Diritto del lavoro e legislazione sociale
06 Giugno 2025
Il crescente utilizzo di algoritmi nei processi aziendali può dar luogo a una presenza sempre più invasiva di sistemi di controllo molto sofisticati.
A oggi è sempre più evidente che, a prescindere dall’attività svolta, l’utilizzo di smartphone, pc e tablet sia necessario; sappiamo che ognuno di questi strumenti è in grado di raccogliere una quantità notevole di dati personali, anche biometrici, oltre a poterci facilmente geolocalizzare. Le potenzialità di controllo e sorveglianza tramite questi strumenti potrebbero essere incontrollabili; tuttavia, la normativa vigente, pur non essendo di recente promulgazione, ha un raggio di applicazione sufficientemente ampio per ricomprendere anche le nuove frontiere della tecnologia.
L’installazione di impianti di videosorveglianza sul luogo di lavoro è disciplinata dallo Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970), in forza del quale viene vietato ai datori di lavoro di utilizzare tali impianti al solo fine di monitorare i propri dipendenti. Viene invece stabilito che l’installazione sia giustificata da una delle seguenti motivazioni: esigenze organizzative e produttive, sicurezza del lavoro e tutela del patrimonio aziendale.
Di recente, la Corte di Cassazione (ordinanza n. 23985/2024) ha affermato l’ammissibilità di un impianto di videosorveglianza installato ai fini di tutela del patrimonio aziendale, dovendo quest’ultimo essere inteso in accezione estesa. Esso riguarda la difesa datoriale sia da condotte di appropriazione di denaro, danneggiamento o sottrazione di beni, sia dalla lesione all’immagine e al patrimonio reputazionale dell’azienda.
Qualora invece la motivazione sia legata a esigenze di sicurezza del lavoro, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha affermato, nella circolare 18.06.2018, n. 302, che le necessità legate alla sicurezza del lavoro trovino riscontro nell’attività di valutazione dei rischi effettuata dal datore e formalizzata nell’apposito documento (DVR). Quindi, l’istanza rivolta all’ITL e all’INL deve essere corredata dagli estratti del documento di valutazione dei rischi, dai quali risulti che l’installazione di strumenti di controllo a distanza è misura necessaria e adeguata a ridurre i rischi di salute e sicurezza.
Come devono procedere le aziende per installare correttamente strumenti da cui possa derivare indirettamente un monitoraggio dei dipendenti? Le aziende che intendano installare nei luoghi di lavoro un impianto di videosorveglianza hanno l’obbligo di munirsi di apposita autorizzazione all’installazione e all’utilizzo dell’impianto, rilasciata dall’Ispettorato del Lavoro competente per territorio, previa presentazione di apposita istanza e della seguente documentazione tecnica:
1) relazione, firmata dal legale rappresentante, dove illustrare: la specificazione delle esigenze di carattere organizzativo e produttivo, sicurezza sul lavoro ovvero di tutela del patrimonio aziendale poste a fondamento dell’istanza; la modalità di funzionamento del sistema di videosorveglianza;
2) documento del legale rappresentante.
In alternativa alla procedura di autorizzazione da parte dell’Ispettorato, se vi sono tra i propri dipendenti rappresentanti sindacali aziendali (RSA o RSU) è possibile stipulare un accordo sindacale con gli stessi per l’utilizzo dell’impianto di videosorveglianza.
Una volta ottenuta l’autorizzazione sarà possibile installare l’impianto, provvedendo a: informare i lavoratori fornendo un’informativa privacy; nominare un responsabile alla gestione dei dati registrati; posizionare le telecamere nelle zone a rischio evitando di riprendere in maniera unidirezionale i lavoratori; affiggere cartelli visibili che informino dipendenti e avventori della presenza dell’impianto di videosorveglianza.
Non rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, a seguito della riforma attuata dal D.Lgs. 151/2015, e quindi non richiedono l’accordo sindacale né l’autorizzazione da parte dell’Ispettorato, quegli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa (es. palmari, tablet e PC) oppure di registrazione degli accessi e delle uscite (art. 4, c. 2 L. 20.05.1970, n. 300). Tuttavia, secondo il Garante della Privacy, le operazioni di “monitoraggio”, “filtraggio”, “controllo” e “tracciatura” costanti e indiscriminati degli accessi a Internet o al servizio di posta elettronica non possono essere considerati “strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa” e, pertanto, soggiacciono a tutti i limiti precedentemente illustrati.