Nella dichiarazione dei redditi il contribuente forfetario si troverà un quadro LM con alcune differenze rispetto all’anno scorso. Anzitutto le sezioni sono I, III, IV, V. Le sezioni II e VI dell’anno scorso sono state eliminate perché la II accoglieva il regime della Flat Tax (tassa piatta incrementale) applicabile solo per l’annualità 2023, mentre la VI perché accoglieva l’opzione per il concordato preventivo per il 2024, che per il 2025 è stata abolita per i contribuenti forfetari. Restano quindi la sezione I ancora dedicata ai residui contribuenti minimi in essere, mentre la Sezione III accoglie la vera e propria determinazione del reddito nel regime forfetario.
Al rigo LM21, oltre ai consueti flag per la sussistenza dei requisiti di accesso, l’assenza di cause ostative e l’eventuale neo-attività, si aggiunge la colonna 4 ove indicare il nuovo codice ATECO 2025. Tale nuovo codice invece non va indicato al rigo LM22, col. 1, che deve riportare ancora il vecchio ATECO, nelle more di un futuro aggiornamento della tabella della L. 190/2014 che individua i coefficienti di redditività.
Altra novità sta nell’introduzione della colonna 7 “casi particolari” ove si può indicare l’indennità di maternità, che invece prima di quest’anno non aveva un campo a sé stante, dovendo essere indicata come un altro ricavo, ma con la differenza che tale indennità va tassata e non rileva ai fini del limite dei ricavi/compensi di 85.000 euro (da qui la creazione di un campo apposito per darne specifica e differenziata evidenza).
Si ricorda che, a differenza dell’anno scorso, quest’anno i forfetari non riceveranno CU; pertanto, la dichiarazione va compilata indicando i ricavi/compensi effettivamente incassati nel 2024.
Ultima novità degna di nota, sempre nella sezione III, è la compilazione dei campi per chi ha optato per il concordato preventivo biennale.
Al rigo LM32 si può inserire il reddito concordato, se si decide di optare per l’imposta sostitutiva di cui all’art. 31-bis D.Lgs. 13/2024, che implica la tassazione con un’imposta del 10% (se il forfetario ha normalmente l’aliquota del 15%) o del 3% (se il forfetario è nel suo periodo di neo-attività e applica quindi l’aliquota del 5%) sulla differenza tra reddito concordato (di cui al rigo LM63 del Modello Redditi 2024) e reddito effettivo 2023 (di cui al rigo LM34, col. 3 del Modello Redditi 2024).
Quindi, se si opta per l’opzione (che a ben vedere si ritiene esser sempre conveniente prevedendo aliquote più basse rispetto alle “ordinarie forfettarie”), il reddito da indicare al rigo LM33 per essere assoggettato alla normale imposta forfettaria è pari alla differenza tra reddito concordato (rigo LM32, col. 1) e la quota assoggettata a imposta sostitutiva di cui all’art. 31-bis (rigo LM32, col. 3).
La tassazione forfettaria (del 15% o 5%) viene quindi applicata al reddito concordato di cui al rigo LM33 (e non al reddito effettivo, che invece è indicato al rigo LM34, col. 3) decurtato dei contributi previdenziali versati nel 2024.
Al rigo LM45 sono infine indicati gli acconti versati per il 2024, compresa la maggiorazione versata con metodo storico per l’adesione al concordato preventivo.
L’ipotesi di accordo di rinnovo del Ccnl 30.09.2022 è stata sottoscritta tra le parti sindacali (UTILITALIA, PROXIGAS, ANFIDA, ASSOGAS, FILCTEM-CGIL, FEMCA-CISL e UILTEC-UIL) in data 8.05.2025.
Il nuovo contratto, in attesa dello scioglimento della riserva, decorre dal 1.01.2025 e avrà scadenza in data 31.12.2027.
L’accordo di rinnovo stabilisce un incremento retributivo, sul parametro medio di settore (143,53) in misura pari a 260 euro sui minimi. A esso si aggiunge un importo di 15 euro da allocare sul premio di risultato/produttività per gli anni 2026/2027 e di 7 euro da allocare sul welfare contrattuale.
L’incremento dei minimi viene riconosciuto secondo le seguenti decorrenze (sempre sul parametro 143,53): 90 euro dal 1.07.2025; 60 euro dal 1.07.2026; 60 euro dal 1.07.2027; 50 euro dal 1.10.2027.
