Accertamento, riscossione e contenzioso
23 Settembre 2025
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22825/2025, ribadisce un principio di tutela fondamentale per il contribuente: non è ammessa una seconda azione accertatrice fondata su elementi già noti o valutazioni più approfondite degli stessi.
La Corte di Cassazione, con la sentenza 7.08.2025, n. 22825, ha ribadito un principio di grande rilevanza in tema di accertamento tributario, chiarendo i limiti dell’azione integrativa dell’Amministrazione Finanziaria. L’intervento della Suprema Corte si inserisce nel solco di una giurisprudenza ormai consolidata, che tutela il contribuente e il principio di certezza nei rapporti giuridici, escludendo la possibilità di un secondo accertamento basato su una semplice rilettura di elementi già acquisiti.
Il caso sottoposto al vaglio della Corte prende le mosse da un avviso di accertamento notificato nel 2014 dall’Agenzia delle Entrate a una società, con il quale veniva contestata, ai fini Ires per l’anno 2005, l’omessa imposizione di una sopravvenienza attiva di circa 38 milioni di euro, derivante dalla gestione di un Fondo rischi da scissione iscritto a bilancio nell’ambito di una precedente operazione straordinaria.
L’aspetto centrale della vicenda, tuttavia, non risiede tanto nella ricostruzione fiscale dell’operazione, quanto nella legittimità dell’accertamento stesso. Per il medesimo periodo d’imposta, infatti, la società era già stata oggetto di un’attività ispettiva da parte della Guardia di Finanza, conclusasi con la redazione di un processo verbale di constatazione e successivamente definita, almeno in parte, tramite accertamento con adesione.
Il secondo avviso, quindi, veniva impugnato dalla contribuente, che ne contestava la validità per violazione del principio di unicità dell’accertamento sancito dall’art. 2, c. 4 D.Lgs. 218/1997. La tesi difensiva si fondava sull’assenza di elementi nuovi a supporto del nuovo atto impositivo, evidenziando che i fatti e i documenti utilizzati, in particolare i bilanci e le operazioni di scissione, erano già nella piena disponibilità dell’Amministrazione al momento del primo accertamento.
I giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, hanno accolto la doglianza della società, annullando l’avviso. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione, che tuttavia è stato rigettato. La Suprema Corte ha ricordato che l’accertamento integrativo, previsto dall’art. 43, c. 3 D.P.R. 600/1973, rappresenta un’eccezione alla regola secondo cui, una volta notificato un accertamento, il potere impositivo dell’ufficio si esaurisce per tutti gli elementi noti o conoscibili. Ne consegue che la possibilità di integrare l’accertamento è subordinata alla sopravvenuta conoscenza di elementi effettivamente nuovi, non potendo invece giustificarsi con una diversa o più approfondita valutazione del materiale probatorio già acquisito.
Secondo i giudici di legittimità, il concetto di “nuovo elemento” include sia i dati mai conosciuti prima, sia quelli eventualmente noti ad altro Ufficio, ma non ancora pervenuti a quello che ha emesso il primo atto. Tuttavia, è onere dell’Amministrazione dimostrare in modo puntuale quali siano tali elementi, da quali documenti emergano e perché non siano stati presi in considerazione precedentemente. Nel caso di specie, l’Agenzia non ha fornito tale dimostrazione, limitandosi a fondare il secondo avviso su un PVC redatto nel 2012 dall’Ufficio Grandi Contribuenti, ma riferibile a documentazione già presente nei bilanci oggetto della prima verifica.
La Corte ha quindi affermato che l’accertamento impugnato si fondava esclusivamente su una rivalutazione di fatti già noti, operata in modo più analitico ma priva di qualsiasi elemento sopravvenuto, rendendo l’atto nullo per violazione del principio di unicità dell’azione accertatrice.
Alla luce di tali considerazioni, il ricorso è stato rigettato, con condanna dell’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di lite. La pronuncia conferma la funzione garantista del principio di legalità e l’esigenza, più volte richiamata dalla Corte, di evitare che l’Amministrazione possa reiterare accertamenti sulla base di ripensamenti interpretativi, in contrasto con il principio del ne bis in idem tributario e con la stabilità dei rapporti giuridici.
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