Imposte dirette
06 Agosto 2025
Normalmente il contributo integrativo minimo obbligatorio versato dai professionisti alla propria Cassa previdenziale di appartenenza è da considerarsi indeducibile ad eccezioni di situazioni particolari di reddito.
La risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 18.05.2006, n. 69/E chiarisce alcune peculiarità del trattamento fiscale di contributi previdenziali dei professionisti, con propria Cassa previdenziale, distinguendo tra il contributo soggettivo, sempre deducibile ai fini Irpef e dal reddito forfettario, e il contributo integrativo, che non forma reddito imponibile e pertanto non è deducibile. Tuttavia, al principio generale di indeducibilità del contributo integrativo minimo, vi è una deroga che riguarda la situazione soggettiva in cui il reddito professionale è nullo o molto basso. In questi casi, la porzione del contributo integrativo minimo che rimane a carico del professionista, ovvero quella parte che non è stata riaddebitata ai clienti, è da considerarsi deducibile perché di fatto assume lo status di obbligo previdenziale essendo realmente una spesa a suo onere.
L’interpretazione che porta alla deducibilità del contributo integrativo minimo si fonda sull’analisi combinata dell’art. 10, c. 1, lett. e) del Tuir e dell’art. 12 L. 30.12.1991, n. 414. Il punto chiave evidenziato dall’Agenzia è racchiuso nella scrittura dell’art. 12 L. 414/1991, infatti:
– il c. 1 disciplina il contributo integrativo ordinario, quello che il professionista applica come maggiorazione sui corrispettivi;
– il c. 5 stabilisce che la maggiorazione percentuale, di cui al comma 1, non concorre a formare il reddito professionale e non costituisce base imponibile ai fini Irpef (quindi anche per il calcolo dell’imposta sostitutiva del regime forfetario). Di conseguenza, il contributo integrativo ordinario è generalmente indeducibile, anche se il professionista decide di non esercitare la rivalsa;