ETS ed Enti non commerciali

19 Febbraio 2024

Associazioni di promozione sociale e imposte dirette

Le associazioni di promozione sociale, all’interno del Terzo settore, godono di una disciplina specifica sia ai fini delle imposte dirette che dell’Iva.

Per tutti gli ETS, diversi dalle imprese sociali, l’art. 79, c. 2 D.Lgs. 117/2017 chiarisce a quali condizioni le attività di interesse generale, di cui all’art. 5 del medesimo decreto, si considerano di natura non commerciale, e, quindi, fiscalmente rilevanti. L’art. 85 del Codice del Terzo Settore, da parte sua, disciplina il regime tributario specifico delle associazioni di promozione sociale, in sostanziale continuità con l’art. 148 del Tuir e la L. 383/2000, con alcuni interventi di aggiornamento e razionalizzazione.

Sotto il profilo fiscale, occorre, anzitutto, osservare che, ai sensi dell’art. 79, c. 6 del CTS, “si considera non commerciale l’attività svolta dalle associazioni del Terzo settore nei confronti dei propri associati e dei familiari conviventi”. Non concorrono alla formazione del reddito delle associazioni del Terzo settore le somme versate dagli associati a titolo di quote o contributi associativi. La norma in commento ha un andamento tortuoso e specifica quali attività, ai fini delle imposte sui redditi, sono considerate non commerciali e quali si considerano, comunque, commerciali.

Il comma 1 riprendendo l’art. 148, c. 3 del Tuir, ripropone la decommercializzazione per le attività svolte, dietro corrispettivo, in diretta attuazione degli scopi istituzionali in favore di associati e altre categorie di soggetti a essi assimilate, tra le quali rientrano le attività svolte a favore di enti del Terzo settore, composti in misura non inferiore al 70% da enti del Terzo settore, ai sensi dell’art. 5, c. 1, lett. m).

Nel testo del D.Lgs. 117/2017 originario non è stata riprodotta la disposizione che ricomprende nel perimetro della decommercializzazione anche le attività svolte nei confronti “dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati delle rispettive organizzazioni nazionali”.

Ha posto rimedio a questa lacuna l’art. 26 D.L. 73/2022 che estende l’area della non commercialità per le attività svolte dalle APS dietro pagamento di corrispettivi specifici agli iscritti e tesserati anche di altre APS. Tale estensione vale anche per le fattispecie previste dal comma 4 dello stesso articolo.

La decommercializzazione opera per le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, e, quindi, letteralmente, non solo per le attività di interesse generale (art. 5). C’è da chiedersi, a questo punto, se anche attività diverse da quelle dell’art. 5, eventualmente svolte dalle APS, non possano godere della decommercializzazione.

Si noti che, con riferimento alla disciplina generale, l’art. 79, c. 6 del CTS, oltre che agli associati allarga ai familiari e conviventi degli associati la presunzione di commercialità dei “corrispettivi specifici” versati, mentre l’art. 85, c. 1, con riferimento alla disciplina speciale delle associazioni di promozione sociale, ritiene non commerciali i corrispettivi specifici versati dagli associati e dai “familiari conviventi”. Il che significa che il corrispettivo specifico versato dal convivente non familiare di una APS dovrebbe rivestire natura commerciale.

Inoltre, potrebbero verificarsi 2 diversi trattamenti ai fini delle imposte dirette e dell’Iva, a seconda del soggetto destinatario dell’attività. Da un lato, le prestazioni rese agli associati sono decommercializzate sia sul piano delle imposte sui redditi, sia dell’Iva. Dall’altro, le prestazioni rivolte a familiari conviventi degli associati sono considerate non commerciali solo ai fini delle imposte dirette, e soggette a Iva in misura ordinaria.

Analogamente, per le APS, non si considerano commerciali le attività svolte dietro pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli associati degli enti collegati che fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, ma, si noti bene, non anche dei tesserati, come è previsto dall’art. 148, c. 3 del Tuir.

Il comma 2 conferma l’esenzione, ai fini del reddito, già prevista dall’art. 148 del Tuir, per la cessione di proprie pubblicazioni a terzi. La novità delle disposizioni riguarda il riferimento agli scopi istituzionali e di estensione della base di riferimento anche ai familiari degli associati.

Vanno, invece, considerate commerciali, ai sensi dell’art. 85, c. 3, le attività già contenute nell’art. 148, c. 4 del Tuir, tra le quali le attività tipicamente commerciali svolte dagli enti (gestione di spacci aziendali e di mense; organizzazione di viaggi e soggiorni turistici; gestione di fiere ed esposizioni di carattere commerciale; pubblicità commerciale; telecomunicazioni e radiodiffusioni circolari).

Peraltro, nel comma successivo, parimenti a quanto previsto nell’art. 148, c. 5 del Tuir, per le APS ricomprese tra gli enti a carattere nazionale le cui finalità assistenziali sono riconosciute dal Ministero dell’Interno, si stabilisce che non si considerano commerciali le attività di somministrazione di alimenti e bevande effettuate presso le sedi in cui viene svolta l’attività istituzionale, da bar ed esercizi similari, nonché quelle di organizzazioni di viaggi e soggiorni turistici, a patto che:

  • le suddette attività siano strettamente complementari a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali e siano effettuate nei confronti degli stessi soggetti indicati al comma 1 (art. 85, c. 4, lett. a). Questo è un tema sensibile, e non sempre facile da tradurre nel concreto operare quotidiano, non essendo sempre agevole “verificare in concreto che l’attività di organizzazione di viaggi turistici sia funzionale alla completa realizzazione degli scopi istituzionali” (cfr. circolare n. 124/E/1998);
  • per il loro svolgimento non ci si avvalga di alcuno strumento pubblicitario o comunque di diffusione di informazioni a soggetti terzi, diversi dai soggetti indicati al comma 1 (art. 85, c. 4, lett. b).

È da notare che la norma non richiama tra i soggetti beneficiari anche gli associati di altre associazioni che svolgano medesime attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale “nonché degli altri soggetti previsti dall’art. 148, c. 3 del Tuir”, già precedentemente menzionati. Se così fosse, si determinerebbe un’asimmetria di trattamento tra reddito e Iva, posto che tali prestazioni non sono soggette all’Iva ai sensi dell’art. 4, c. 6 D.P.R. 633/1972, nella ricorrenza degli ulteriori presupposti.

Da ultimo, osserviamo che, l’art. 85, c. 6, analogamente alle ODV, prevede che, per le APS, non sono considerate commerciali le attività di vendita di beni acquisiti da terzi a titolo gratuito a fine di sovvenzione a condizione che la vendita sia curata direttamente dall’organizzazione, senza alcun intermediario, e svolta senza l’impiego di mezzi organizzati professionalmente per fini di concorrenzialità sul mercato. Si noti che le suddette attività per gli altri ETS rientrano tra le attività diverse (art. 6 del CTS) di natura commerciale.

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