Per quanto riguarda l’ammontare retributivo annuale di produttività (ARAP) è fissato un importo complessivo sul parametro 143,53 pari a 210 euro, sia per l’anno 2026 sia per il 2027.
Lo studio professionale fondato sul passaggio del testimone genitori-figli è sempre meno frequente. Esiste ancora, ma è destinato a diventare una situazione sempre più rara, come i taxi in un mondo di Uber. Il classico modello di passaggio generazionale “genitori-figlio” che per decenni ha caratterizzato il panorama professionale italiano sta rapidamente cedendo il passo a qualcosa di completamente diverso.
La domanda sorge spontanea: perché questo cambiamento così radicale?
Nuovo paradigma: merito batte parentela 2-0 – Il primo elemento di rottura riguarda il fatto che il passaggio generazionale oggi non è più necessariamente un “affare di famiglia”. Gli studi che hanno fiuto per il futuro hanno capito che il talento non si trasmette per via ereditaria come l’argenteria di nonna. La competenza deve prevalere sulla parentela. Questo cambio di rotta non nasce da un’improvvisa crisi di coscienza democratica. È figlio di un mercato competitivo, dove sopravvivono solo gli studi capaci di offrire servizi d’eccellenza a clienti sempre più esigenti.
In linea di massima, nella rivoluzione digitale i senior spesso annaspano, mentre i giovani si muovono agilmente. Cloud, intelligenza artificiale, software gestionali avanzati sono necessità quotidiane, questione di sopravvivenza organizzativa. E qui sta il paradosso: oggi sono spesso i giovani a guidare la trasformazione digitale dello studio, mentre i senior apportano esperienza e visione. Un matrimonio che, quando funziona, fa fare il salto di qualità.
Cosa vogliono i giovani professionisti? – I giovani professionisti hanno aspettative radicalmente diverse. Il work-life balance non è più un lusso, ma un diritto fondamentale, alla stregua della connessione Wi-Fi. Smart working, orari flessibili e cultura aziendale orizzontale sono elementi imprescindibili. Gli studi che propongono modelli di lavoro anni ’90 rischiano di perdere i professionisti più promettenti, indipendentemente dal prestigio o dalle cifre sul contratto.
Da trasmissione a co-creazione – Parlare di “passaggio” è ormai limitante. Il modello tradizionale prevedeva una trasmissione unidirezionale del sapere: “Io ti insegno, tu fai come ti ho detto”. Oggi sarebbe più corretto parlare di co-creazione generazionale, un processo in cui le esperienze dei senior si fondono con l’entusiasmo e l’innovazione dei giovani, creando un circolo virtuoso che mantiene lo studio competitivo.
Strategie per non fare un pasticcio – Come gestire questa evoluzione? Ecco alcuni approcci vincenti:
– pianificare con largo anticipo, non 3 mesi prima della pensione;
– creare percorsi di affiancamento strutturati;
– definire chiaramente ruoli e responsabilità;
– dare spazio all’innovazione, anche quando sfida lo status quo;
– prevedere momenti di verifica periodici.
Resistenze al cambiamento – Il percorso non è, però, certo facile. Molti professionisti senior vivono il passaggio come un lutto anticipato. I giovani, d’altra parte, mostrano spesso un’impazienza cronica o, all’opposto timori e disinteresse preoccupante. Superare queste resistenze richiede dialogo costante e una visione condivisa. In alcuni casi, può essere utile ricorrere a un facilitatore esterno.
Il passaggio generazionale moderno è un processo continuo, non un evento puntuale. Chi lo affronta con apertura mentale ne raccoglie i frutti in termini di innovazione e competitività. Come diceva Drucker: “La miglior previsione del futuro è crearlo”. Nel caso degli studi professionali, questo significa costruire un avvenire in cui esperienza e innovazione si fondono per rispondere alle sfide di un mercato che non aspetta nessuno.
Pensare al passaggio generazionale per tempo vuol dire concepire lo studio non come un fattore personale, ma come una creatura che può e deve vivere a prescindere dal fondatore, anzi si deve evolvere con i tempi e le nuove generazioni, siano figli o professionisti meritevoli.
Nel caso in cui l’immobile oggetto di compravendita sia interessato da interventi straordinari deliberati in ambito condominiale, è necessario valutare con attenzione chi ha diritto alla detrazione Irpef per le spese sostenute e da sostenersi. Si tratta di un tema frequente nella prassi delle compravendite immobiliari, ma spesso fonte di fraintendimenti sul piano fiscale.
