Amministrazione e bilancio

03 Novembre 2022

Conferimento di criptovalute nel capitale sociale

La giurisprudenza esclude la possibilità di operare un conferimento mediante l’utilizzo di monete virtuali.

L’unica pronuncia giurisprudenziale in materia a oggi nota è quella del Tribunale di Brescia e successivamente della Corte di Appello, che ha rigettato il ricorso ex art. 2436, c. 3 c.c. presentato da una società che aveva ricevuto un rifiuto del notaio di iscrivere al Registro delle Imprese una delibera assembleare di aumento di capitale sociale in parte mediante conferimento in natura di una criptovaluta.

Il Tribunale di Brescia ha ritenuto infondate le argomentazioni articolate dalla società ricorrente. Innanzitutto, il medesimo Tribunale effettua un vaglio di (in)attendibilità della perizia di stima prodotta dalla società derivante dall’inesistenza di una piattaforma che consenta lo scambio incondizionato tra criptovalute o tra criptovalute e monete aventi corso legale; ne consegue l’impossibilità di fare affidamento su prezzi attendibili perché collegati alle dinamiche di mercato. Al contrario, la specifica criptovaluta conferita dal socio è negoziabile solo sulla piattaforma dedicata alla fornitura di beni e servizi e che è riconducibile ai medesimi soggetti ideatori della criptovaluta stessa.

Il Tribunale rileva così un carattere autoreferenziale del bene che si vuole conferire, incompatibile con il livello di diffusione e pubblicità di cui si ritiene debba essere dotata una moneta virtuale che aspira a detenere una presenza effettiva sul mercato. A sostegno di tale conclusione il Tribunale richiama innanzitutto la funzione storica primaria del capitale sociale, in chiave di garanzia nei confronti dei creditori e individua quali caratteristiche il bene deve possedere per essere suscettibile di conferimento. Sono richieste in particolare le seguenti caratteristiche:

  • idoneità a essere oggetto di valutazione, in un dato momento storico, prescindendosi per il momento dall’ulteriore problematica connessa alle potenziali oscillazioni del valore;
  • esistenza di un mercato del bene in questione, presupposto di qualsivoglia attività valutativa, che impatterebbe poi sul grado di liquidità del bene stesso e, quindi, sulla velocità di conversione in denaro contante;
  • idoneità del bene a essere bersaglio dell’aggressione da parte dei creditori sociali.

Il Tribunale precisa, tuttavia, che non è in discussione l’idoneità della categoria di beni rappresentata dalle criptovalute a costituire elemento di attivo idonei al conferimento nel capitale di una Srl, bensì se il bene concretamente conferito nel caso di specie (la valuta virtuale denominata OneCoin) soddisfi il requisito di cui all’art. 2464, c. 2 c.c., lasciando così spazio all’ipotetica ammissibilità di conferimenti di criptovalute che presentano caratteristiche diverse da quella oggetto di causa.

All’esito del gravame la posizione della Corte d’Appello si è rivelata ben più drastica di quella assunta dal Tribunale, nella misura in cui ha escluso in maniera categorica la possibilità che una criptovaluta possa essere conferita nel capitale sociale, laddove non è possibile attribuire alla criptovaluta una determinazione in valore (e cioè in euro) effettiva e certa. La Corte d’Appello di Brescia, quindi, rigetta il gravame e conferma la valutazione espressa dal notaio incaricato di ricevere il verbale assembleare, secondo il quale “le criptovalute, attesa la loro volatilità, non consentono una valutazione concreta del “quantum” destinato alla liberazione dell’aumento di capitale sottoscritto“.

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