Accertamento, riscossione e contenzioso
08 Maggio 2025
La Cassazione esige rigorosa prova del nesso causale fra l'attività del professionista e l'indebita compensazione fiscale.
La certificazione dei crediti per ricerca e sviluppo, pur costituendo un presupposto necessario per il loro utilizzo in compensazione, non rappresenta di per sé elemento sufficiente a configurare il concorso del professionista nel reato di indebita compensazione fiscale. È questo il principio chiarito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 5.05.2025, n. 16532, con cui i giudici di legittimità hanno annullato con rinvio una condanna a 2 anni di reclusione inflitta a una commercialista dai giudici di merito.
La professionista era stata ritenuta responsabile, in concorso con gli amministratori di 2 società e altri professionisti, del reato di indebita compensazione ai sensi dell’art. 10-quater D.Lgs. 74/2000, per aver certificato crediti inesistenti denominati “Ricerca e sviluppo” utilizzati poi in compensazione. Il nodo interpretativo centrale riguarda proprio la necessità di provare il contributo causale effettivo del professionista nella realizzazione dell’illecito tributario, non potendosi assumere automaticamente che l’attività certificatoria, pur irregolare, integri di per sé il concorso nel reato.