Consulenza aziendale, commerciale e marketing
04 Aprile 2025
Strategie efficaci per trasformare i primi giorni di lavoro in un'esperienza di valore e rendere più efficace l’inserimento.
Capita spesso che i nuovi collaboratori si sentano disorientati nei primi giorni in Studio. È normale quando si entra in un ambiente nuovo, ma le scelte del titolare e dello Studio possono fare una grande differenza sul percorso di inserimento della nuova risorsa. Non è infrequente, infatti, che ricevano informazioni poco chiare e vengano lasciati soli davanti a procedure e abitudini nuove e talvolta addirittura “dimenticati” nella frenesia quotidiana. Le conseguenze di un onboarding mal gestito vengono regolarmente sottovalutate; cerchiamo, pertanto, di fare un focus per ridare la giusta importanza a questo momento così delicato sia per lo Studio, che per la nuova risorsa che entra.
DNA dell’onboarding efficace – Un processo di inserimento strategico si caratterizza per diversi elementi chiave. La preparazione inizia prima dell’ingresso, predisponendo postazione, accessi e documenti necessari. L’accoglienza prevede un primo giorno pianificato nei dettagli, con presentazioni formali e condivisione di informazioni fondamentali. La gradualità garantisce un carico di lavoro progressivo con obiettivi chiari per le prime settimane. Il tutoraggio affida al nuovo arrivato una guida informale, figura diversa dal responsabile diretto, che facilita l’inserimento nella cultura dello Studio. Fondamentali sono anche il feedback costante attraverso incontri a cadenza ravvicinata, la formazione mirata sulle competenze necessarie e l’integrazione culturale nelle attività sociali dello Studio.
Errori da non commettere nell’onboarding – Il primo errore è la confusione delle responsabilità: nessuno ha una chiara conoscenza dei ruoli e responsabilità sul processo. Il titolare dà per scontato che sia la segreteria, la segreteria pensa sia il responsabile di area e il nuovo arrivato si trova nel mezzo di questo vuoto organizzativo.
L’immersione traumatica è un altro classico: “Imparerai lavorando” è il mantra di molti Studi che gettano il neo-assunto direttamente nella mischia. Questo approccio “sink or swim” (o nuoti o affoghi) genera nella maggior parte dei casi frustrazione e insicurezza.
Altrettanto problematico è il paradosso dell’iper-documentazione: consegnare una mole eccessiva di materiali da studiare autonomamente non è un onboarding efficace, ma un mero scarico di responsabilità che genera confusione anziché formazione.
La sottovalutazione culturale si verifica quando ci si concentra esclusivamente sugli aspetti tecnici del lavoro, dimenticando che la vera integrazione passa dalla comprensione dei valori impliciti e delle modalità relazionali non scritte dello Studio.
Infine, c’è l’illusione dell’apprendimento spontaneo: dare per scontato che il nuovo collaboratore “chiederà se ha bisogno” ignora che i nuovi arrivati, soprattutto i più giovani, spesso non sanno cosa chiedere e temono di apparire incompetenti ponendo troppe domande.
Quale è la situazione oggi? Se l’onboarding strategico si sta diffondendo nelle organizzazioni di Studio di maggiori dimensioni e più strutturate, diverso appare il panorama degli Studi professionali di piccole dimensioni: Studi legali, commercialisti e di consulenza del lavoro stentano a adottare questo approccio strutturato. L’idea del “ai miei tempi nessuno mi ha detto di…”, oppure “come ho fatto io faranno loro…” non funziona con le nuove generazioni. I giovani talenti preferiscono le aziende alle professioni, un segnale che deve far ripensare tutta la filiera, dall’Università alla pratica professionale.
L’onboarding strategico, dunque, possiamo dire che rappresenta un investimento di tempo ed energie che ripaga sicuramente: collaboratori più produttivi, più motivati e più fedeli. È anche vero che le certezze non esistono, per cui un onboarding fatto correttamente non garantisce necessariamente la permanenza in Studio della nuova risorsa, ma quantomeno ne aumenta significativamente le probabilità.