un segnale politico che orienta la domanda pubblica verso la tutela delle produzioni locali e la salvaguardia del patrimonio agroalimentare europeo.

Base imponibile nelle permute: la norma si allinea alla Direttiva Iva

La modifica ai criteri di determinazione della base imponibile nelle permute era nell’aria. Recentemente si è parlato molto di permute a ragione degli accertamenti subiti dalle società, soprattutto statunitensi, che operano nel settore dei social network nell’ambito di presunti scambi tra dati personali forniti dagli utenti e prestazioni rese dalle piattaforme.

Tra i vari temi toccati da questa campagna vi è quella relativa ai criteri di valutazione delle operazioni permutative. In particolare, per queste operazioni la disciplina attuale non si basa sul criterio generale del prezzo pattuito, in quanto il legislatore Iva lo ha sostituito con il criterio del valore normale (sostanzialmente il valore di mercato). Il valore normale lascia posto al costo solo quando manca un riferimento di mercato.

Ebbene, tale criterio viola la regola prevista dalla direttiva UE che riserva il metodo del valore normale (open market value) ai casi dove esiste un rischio di elusione e, in particolare, ai casi in cui esistono legami tra le parti (familiari o altri stretti vincoli personali, gestionali, di associazione, di proprietà, finanziari o giuridici) e una parte abbia un diritto limitato alla deduzione.

Compensazioni in F24: le modifiche previste da luglio 2026

L’art. 26 del disegno della legge di Bilancio 2026 approvato dal Consiglio dei Ministri in data 17.10.2025 prevede, a decorrere dal 1.07.2026, una modifica strutturale al sistema delle compensazioni in F24. Nello specifico, la norma sostituisce integralmente l’art. 4-bis, c. 1 D.L. 39/2024, estendendo in modo generalizzato il divieto di compensazione dei crediti d’imposta con i debiti previdenziali e assicurativi, finora circoscritto agli intermediari finanziari e ai crediti derivanti da agevolazioni edilizie. Pertanto, a partire dal 1.07.2026, tutti i contribuenti (inclusi quindi anche i soggetti non finanziari e le persone fisiche) non potranno più utilizzare in compensazione crediti d’imposta diversi da quelli derivanti dalla liquidazione delle imposte per estinguere i premi assicurativi Inail e i debiti per contributi previdenziali e assistenziali.

L’ambito oggettivo del divieto riguarda anche ai crediti ceduti a terzi, rendendo non utilizzabili in F24 anche i crediti d’imposta acquisiti sul mercato e quelli maturati a seguito di agevolazioni fiscali settoriali, se non risultanti direttamente dai modelli dichiarativi o dai flussi contributivi certificati.

La misura, pur giustificata nella relazione illustrativa dalla volontà di contrastare fenomeni di indebite compensazioni e migliorare la tracciabilità delle partite contabili, rappresenta una chiara inversione di logica rispetto al principio di neutralità che caratterizza l’art. 17 D.Lgs. 241/1997. Infatti, quella che era una deroga (ovvero il divieto alla compensazione) diventa ora una regola generale, ponendo limiti sostanziali alla capacità dei contribuenti di utilizzare i propri crediti fiscali come strumento di liquidità.

L’intervento si affianca alla riduzione da 100.000 a 50.000 euro, prevista sempre con decorrenza 1.07.2026, della soglia dei debiti erariali iscritti a ruolo che è tale da impedire l’accesso alla compensazione, Questa riduzione avrà l’effetto di restringere ulteriormente la platea dei contribuenti che potranno operare compensazioni.

La combinazione dei 2 interventi (divieto generalizzato e abbassamento della soglia) produce un duplice effetto, ovvero: da un lato, una contrazione significativa della capacità compensativa del sistema (con impatti immediati sulla gestione di cassa delle imprese e dei professionisti) e, dall’altro, un rafforzamento delle posizioni di controllo preventivo dell’Agenzia delle Entrate (che sarà chiamata a validare le compensazioni superiori a 50.000 euro).

Dal punto di vista sistematico, l’estensione del divieto ai crediti ceduti introduce un elemento di frizione con i principi di circolazione e fungibilità dei crediti d’imposta sanciti dal D.L. 34/2020. Infatti, laddove il credito dovesse essere trasferito a soggetti che non dispongono di sufficienti debiti fiscali diretti, l’impossibilità di compensare con posizioni contributive riduce la sua liquidabilità effettiva, incidendo sul valore di mercato e sulla pianificazione finanziaria dei cessionari.

