Diritto privato, commerciale e amministrativo

04 Agosto 2025

Clausola di stile o domanda sostanziale?

L’avvocato che accompagni la richiesta risarcitoria a una domanda di miglior valutazione del giudice, per non pregiudicarsi una condanna a una somma superiore, formula una domanda di valore indeterminato che costituirà parametro per la liquidazione delle spese di giustizia.

L’art. 5 D.M. 55/2014 prevede che “nella liquidazione dei compensi a carico del soccombente, il valore della causa sia determinato a norma del codice di procedura civile”. Va inoltre precisato che, nei giudizi di pagamento di somme o liquidazione di danni, si dovrà aver riguardo alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella (di norma più alta) domandata dalla stessa.

Nel caso di rigetto della domanda si dovrà invece, ovviamente, aver riguardo a quanto richiesto dall’attore (disputatum) e non opererà il criterio del decisum, in quanto il valore sarebbe pari a zero con conseguente mancata liquidazione del compenso.

Qualora il valore della controversia non risulti determinabile la stessa si considera di valore indeterminabile applicando gli scaglioni previsti per le cause aventi un valore non inferiore a 26.000 euro e non superiore a 260.000 euro.

Parte della dottrina ritiene che fra le cause di valore indeterminabile non potrebbero annoverarsi tutte quelle nelle quali sia solo il valore economico della domanda ad essere incerto, così che andrebbero ritenute di valore indeterminabile solo quelle domande aventi ad oggetto diritti non suscettibili di valutazione pecuniaria, perciò, in tutti i casi in cui il quantum sia suscettibile di essere determinato dal giudice la controversia dovrebbe essere sempre ritenuta di valore determinato.

La situazione si complica quando alla determinazione del quantum operata dall’attore in termini specifici si accompagni l’invito al giudice a riconoscere “quella maggiore o minor somma ritenuta di giustizia”. Detta clausola, infatti, secondo alcuni orientamenti deve ritenersi “di stile” e si deve dar sempre prevalenza alla individuazione dell’ammontare della richiesta formulata in termini precisi dall’attore. Altre pronunce giurisprudenziali hanno invece ritenuto indeterminabile tale domanda, quando vi sia una ragionevole incertezza sull’ammontare del danno effettivamente da liquidarsi. La ratio sottesa all’attribuzione di rilievo di tale clausola risiede nella considerazione che spesso l’attore non è in grado di precisare puntualmente l’entità della domanda, salvo che non si tratti di una somma di denaro in senso stretto.

Per tale motivo, fornisce un indicazione al giudice, senza privarsi, tuttavia della possibilità di ottenere, una somma maggiore, ove emerga dall’istruttoria o da valutazioni del perito o dello stesso giudice, un importo maggiore, omettendo di vincolarlo alla propria richiesta iniziale. Infatti ai sensi dell’art. 1367 c.c., applicabile anche in materia di interpretazione degli atti giudiziari, deve ritenersi che con detta clausola l’attore abbia voluto indicare solo un valore orientativo della pretesa rimettendone al successivo accertamento giudiziale la quantificazione. Cosicché quando vi sia incertezza sulla valutazione del danno la clausola che consente al giudice di accertare un valore superiore a quello indicato senza incorrere in “ultra petita”, deve interpretarsi in senso sostanziale.

È, evidente, ha precisato una recente sentenza (Cass, S.U., 23.07.2025, n. 20805), che la clausola richiamata potrà giustificare la liquidazione delle spese a favore della parte vittoriosa secondo lo scaglione previsto per le cause di valore indeterminato, solo laddove tale valore sia superiore a quello della domanda di valore determinato precisato dall’attore, mentre qualora il valore, già indicato dall’attore, superi il primo si dovrà tener conto dello scaglione più elevato, in sede di liquidazione delle spese.

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