Ai sensi dell’art. 16-bis, c. 8 del Tuir (D.P.R. 917/1986), in caso di cessione a titolo oneroso di un immobile su cui sono stati effettuati interventi di recupero edilizio agevolati, le quote residue di detrazione non ancora utilizzate si trasferiscono all’acquirente, salvo diverso accordo scritto da riportare nell’atto pubblico o in scrittura privata autenticata. Si tratta però di detrazioni già “maturate”, cioè relative a spese effettivamente sostenute prima del trasferimento dell’immobile.
Diversa è la situazione, piuttosto frequente negli ultimi anni, in cui l’assemblea condominiale abbia già deliberato i lavori prima della vendita, ma le relative spese risultino ancora da sostenere al momento del rogito. In tali casi, per prassi contrattuale, le parti spesso stabiliscono che il venditore si farà carico anche delle spese future, pur non essendo più proprietario al momento in cui il condominio emette la richiesta di pagamento o vengono saldati gli stati di avanzamento lavori.
Tale intervento normativo mira a garantire un maggiore allineamento tra le codifiche utilizzate a fini statistici, fiscali e previdenziali, contribuendo a una più efficace gestione delle posizioni contributive e assicurative delle imprese.
Rischi di disallineamento e impatti operativi – L’attribuzione dei nuovi codici Ateco da parte dell’Inps avviene sulla base dei dati storicamente presenti nei propri archivi anagrafici, i quali potrebbero non riflettere pienamente l’attività prevalente effettivamente esercitata dall’impresa e dichiarata presso la Camera di Commercio (CCIAA). Tale scenario può generare situazioni di disallineamento tra il codice Ateco attribuito dall’Inps e quello risultante dalla visura camerale, con il rischio di produrre rilevanti criticità operative sia sotto il profilo della corretta classificazione previdenziale e assistenziale, sia in relazione agli adempimenti contributivi.
Un’errata classificazione può, infatti, comportare:
– applicazione di aliquote contributive non coerenti con la reale natura dell’attività svolta;
– errori nell’inquadramento assicurativo e nel calcolo dei premi Inail;
– potenziali contestazioni da parte degli enti preposti alla vigilanza;
Il 21.05.2025 si è concluso definitivamente l’iter parlamentare del disegno di legge di conversione del D.L. 39/2025, recante misure urgenti in materia di assicurazione dei rischi catastrofali sancendo l’approvazione finale del provvedimento che modifica sostanzialmente la disciplina introdotta dall’art. 1, cc. 101-111 L. 213/2023. La legge di Bilancio 2024 aveva infatti introdotto l’obbligo di stipulazione di polizze assicurative contro i rischi catastrofali, ma i termini originariamente previsti si sono rivelati, nella prassi applicativa, difficilmente rispettabili per la maggior parte delle realtà imprenditoriali.
La nuova disciplina temporale prevede ora una differenziazione per categorie dimensionali. Le medie imprese dovranno stipulare le polizze catastrofali entro il 1.10.2025. Per le piccole e microimprese, invece, il termine si posticipa al 31.12.2025. Diversa la posizione delle grandi imprese: obbligo di assicurazione entro il 31.03.2025, ma, aspetto importante, l’inadempimento non comporta sanzioni per 90 giorni.
Il testo approvato incorpora le modifiche introdotte dalla Commissione Ambiente della Camera che meritano un’analisi più approfondita.
Il primo intervento significativo riguarda la disciplina dei beni condotti in locazione. Secondo quanto previsto dall’art. 1-bis, c. 2 D.L. 155/2024, l’obbligo assicurativo si estende ai beni elencati nell’art. 2424, c. 1, sezione Attivo, voce BII, nn. 1), 2) e 3) c.c., “a qualsiasi titolo impiegati per l’esercizio dell’attività di impresa”.
Il cambiamento demografico e le riforme previdenziali stanno marcando profondamente il mercato occupazionale, determinando una riduzione delle nuove leve e una permanenza prolungata dei senior. L’estensione dell’aspettativa di vita e dell’età pensionabile impone una revisione del ciclo lavorativo, orientata a protrarre e rendere sostenibile l’invecchiamento attivo.
In questo contesto, l’age management acquisisce un ruolo strategico nelle politiche interne.
Non si tratta soltanto di gestire il divario, ma di convertirlo in stimoli di innovazione, produttività e aggregazione.
