Società e contratti

27 Marzo 2025

Cancellazione della società, le tutele procedimentali verso i soci

La Cassazione a Sezioni Unite (sent. 12.02.2025, n. 3625) ha stigmatizzato la necessità della notifica di un autonomo atto impositivo nei confronti dei soci ogniqualvolta il Fisco intenda far valere la loro responsabilità patrimoniale.

Come noto, per la nomofilassi della Corte di Cassazione la cancellazione delle società (sia essa di capitali o di persone) dal Registro delle Imprese comporta un istantaneo effetto estintivo della sua condizione soggettiva, anche nel caso siano ancora in essere rapporti pendenti. A tale specifico riguardo le Sezioni Unite della Cassazione, con le note sentenze nn. 4060, 4061 e 4062 del 2013, hanno convenuto che, per effetto della riforma societaria di cui al D.Lgs. 6/2003, la cancellazione dal Registro delle Imprese genera anche per la società di persone il medesimo effetto estintivo della società di capitali, indipendentemente dal fatto che l’art. 2312 c.c., a differenza dell’art. 2495 c.c., non abbia subito modifiche, in quanto ragioni logiche e sistematiche inducono a uniformarne la disciplina degli effetti, al di là dei loro diversi paradigmi ordinamentali.

Con la cancellazione si determina una sorta di fenomeno successorio a titolo universale sui generis, che comporta la traslazione della responsabilità dei debiti sociali e tributari ai soci entro, almeno per le società di capitali, i parametri limitativi dell’art. 2495 c.c., ossia fino a concorrenza delle somme da questi riscosse come risultanti dal bilancio finale di liquidazione. Nelle società di persone, invece, la latitudine della responsabilità patrimoniale per le obbligazioni sociali è quella prevista a regime e contrassegnata dalla piena solidarietà e illimitatezza, con il noto effetto espansivo della garanzia all’intero patrimonio personale dei soci.

Per le pendenze fiscali della società, l’art. 36 D.P.R. 602/1973 dispone che sono responsabili i soci o associati nei limiti di quanto hanno ricevuto in assegnazione, in denaro o in altri beni sociali, dagli amministratori nel corso degli ultimi 2 periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione della società o dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, in ogni caso nei limiti del valore dei beni stessi, salvo le maggiori responsabilità stabilite dal Codice Civile.

Il predetto effetto estintivo, quindi, comporta una serie di problemi di natura sostanziale e di natura processuale, a dirimere i quali è di recente intervenuta la Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza 12.02.2025, n. 3625. In tale sentenza le Sezioni Unite hanno ritenuto di convenire che la verifica del presupposto dell’avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, concernendo un elemento che deve essere dedotto nella fase di accertamento da indirizzarsi direttamente nei confronti dei soci ex art. 36, c. 5 D.P.R. 602/1973, non può avere ingresso nel giudizio di impugnazione introdotto dalla società avverso l’avviso di accertamento a essa originariamente notificato, quand’anche questo giudizio venga poi proseguito, a causa dell’estinzione della società per cancellazione dal Registro delle Imprese, da o nei confronti dei soci quali successori.

Proprio la necessità di attivare nei confronti del socio un autonomo e originario procedimento amministrativo di accertamento (necessità, del resto, che non costituisce un arbitrio di sistema, derivando piuttosto essa dalla natura pubblicistica dell’obbligazione tributaria e dal carattere autoritativo del relativo accertamento) impedisce il pieno e totale dispiegarsi della rappresentata successione nel processo tributario, di cui peraltro avevano già dato conto le Sezioni Unite del 2013. Ne deriva che, nel giudizio già pendente nei confronti della società, non potrà trovare ingresso la questione dell’avvenuta percezione di attività sociali o quote di liquidazione da parte dei soci, in quanto tema estraneo alla legittimazione e invece suscettibile di essere dedotto nel (diverso) giudizio che potrà originarsi a seguito della notificazione ai soci stessi di autonomo e distinto atto impositivo ex art. 36, c. 5 citato.

Il Fisco, quindi, quale attore in senso sostanziale, dovrà allegare e provare la responsabilità dei soci nei limiti di quanto da costoro percepito, in raccordo anche con la nuova regola sul riparto della prova ex art. 7, c. 5-bis D.Lgs. 546/1992 e a quanto già da tempo sostenuto già in dottrina (Gaetano Ragucci) per la quale i presupposti alla base della responsabilità solidale d’imposta, non possono mai partecipare del contenuto e delle motivazioni del medesimo atto che accerta il tributo, non solo perché non vi è identità di situazione giuridica, né di fattispecie dal punto di vista sia oggettivo, sia soggettivo, ma anche perché tra gli effetti prodotti ricorre un rapporto logico di consequenzialità che non giustificano il ricorso allo stesso strumento di attuazione del precetto legale da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

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