Consulenza aziendale, commerciale e marketing

04 Giugno 2025

Commercialisti: non basta il titolo, servono competenze reali

Al di là dell'abilitazione formale, la vera professionalità si misura sulla capacità effettiva di gestire il singolo mandato. La Cassazione traccia una linea netta, imponendo un'autovalutazione prima di ogni accettazione.

La questione dell’adeguatezza della preparazione nella consulenza fiscale e contabile sta assumendo contorni sempre più definiti e, per certi versi, severi. Non si tratta, come forse si potrebbe pensare in modo un po’ superficiale, di una mera elucubrazione sui doveri deontologici, confinata nei manuali. Al contrario, questa è una problematica con risvolti estremamente concreti, che trova un’eco diretta nelle aule della giurisprudenza disciplinare, con conseguenze di non poco conto per l’intera categoria professionale.

Non a caso sempre più spesso la giurisprudenza sta intervenendo per tracciare confini e responsabilità con un impatto notevole per l’intera categoria. La base di partenza è l’art. 8, c. 2 del Codice deontologico dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Questa norma impone al professionista di non accettare incarichi per i quali non possieda una concreta e adeguata perizia tecnica. Tuttavia, è proprio nell’applicazione pratica che questa disposizione genera non poche perplessità, specialmente quando si tratta di definire il “quando” e il “come” di questa valutazione di competenza.

Approfondendo l’analisi, si comprende come la norma deontologica non si limiti a regolare la fase esecutiva del rapporto con il cliente. Il suo raggio d’azione, e questo è forse l’aspetto più insidioso, si estende al momento che precede l’accettazione stessa dell’incarico. Si delinea così una fase di particolare criticità dove il professionista deve operare una valutazione preliminare sulla propria effettiva idoneità tecnica e sulla disponibilità delle risorse (umane, temporali, strumentali) necessarie per adempiere al mandato.

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