Paghe e contributi

27 Settembre 2023

Chiarimenti delle Entrate sulla tassazione del lavoro da remoto

L’Agenzia delle Entrate (circolare n. 25/E/2023) si è soffermata sulla fiscalità del reddito da lavoro dipendente prodotto in regime di smart working, ma anche sulle novità in materia di lavoro dei frontalieri dopo la ratifica dell’accordo Italia-Svizzera intervenuta con la L. 13.06.2023, n. 83.

Residenza fiscale e luogo di lavoro dello smart worker

Lo smart working si è sviluppato grazie al progresso tecnologico ed è stato fortemente accelerato dall’emergenza pandemica da Covid-19, che ha costretto la maggioranza dei settori, pubblici e privati, a ridefinire le modalità lavorative.

Tuttavia, ricorda l’Agenzia delle Entrate, a fronte di significative revisioni organizzative che hanno coinvolto imprese, professionisti e comparto pubblico, non sono state apportate alla normativa interna modifiche che abbiano inciso sulle regole di determinazione della residenza a fini fiscali. Di conseguenza, i criteri di individuazione della residenza fiscale delle persone fisiche restano quelli previsti dall’art. 2 del Tuir e non subiscono alcun mutamento per coloro che svolgono un’attività lavorativa in smart working.

Al fine di individuare correttamente la residenza fiscale e l’imponibilità dei redditi da lavoro dipendente dei lavoratori che svolgono la propria attività in regime di smart working è necessario, dunque, applicare i criteri ordinari contenuti negli artt. 2 e 3 del Tuir, dove viene previsto che i soggetti residenti in Italia devono sottoporre ad imposizione tutti i redditi ovunque prodotti. Si considerano residenti in Italia le persone fisiche che per la maggior parte del periodo di imposta (183 giorni in un anno o 184 se l’anno è bisestile):

  • sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente;
  • hanno domicilio nel territorio dello Stato italiano;
  • sono residenti nel territorio dello Stato italiano.

La presenza di una soltanto delle condizioni predette è ritenuta sufficiente per radicare la residenza nel territorio dello Stato italiano.

L’accertamento dei presupposti della residenza ai fini fiscali, diversi dal dato formale dell’iscrizione anagrafica, presuppone un riscontro fattuale caso per caso, per poter valutare correttamente gli elementi identificativi del domicilio (sede principale degli affari e interessi) o della residenza (dimora abituale).
In altri termini, le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa non incidono sui criteri di determinazione della residenza fiscale, che restano ancorati al verificarsi di almeno una delle condizioni stabilite dall’art. 2 del Tuir e sopra descritte.

E, infatti, un lavoratore straniero che per la maggior parte del periodo di imposta viva in Italia (eventualmente anche con la famiglia) e qui lavora in regime di smart working per conto di un datore di lavoro estero senza essere iscritto nelle anagrafi della popolazione residente viene considerato fiscalmente residente in Italia. In modo analogo resta residente in Italia il cittadino italiano trasferito all’estero dove lavora in smart working che abbia mantenuto l’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente in Italia per la maggior parte del periodo di imposta.

Rapporto tra disciplina interna e disciplina convenzionale

Considerando il necessario coordinamento della normativa interna con le disposizioni contenute nelle convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia con i singoli Stati esteri, l’Agenzia fornisce ulteriori chiarimenti in tema di “residenza fiscale”.

E, infatti, considerata la prevalenza della disciplina convenzionale rispetto a quella interna, nelle ipotesi di conflitto tra normative interne dei singoli Stati contraenti sulla qualificazione della persona come residente, la questione andrà risolta attribuendo la residenza ad uno solo dei due Paesi con l’applicazione di specifiche regole (c.d. tie breaker rules) che risolvono il conflitto prevedendo l’applicazione in via principale del criterio dell’abitazione permanente cui seguono in via subordinata il criterio del centro degli interessi vitali, quello del soggiorno abituale e, infine, il criterio della nazionalità del contribuente.

Applicazione della normativa convenzionale allo smart working

Con specifico riferimento ai redditi da lavoro dipendente, l’art. 15 del Modello OCSE di convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni prevede che, ai fini della determinazione della potestà impositiva dei 2 Stati, rilevano esclusivamente il criterio della residenza fiscale del lavoratore e il criterio del luogo dove viene svolta l’attività lavorativa.

E, infatti, qualora il lavoratore sia residente in Italia e ivi svolga anche la propria prestazione lavorativa sarà applicata la tassazione esclusiva in Italia, mentre se la prestazione lavorativa viene svolta all’estero si applicherà un regime di tassazione concorrente. Nel caso in cui il lavoratore abbia la propria residenza all’estero e svolga la prestazione lavorativa in Italia, verrà applicato un regime di tassazione concorrente mentre, se la prestazione lavorativa viene resa all’estero non verrà applicata alcuna tassazione in Italia.
In sintesi, il lavoro dipendente si considera svolto nel luogo in cui il lavoratore è fisicamente presente durante lo svolgimento della propria prestazione lavorativa per la quale viene remunerato.

Lavoratori impatriati che operano in regime di smart working

I lavoratori che trasferiscono la loro residenza dall’estero in Italia possono, a determinate condizioni, beneficiare di un regime fiscale agevolato, che prevede l’assoggettamento a tassazione solo di una quota del reddito prodotto. In particolare, l’art. 16, c. 1 D. Lgs. 147/2015 prevede che “I redditi di lavoro dipendente, i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e i redditi di lavoro autonomo prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 2 D.P.R. 22.12.1986, n. 917, concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30% del loro ammontare al ricorrere delle seguenti condizioni:

  • i lavoratori non sono stati residenti in Italia nei due periodi di imposta precedenti il predetto trasferimento e si impegnano a risiedere in Italia per almeno 2 anni;
  • l’attività lavorativa è prestata prevalentemente nel territorio italiano”.

L’accesso al regime speciale è consentito anche ai cittadini dell’Unione Europea o di uno Stato extra UE con il quale risulti in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale, a condizione che:

  • siano in possesso di laurea e abbiano svolto “continuativamente” un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o per un periodo più lungo;
  • abbiano svolto “continuativamente” un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una “specializzazione post lauream”.

Il regime agevolato è applicabile in via temporanea a partire dal periodo di imposta in cui il lavoratore trasferisce la residenza fiscale in Italia e per i successivi periodi di imposta agevolabili, relativamente ai soli redditi che si considerano “prodotti in Italia”. Secondo l’art. 23 del Tuir si considerano prodotti in Italia i redditi di lavoro dipendente se prestati nel territorio dello Stato, anche se remunerati da un soggetto estero. In linea generale, quindi, l’esenzione non spetta per i redditi derivanti da attività di lavoro prestata fuori dai confini dello Stato.

Pertanto, può accedere al regime speciale per lavoratori impatriati il soggetto che trasferisca la propria residenza in Italia, pur continuando a lavorare in smart working alle dipendenze di un datore di lavoro estero, a partire dal periodo d’imposta in cui avviene il trasferimento in Italia. Al contrario, precisa l’Agenzia delle Entrate, non potrà continuare a fruire dell’agevolazione in esame il soggetto che, trasferitosi a lavorare in Italia, successivamente traslochi all’estero pur continuando a svolgere dalla nuova località la propria prestazione lavorativa per il medesimo datore di lavoro italiano in modalità di smart working, in quanto in tal caso i redditi si considerano prodotti fuori dal territorio italiano.

In sostanza, ancora una volta, il criterio guida per la tassazione dello smart worker rimane il luogo di svolgimento della prestazione lavorativa.

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