Diritto del lavoro e legislazione sociale
15 Aprile 2025
La Corte di Cassazione, con ordinanza 27.03.2025, n. 8154, si esprime sulla rilevanza in ambito disciplinare della condotta non configurabile come fattispecie punita penalmente.
La Corte di Cassazione, con ordinanza 27.03.2025, n. 8154, evidenzia come ai fini della configurabilità dell’illecito disciplinare, nel contesto lavorativo, non si renda sempre necessaria l’integrazione di una fattispecie penalmente rilevante. L’ordinanza in analisi, più nel dettaglio, in conformità con i precedenti gradi di giudizio, legittimando il licenziamento intimato a quel lavoratore che aveva prelevato dalle casse del negozio 1.300 euro, afferma che quanto disciplinato dal codice disciplinare, in termini di furto e/o sottrazione, non necessariamente debba coincidere con quanto sancito dalla normativa penale, ai fini della sanzionabilità della condotta (in particolar modo con la sanzione espulsiva).
Nel caso in analisi, in particolare, si ravvisava l’esistenza di un codice disciplinare in cui si contemplava, tra le varie condotte astrattamente oggetto di sanzione, “quale autonoma fattispecie di rilievo disciplinare l’appropriazione di beni o danaro aziendale o di terzi, a prescindere dalla integrazione degli elementi configuranti l’appropriazione indebita quale fattispecie penalmente rilevante”, come peraltro spesso accade in taluni Ccnl di larga applicazione.
Difatti, come sottolineato dagli Ermellini, la configurabilità della c.d. “giusta causa”, che legittima il ricorso al licenziamento disciplinare ex art. 2119 c.c., sottende una precipua rottura della fiducia intercorrente tra datore di lavoro e lavoratore, quale elemento inderogabile e sufficiente, la quale è però autonoma e indipendente da un’eventuale rilevanza penale dell’infrazione, ancorché quest’ultima talora sia da ipotizzare.
In altri termini, ai fini della sanzionabilità della condotta de qua, in particolar modo con il licenziamento, non è necessario che si configuri la fattispecie penale di cui all’art. 646 c.p. a mente della quale è penalmente sanzionabile il soggetto che si appropria indebitamente di denaro o altri beni mobili altrui di cui abbia materialmente il possesso, a proprio o altrui vantaggio, ma si rende semmai necessario il rispetto di quei parametri rilevanti in ambito meramente lavoristico-disciplinare, che originano dal rapporto contrattuale.
Nello specifico, per legittimare la sanzione espulsiva, si deve determinare un “semplice” “venir meno del rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore” tale da non consentire la prosecuzione del rapporto, al di là della rilevanza penale, posto che il rapporto di lavoro, dalla natura come detto contrattuale, lega lavoratore e datore di lavoro sull’elemento essenziale della fiducia, la cui rottura non è escludibile anche a fronte di sottrazioni di modico valore.
Ancora una volta, dunque, grazie alla giurisprudenza, si evidenziano le divergenze esistenti tra diritto penale e diritto del lavoro, i quali tuttavia talora appaiono fortemente complementari, talaltra invece certamente indipendenti.