Accertamento, riscossione e contenzioso
12 Novembre 2025
L’utilizzo dei punteggi ISA come base per accertamenti induttivi rischia di snaturare la funzione selettiva dello strumento, trasformando un indice di affidabilità in una presunzione automatica di evasione.
Archiviata la stagione degli studi di settore, espressione di una logica essenzialmente punitiva, il sistema tributario aveva compiuto un passo avanti verso la cultura della premialità con l’introduzione degli Indici Sintetici di Affidabilità fiscale (ISA). Questi ultimi, concepiti per valorizzare i comportamenti trasparenti, consentono al contribuente in regola di accedere a benefici graduati in funzione del punteggio conseguito. Negli ultimi mesi, tuttavia, si registra un’inversione di tendenza: l’Agenzia delle Entrate utilizza sempre più frequentemente i punteggi ISA come base di partenza per accertamenti di natura sostanzialmente induttiva.
Con un approccio formalmente selettivo ma sostanzialmente presuntivo, gli Uffici individuano i contribuenti con punteggio inferiore a 8 e redditività ritenuta anomala, ipotizzando la presenza di ricavi non dichiarati ricostruiti attraverso l’applicazione al costo del venduto delle percentuali medie di ricarico di soggetti più “virtuosi”. Così, lo strumento originariamente pensato per favorire la compliance si trasforma in un indicatore probatorio, in altre parole la “pagella fiscale” diventa elemento d’accusa e non più segnale di affidabilità. L’architettura normativa degli ISA, delineata dall’art. 9-bis del D.L. 50/2017, non consente una simile traslazione funzionale. Gli indici sintetici non sono, né potrebbero essere, presunzioni legali idonee a fondare rettifiche analitico-induttive. La loro ratio è di natura statistico-comparativa e si limita a valutare la coerenza economico-gestionale dell’impresa rispetto a parametri di settore, al fine di orientare i controlli e favorire la compliance preventiva. L’utilizzo dell’indicatore quale fondamento probatorio di un accertamento compromette, pertanto, il principio di tipicità degli strumenti presuntivi di cui agli artt. 39 D.P.R. 600/1973 e 54 D.P.R. 633/1972.
L’azione istruttoria dell’Agenzia, invece, tende ad elevare la correlazione tra basso punteggio e scarsa redditività a “presunzioni gravi, precise e concordanti”, arrivando a sostenere che il modesto risultato intercettato dal punteggio ISA sia prova sufficiente di evasione. Tale impostazione, oltre a eludere il dovere di motivazione analitica dell’atto impositivo, finisce per invertire surrettiziamente l’onere della prova, costringendo il contribuente a dimostrare la legittimità dei propri risultati contabili. Un’interpretazione che trova deboli riscontri giurisprudenziali e che si pone in contrasto con il principio di capacità contributiva e con la recente evoluzione della riforma del processo tributario in tema di riparto probatorio.
In questo quadro, il contraddittorio preventivo previsto dall’art. 6-bis dello Statuto del contribuente rischia di essere svuotato della propria funzione garantista. L’istituto, anziché favorire un confronto leale tra Fisco e contribuente, viene percepito come un momento di pressione negoziale, in cui l’ufficio propone riduzioni di accertamenti per indurre alla definizione bonaria della controversia. A tale impianto consegue una pericolosa deriva procedimentale: l’atto preliminare diventa l’inizio di un percorso di “contrattazione” del reddito imponibile, più che l’esito di una verifica oggettiva.
Dal punto di vista metodologico, inoltre, le determinazioni fondate su medie di settore risultano intrinsecamente fragili. La composizione del campione di riferimento non è mai trasparente e la scelta di soglie arbitrarie inferiori a punteggi prefissati introduce margini di discrezionalità tali da compromettere l’attendibilità dell’intera ricostruzione. Sul piano sistematico, tale prassi appare in aperta contraddizione con lo spirito della riforma fiscale, orientata a superare le logiche approssimative degli studi di settore e a promuovere modelli di accertamento fondati su dati effettivi e su analisi economiche più oggettive. L’utilizzo improprio degli ISA, in definitiva, non solo mina la certezza del diritto e la fiducia dei contribuenti, ma rischia di compromettere la stessa funzione di prevenzione e collaborazione che ne aveva giustificato l’introduzione. Se l’indice di affidabilità diventa la premessa automatica di un accertamento, lo strumento perde la sua natura di incentivo alla compliance e si trasforma in un meccanismo di selezione punitiva. Un rischio che la dottrina e la prassi professionale non possono ignorare, poiché tocca il cuore del nuovo rapporto di leale cooperazione tra Fisco e contribuente.
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