Bandi, agevolazioni, bonus, contributi a fondo perduto
03 Novembre 2025
Il MEF conferma l’esclusione delle perdite fiscali legate agli aiuti Covid, ritenendoli “proventi esenti” ex art. 84 del Tuir. Tale posizione, criticata per incoerenza normativa e disparità di trattamento, penalizza le imprese in perdita e rischia di generare contenzioso diffuso.
Il principio che nega il pieno riporto delle perdite fiscali per le imprese che hanno percepito aiuti Covid è stato confermato il 29.10.2025 dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), tramite una risposta in Commissione Finanze della Camera all’interrogazione parlamentare n. 5-04589. Questa risposta ha ribadito l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate secondo cui i contributi a fondo perduto ricevuti durante la pandemia devono essere considerati “proventi esenti” ai sensi dell’art. 84, c. 1, terzo periodo del Tuir, con conseguente riduzione delle perdite riportabili di pari importo.
In realtà, la conferma dell’orientamento dell’Agenzia delle Entrate e del MEF circa la pretesa di escludere dal riporto delle perdite fiscali le quote corrispondenti ai contributi Covid rappresenta un passaggio che crea non poche perplessità, in quanto basata su un’errata assimilazione tra i regimi di “esenzione” ed “esclusione”, in violazione dei principi di coerenza normativa e rispetto della ratio legis. L’Amministrazione Finanziaria ha fatto proprio un meccanismo di lettura dell’art. 84 del Tuir che finisce per colpire le imprese che più hanno subito gli effetti della pandemia, ossia quelle che (proprio in ragione della crisi) hanno chiuso gli esercizi in perdita fiscale svilendo, di fatto, la finalità solidaristica ed emergenziale degli aiuti ricevuti.
Infatti, tale interpretazione ignora che la qualificazione di un provento come “esente” presuppone l’esistenza di un reddito fiscalmente rilevante da cui si opera la detassazione; al contrario, nel caso dei contributi Covid, vi è un’esplicita esclusione dalla base imponibile prevista dall’art. 10-bis D.L. 137/2020 (disposizione che non solo non richiama l’art. 84 del Tuir, ma ne presuppone l’inapplicabilità). L’ostinazione con cui si continua a voler sostenere una lettura contraria alla struttura del sistema fiscale genera evidenti effetti discriminatori: mentre le imprese che hanno realizzato utili durante l’emergenza sanitaria hanno potuto godere della piena detassazione dei contributi, quelle in perdita (ovvero le più bisognose) si trovano oggi penalizzate in sede di utilizzo delle stesse perdite. Questo diverso trattamento è giuridicamente insostenibile e costituzionalmente dubbio, sotto il profilo della capacità contributiva, dell’uguaglianza sostanziale e della ragionevolezza della norma tributaria.
Ancor più grave è il fatto che questa impostazione viene rivendicata a posteriori, con effetti sostanzialmente retroattivi, senza che alcun contribuente, al momento della percezione degli aiuti o della dichiarazione dei redditi, potesse ragionevolmente prevedere un simile trattamento fiscale. L’effetto sistemico di una simile impostazione è potenzialmente devastante, perché la logica sottesa potrebbe estendersi ad altri contributi o agevolazioni esclusi dalla base imponibile, generando un’instabilità normativa insostenibile per le imprese. È evidente che siamo di fronte a un’operazione di retro-ingegneria interpretativa, con cui si tenta di colmare un presunto vuoto legislativo attraverso un’interpretazione che è pericolosamente disallineata alla funzione stessa delle norme emergenziali.
In assenza di un intervento legislativo chiarificatore, l’unico esito prevedibile sarà lo sviluppo di un contenzioso massivo che intaserà le corti tributarie, con esiti incerti e costi elevatissimi. È quindi auspicabile un rapido ripensamento di questo orientamento, con un intervento correttivo di natura interpretativa.
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