IVA

24 Dicembre 2020

Delivery food, quale Iva

Lo strano caso degli alimenti che a seconda dell'occasione sono considerati cessione di beni o prestazione di servizi.

L’Iva è un’imposta ancora attuale, capace di cogliere fenomeni economici e sociali in rapida evoluzione? Prendiamo il caso del delivery food, che in questi mesi difficili rappresenta l’unico sbocco per migliaia di ristoratori, di necessità convertiti alla cucina da asporto. Ebbene, l’ignaro cliente italiano non sospetta che la cena recapitata a domicilio gli costa (o gli dovrebbe costare) un’Iva al 22%, mentre lo stesso pasto consumato al ristorante sconta l’Iva al 10%.

Per capire la ragione di questo paradosso dobbiamo ricordare che la legge Iva prevede una netta distinzione tra cessioni di beni e prestazioni di servizi. Il ristoratore, all’interno del proprio locale, svolge un’attività contrattualmente rilevante come somministrazione di alimenti e bevande. Il punto rilevante è che l’art. 3, c. 2, n. 4) D.P.R. 633/1972 colloca tali somministrazioni, al banco o al tavolo, nell’ambito delle prestazioni di servizi. In tal modo è sempre possibile applicare l’aliquota agevolata del 10% di cui al n. 121) della Tabella A, parte III, allegata al decreto Iva.

Per questa ragione, la prassi domestica (R.M. 20.08.1998, n. 107, D.R.E. Lombardia interpello n. 904-46/2016) è arrivata alla conclusione che le cessioni di cibi già preparati, bevande e prodotti alimentari in genere, con la consegna a domicilio sono cessioni di beni soggetti alle aliquote proprie e non prestazioni di servizi soggette all’aliquota del 10%, anche se la selezione del ristorante e l’ordinazione sono avvenute mediante Internet.

Non va meglio nel resto d’Europa. La Corte di Giustizia Europea ha precisato che le forniture di cibi e bevande devono essere considerate prestazioni di servizi se, e solo se, la fornitura è accompagnata da prestazioni di servizi, distinte da quelle che accompagnano la commercializzazione dei cibi e bevande, utili a rendere più piacevole il consumo in loco in un ambiente adeguato. Quindi non basta dotarsi di semplici tavolini all’esterno di un chiosco per trasformare la cessione di beni in una prestazione di servizi. Principi consacrati, poi, nell’art. 6 del regolamento UE n. 282/2011.

Quindi, per esempio, la stessa bevanda sarà soggetta a Iva 10% se consumata all’interno del ristorante, mentre sarà soggetta a Iva 22% se consegnata da un rider.

Uno spiraglio si è aperto con il question time n. 5-05007 dove il MEF aveva riconosciuto che (causa chiusure Covid) la vendita da asporto potrebbe essere considerata una semplice modalità integrativa svolta da imprenditori dotati di una struttura rivolta alla somministrazione. Tuttavia, lo spiraglio si è poi chiuso con il recente interpello 581/2020 con il quale l’Agenzia, forte dei principi Ue, ribadisce che l’asporto è considerato cessione di beni imponibile al 22%.

D’altra parte, è l’art. 6, c. 2 del regolamento UE n. 282/2011 a sancire che “La fornitura di cibi o bevande preparati o non preparati o di entrambi, compreso o meno il trasporto ma senza altri servizi di supporto, non è considerata un servizio di ristorazione o di catering ai sensi del paragrafo 1“. Quindi l’asporto va trattato come cessione di beni.

Peraltro, l’Agenzia ritiene che il ristorante possa applicare un trattamento duplice: nel caso di consumo dei prodotti presso i locali prestazione di servizio con Iva al 10% e nel caso dell’asporto come cessione di beni con Iva 22%. Sarebbe curioso scoprire quanti ristoranti, peraltro alle prese con gravi problemi sotto gli occhi di tutti, riescono a gestire il doppio trattamento. Per non parlare del Mc Donald polacco che in questi giorni sta impegnando la Corte di Giustizia (causa C‑703/19) con una cervellotica distinzione tra i clienti che ordinano un pasto e poi si fermano a consumarlo al ristorante e quelli che preferiscono portarlo via.

La questione, con ogni probabilità, sarà definitivamente chiarita dal legislatore. Pare infatti che un apposito intervento contenuto nella legge di Bilancio consenta l’aliquota del 10% per i piatti pronti da asporto o consegnati a domicilio.

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