Accertamento, riscossione e contenzioso

19 Giugno 2025

Crediti superbonus: per evitare il sequestro non basta la buona fede

Anche i cessionari in buona fede possono subire il sequestro dei crediti d’imposta, se ritenuti connessi a condotte fraudolente. La tutela dell’art. 121 D.L. 34/2020 è limitata all’ambito tributario e non vale in sede penale.

Negli ultimi anni, la materia dei crediti d’imposta, in particolare quelli legati ai bonus edilizi, è stata al centro di un acceso dibattito giuridico e normativo.

L’intervento del legislatore, prima con il D.L. 11/2023, poi con il D.L. 39/2024, ha segnato un drastico ridimensionamento del meccanismo di cessione, ma non ha estinto le problematiche sottese al sistema. Anzi, sul piano penale, le operazioni già perfezionate continuano a generare contestazioni, sequestri e accertamenti, anche nei confronti di soggetti che, almeno formalmente, risultano estranei all’illecito presupposto.

In questo scenario si colloca l’ormai consolidato orientamento della Corte di Cassazione in materia di sequestro preventivo ex art. 321, c. 1 c.p.p., che trova ulteriore conferma nella sentenza n. 3108/2024. Secondo i giudici di legittimità, i crediti fiscali possono essere sequestrati anche quando siano transitati a soggetti terzi, banche, società o intermediari, pur in assenza di dolo o colpa, qualora il titolo originario si fondi su operazioni inesistenti o fraudolente.

La Cassazione, con tale pronuncia, ha rigettato l’idea che la cessione del credito generi un “nuovo” diritto soggettivo in capo al cessionario, autonomo e svincolato dal vizio originario. Al contrario, ha ribadito che la cessione comporta una mera successione soggettiva nel credito, con la conseguenza che il rapporto giuridico resta inficiato sin dall’origine. In questa logica, il sequestro impeditivo può essere disposto per ostacolare l’utilizzo del credito indebitamente generato, a prescindere dalla buona fede del cessionario.

Non solo: la Corte ha chiarito che la disciplina di cui all’art. 121 D.L. 34/2020, secondo cui la responsabilità del cessionario rileva solo in caso di dolo o colpa grave, e comunque limitatamente all’ambito fiscale, non esplica alcun effetto preclusivo in ambito penale (Cass. pen., sez. II, sent. 12.07.2024, n. 28064).

Dunque, sul piano generale del sistema giuridico, si assiste a una vera e propria distorsione del sequestro impeditivo: da strumento pensato per bloccare il reato e prevenirne la ripetizione, viene trasformato in una misura patrimoniale che colpisce indirettamente anche chi non ha responsabilità penali, senza adeguate garanzie e prima ancora che sia accertato un reato in via definitiva.

Dal punto di vista costituzionale, pone un ulteriore problema in relazione all’art. 42 della Costituzione, che tutela la proprietà privata. Colpire con il sequestro un credito acquisito legittimamente e senza alcuna condotta colpevole da parte del cessionario, e farlo senza prevedere alcun tipo di garanzia di indennizzo, rischia di violare questo principio fondamentale.

La buona fede, dunque, non protegge. L’interesse pubblico alla repressione delle frodi prevale, in sede penale, sulle esigenze di certezza del diritto e tutela dei terzi. Il cessionario rischia non solo il sequestro del credito, ma anche, in caso di utilizzo in compensazione, una contestazione per indebita compensazione ai sensi dell’art. 10-quater D.Lgs. 74/2000.

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