L’efficacia della misura è ancorata alla data del 1.07.2026, ma sarebbe auspicabile limitarne l’applicazione ai crediti sorti o acquistati dopo l’entrata in vigore della norma, per evitare una retroattività sostanziale in contrasto con il principio di tutela dell’affidamento. Nella prospettiva contabile e di finanza pubblica, l’intervento non è stato accompagnato da una quantificazione autonoma di gettito, il che induce a ritenere che la finalità prevalente sia di carattere ordinamentale e non di incremento delle entrate. Tuttavia, gli effetti indotti in termini di flussi di cassa a favore dell’Erario e di riduzione del rischio di compensazioni fraudolente sono evidenti.

Sopravvenienze attive: la Cassazione corregge parzialmente la rotta

La Cassazione, con la sentenza 16.10.2025, n. 27592, ha affermato che, in regime d’impresa, la sopravvenienza attiva, poiché, ai sensi dell’art. 88, c. 1 del Tuir, si deve causalmente raccordare con il sopraggiungere di un evento in un esercizio successivo a quello di imputazione, che si riveli idoneo a estinguere con certezza il costo o il debito registrato, non si verifica con la semplice iscrizione di un debito tra le passività. Quindi, l’iscrizione in bilancio di una posta passiva, per errore o perché fittizia, non comporta l’iscrizione di una sopravvenienza attiva nell’esercizio in cui l’errore sia stato corretto o la fittizietà sia stata dichiarata o accertata, dovendosi al contrario imputare la rettifica all’esercizio in cui l’iscrizione della componente negativa sia avvenuta per errore o per falsità.

Il riportato principio di diritto va senz’altro condiviso e riforma l’ordinanza della Cassazione 23.04.2023, n. 10988 nella quale era stato rappresentato che lo stralcio di una passività costituisce sempre una sopravvenienza attiva, anche se originariamente il debito non esiste.

Adeguatezza degli assetti organizzativi e Modello 231/2001

Come più volte ricordato non esiste un modello che definisca quando gli assetti siano adeguati o meno, ma occorre verificare, ai sensi dell’art. 2086 c.c., le dimensioni e la natura dell’attività svolta; ciò deve avvenire per evitare di applicare cliché predeterminati a qualunque attività e, soprattutto, per evitare di sovraccaricare le aziende di adempimenti alla fine ridondanti quando addirittura inutili.

Il criterio della proporzionalità di tale indagine è raccomandato anche dal Cndcec nella norma di comportamento 5.4 sulle verifiche del sistema interno di controllo che richiama la precedente norma 3.6 che pure dispone in tal senso.

Chi scrive non ama in particolare modo check-list o formule standard per fornire tale tipo di certificazione, specialmente a fronte di una definizione, quale quella data dall’art. 2403 c.c., che prevede non solo il giudizio sul rispetto di adeguatezza degli assetti, ma anche l’accertamento da parte dei sindaci “del suo concreto funzionamento”.

Operazioni inesistenti: onere della prova e formalità contabili

L’accertamento basato sull’utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti (quelle prive di riscontro nella realtà commerciale) è centrale nella pratica fiscale e penale. Tali operazioni comportano l’indeducibilità del costo e l’indetraibilità dell’Iva per la mancanza del requisito della certezza.

L’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di provare la fittizietà, assolvendo a tale compito anche mediante presunzioni semplici, purché dotate di gravità, precisione e concordanza.

In particolare, il professionista deve essere consapevole che, una volta che l’Ufficio ha fornito indizi attendibili, spetta al contribuente fornire la rigorosa prova del contrario. Crucialmente, la Cassazione ha stabilito che tale onere non è assolto dalla mera esibizione della fattura o dalla dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento (es. bonifici o assegni). Questi elementi sono ritenuti “facilmente falsificabili” e “normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia”.

Distribuzione utili e cessione asset: confermate le misure cautelari

La Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria ha confermato, con la sentenza n. 1519/3/2025, le misure cautelari disposte nei confronti di una società contribuente, rigettando il ricorso presentato contro la decisione di primo grado. Al centro della vicenda, una consistente pretesa tributaria pari a oltre 118 milioni di euro e una serie di operazioni societarie che, secondo l’Agenzia delle Entrate, mettevano a rischio il recupero del credito erariale.

