Accertamento, riscossione e contenzioso

04 Luglio 2025

Crediti d’imposta: chiarimenti MEF condivisibili ma tardivi

Con l’atto del 1.07.2025, il MEF chiarisce la distinzione tra crediti d’imposta “inesistenti” e “non spettanti” ai fini sanzionatori. Positiva la sistematizzazione, ma criticata la tempistica, successiva alla scadenza del riversamento R&S.

Con l’atto di indirizzo del 1.07.2025, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha fornito una ricostruzione sistematica della distinzione tra crediti d’imposta “inesistenti” e “non spettanti” ai fini della disciplina dell’indebita compensazione, dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 87/2024. L’atto, che si pone come documento vincolante per l’Amministrazione Finanziaria, interviene in attuazione della delega contenuta nella L. 111/2023 e mira a recepire l’indirizzo delle Sezioni Unite n. 34419/2023, ancora in parte disatteso nella prassi amministrativa.

Com’è noto, la riforma ha introdotto una nuova e più rigorosa definizione normativa delle 2 categorie, con effetti rilevanti sul piano sanzionatorio, sia penale che amministrativo. In particolare, i chiarimenti chiave espressi dall’atto di indirizzo possono essere così riassunti:

 i crediti inesistenti sono i crediti che mancano dei requisiti oggettivi o soggettivi previsti dalla normativa primaria o secondaria esplicitamente richiamata. Vi rientrano anche i crediti fondati su falsificazioni documentali, simulazioni o artifici, così come quelli rilevabili nei controlli automatizzati o formali (abolito il vecchio requisito della “non riscontrabilità ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter”);

– i crediti non spettanti sono quelli formalmente esistenti, ma utilizzati in violazione delle modalità di utilizzo (es. tempi, limiti, divieti di compensazione), fruiti in misura eccedente o in assenza di particolari elementi tecnici richiesti (es. criteri tecnici non soddisfatti nei crediti R&S) e utilizzati in difetto di adempimenti amministrativi previsti a pena di decadenza;

– le sanzioni amministrative sono pari al 70% per i crediti inesistenti, con aumento da 1,5 a 2 volte in caso di frode, e al 25% per i non spettanti, ridotta a 250 euro in caso di violazione puramente formale rimossa nei termini;

– le sanzioni penali sono la reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni per crediti inesistenti oltre i 50.000 euro e la reclusione da 6 mesi a 2 anni per i non spettanti, con esclusione della punibilità in caso di obiettiva incertezza tecnica;

– la certificazione tecnica vincolante (art. 23 D.L. 73/2022), se rilasciata da soggetti qualificati, rende nullo l’atto impositivo che contesti solo la qualificazione tecnica dell’investimento e può essere acquisita anche ex post, purché non sia intervenuto un PVC. Il contribuente è invitato a comunicarla all’Amministrazione per favorire il contraddittorio preventivo.

Le indicazioni fornite contribuiscono a riportare ordine e proporzionalità in un ambito che, negli ultimi anni, ha registrato una proliferazione di recuperi fondati su presunzioni e criteri interpretativi discutibili. In particolare, è stato correttamente affermato che un’attività effettivamente svolta, ma priva di determinati requisiti “qualitativi” non esplicitamente richiesti da fonti primarie o secondarie, non può generare un credito inesistente, bensì, al più, non spettante. Questo approccio (coerente con i principi generali del diritto tributario) mette in discussione la costante prassi dell’Amministrazione Finanziaria che, in molteplici ambiti (soprattutto in materia di bonus R&S), da sempre qualifica come “inesistenti” crediti che, semmai, difettano soltanto di una certa tipicità tecnico-documentale.

Oltre a ciò non può passare inosservata la tempistica profondamente inadeguata dell’atto. Infatti, il documento è stato pubblicato il giorno successivo alla scadenza (30.06.2025) per il riversamento spontaneo dei crediti R&S. Una scelta istituzionale che solleva più di una perplessità, considerando che i contribuenti si sono trovati a dover decidere senza alcuna certezza su definizioni giuridiche fondamentali. Il risultato è che molti soggetti hanno aderito alla sanatoria per timore di sanzioni sproporzionate e incerte, oppure vi hanno rinunciato nella speranza di far valere ragioni difensive che oggi, paradossalmente, trovano conferma proprio nell’atto successivo.

Da questo punto di vista, l’atto di indirizzo rappresenta un punto di svolta positivo nella sistematizzazione della materia e nel rafforzamento del principio di legalità, ma la sua adozione tardiva riduce drasticamente l’impatto positivo che avrebbe potuto (e dovuto) avere, soprattutto in relazione alla gestione delle contestazioni pregresse. L’auspicio è che l’Amministrazione dia concreta applicazione ai principi espressi, non solo per il futuro ma anche con riguardo agli atti già emessi, attivando l’autotutela nei casi di evidente difformità rispetto alle linee interpretative oggi formalmente espresse.

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