Apprezzare tutti significa riconoscere il contributo unico che ciascuno può offrire, promuovendo spazi includenti in cui esperienza e capacità dialogano costantemente. La combinazione tra le conoscenze tecniche e relazionali dei lavoratori maturi e le abilità contemporanee dei giovani rappresenta un’opportunità fondamentale per affrontare con maggiore elasticità i mutamenti commerciali e sostenere la trasformazione.
Il passo cui ricorre il giudice di Cassazione è ormai noto “l’incongruità e l’antieconomicità della spesa, sul piano probatorio, assumono rilievo come indici sintomatici della carenza di inerenza pur non identificandosi con essa”. Dell’equivocità di tale passo si è già più volte scritto, dal momento che se un “fatto indice” è sintomatico del mancato riscontro di un presupposto, esso non può non concorrere in qualche modo alla sua identità legale.
Se, quindi, l’interazione funzionale tra un costo abnorme e la misura di sinergia utile che esso riversa nell’operatività dell’impresa lo rende sintomaticamente non inerente, è perché il principio dell’inerenza nel suo paradigma concreto ritrae dalla congruità del rapporto costi-benefici la relativa configurazione strutturale.
L’abnormità di un costo si misura necessariamente rispetto a un parametro e tale parametro non può che essere rappresentato dall’utilità del suo concorso utilitaristico-quantitativo nell’attività economica, per cui prospettare sul piano sintomatico il sillogismo costo abnorme-mancanza di inerenza, altro non può voler dire che l’inerenza di un costo si misuri attraverso la verifica del quantum di funzioni utili che esso genera nel dinamismo di mercato.
Con la circolare 13.05.2025, n. 38431 Agea ha comunicato la conclusione delle attività propedeutiche al pagamento dei saldi della domanda unificata 2024 per i seguenti interventi previsti dal D.M. 23.12.2022, n. 660087: sostegno di base al reddito per la sostenibilità (BISS); sostegno ridistributivo complementare al reddito per la sostenibilità (CRISS); sostegno complementare al reddito per i giovani agricoltori (CYS).
Riserva Nazionale 2024 – L’art. 26 Reg. (UE) n. 2021/2115 e l’art. 12 D.M. 23.12.2022, n. 660087 stabiliscono che devono essere attribuiti titoli dalla Riserva Nazionale in via prioritaria ai giovani e ai nuovi agricoltori, nonché agli agricoltori che ne hanno diritto in forza di una decisione giudiziaria definitiva o di un provvedimento amministrativo. Per assicurare l’assegnazione dei titoli agli agricoltori che ne hanno diritto, per ciascun anno di domanda è possibile eseguire una riduzione lineare del massimale del regime di pagamento di base non superiore al 3%, salvo ove una percentuale più elevata sia necessaria per soddisfare le esigenze di assegnazione dei titoli per le già menzionate fattispecie, ai sensi del citato art. 12 D.M. 23.12.2022, n. 660087. La circolare riporta:
– gli importi restituiti alla riserva nazionale, pari a 19.860.128,46 euro per il mancato utilizzo dei titoli nel biennio 2022-2023;
La Corte di Giustizia Europea ha stabilito, con la sentenza 8.05.2025, causa C-615/23, che le compensazioni forfettarie versate dagli enti locali alle imprese di trasporto pubblico non rientrano nella base imponibile Iva. La decisione chiarisce l’interpretazione dell’art. della Direttiva 2006/112/CE (Direttiva Iva), fornendo importanti linee guida per il settore.
Il caso riguardava una società polacca di trasporto passeggeri che intendeva concludere contratti per la prestazione di servizi di trasporto pubblico con un ente locale. Poiché le entrate derivanti dalla vendita dei biglietti (il cui prezzo era determinato dall’ente) non sarebbero state sufficienti a coprire i costi del servizio, la società avrebbe ricevuto una compensazione forfettaria destinata a coprire le perdite.
“La compensazione non è specificamente versata all’operatore affinché effettui un servizio di trasporto a un destinatario determinato e non ha alcuna influenza sul prezzo che tale destinatario deve pagare”, ha affermato la Corte al punto 30 della sentenza. Questo elemento è cruciale per comprendere perché tali sussidi non sono considerati “direttamente connessi al prezzo”.
Per esempio, se un Comune versa 100.000 euro annui a una società di trasporti che opera sul suo territorio, calcolati in base al numero di veicoli/km proposti e non in base al numero di passeggeri trasportati, tale compensazione non influisce direttamente sul prezzo del biglietto pagato dall’utente e quindi non è soggetta a Iva.