La vicenda trae origine da un accertamento condotto dalla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate della Calabria, in cui venivano contestate numerose violazioni, fra cui l’indebita applicazione del regime di participation exemption (PEX) sulla plusvalenza derivante dalla cessione del 100% del capitale di una società neocostituita. L’operazione, avvenuta nel dicembre 2021, avrebbe generato una plusvalenza superiore a 265 milioni di euro, di cui il 95% è stato portato in deduzione Ires.

Regolarità fiscale e contributiva: nuovo scoglio per i professionisti

La bozza della legge di Bilancio 2026 introduce una novità di non poco conto nell’architettura dei rapporti tra liberi professionisti e Amministrazioni pubbliche. L’art. 130 del D.D.L Bilancio dispone che il pagamento dei compensi professionali presso gli enti pubblici deve essere subordinato a un meccanismo di verifica preventiva della regolarità sia fiscale che previdenziale di chi la prestazione la rende effettivamente. Questo si traduce in un obbligo documentale che ricade direttamente sul professionista: occorre produrre documentazione comprovante lo stato di regolarità nei confronti dell’Amministrazione tributaria e degli organismi previdenziali competenti. Il meccanismo rappresenta un blocco preventivo ex ante: l’Amministrazione sospende il pagamento sino all’esibizione della documentazione richiesta. Tale approccio interessa indiscriminatamente tutte le categorie professionali (avvocati, ingegneri, commercialisti, consulenti) senza distinzioni di importo o continuità della prestazione.

Occorre, però, comprendere con precisione il meccanismo previsto. Secondo quanto recitato nel testo bollinato, il professionista deve allegare alla fattura elettronica la documentazione attestante la conformità della propria situazione sia sotto il profilo tributario (verso l’Agenzia delle Entrate) che previdenziale (verso Inps, Inail o casse di categoria). Teoricamente, la prassi dovrebbe allinearsi a ciò che avviene per gli appalti pubblici, dove il DURC rappresenta il lasciapassare obbligatorio.

Sostituzione di personale in congedo: novità legge di Bilancio 2026

Il disegno di legge di Bilancio 2026, approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 17.10.2025, è stato presentato al Senato (A.S. 1689), dove si avvia il lungo percorso parlamentare.

Tra le diverse misure per la famiglia e, in particolare, a favore della genitorialità, è importante segnalare una disposizione, introdotta per il “rafforzamento del contratto a termine a favore della genitorialità” e contenuta nell’art. 51 del disegno di legge.

La norma integra il Testo Unico sulla maternità e paternità (D.Lgs. 26.03.2001, n. 151) e, in particolare, l’art. 4, inserendo, dopo il c. 2, la seguente disposizione: “2-bis. Al fine di favorire la conciliazione vita-lavoro e garantire la parità di genere sul lavoro, in caso di assunzione ai sensi dei commi 1 o 2, il contratto di lavoro può prolungarsi per un ulteriore periodo di affiancamento della lavoratrice sostituita, di durata, comunque, non superiore al primo anno di età del bambino”.

Codici, qualifiche e requisiti pensionistici per lavoratori sportivi

Con la circolare 22.09.2025, n. 127 l’Inps ha fornito precise indicazioni sulle misure previdenziali di cui al D.Lgs. 28.02.2021, n. 36, come integrate e modificate dal D.Lgs. 5.10.2022, n. 163, in merito al riordino e alla riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché di lavoro sportivo, ai fini della tutela previdenziale e del trattamento pensionistico a carico del Fondo Pensione dei Lavoratori Sportivi.

Nello specifico ha fornito le indicazioni in merito alle misure previdenziali previste dal D.Lgs. 28.02.2021, n. 36, emanato in attuazione dell’art. 5 L. 8.08.2019, n. 86, come modificato e integrato dal D.Lgs. 5.10.2022, n. 163, che ha riordinato e riformato le disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché di lavoro sportivo dilettantistico.

Con il messaggio 24.10.2025, n. 3185 l’Inps è tornato sulla riforma del lavoro sportivo con particolare riferimento alla parte previdenziale fornendo le descrizioni relative alle codifiche dei codici qualifica 785 e 788 con il relativo allineamento delle stesse ai dettati della circolare 31.10.2023, n. 88.

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