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16 Ottobre 2025

Dietro la legge sull’AI aleggiano i fantasmi della burocrazia

La Legge italiana sull’intelligenza artificiale, nata per “attuare” l’AI Act europeo, rischia di scatenare un’ondata di burocrazia senza precedenti. Altro che innovazione: tra autorità, decreti e modulistica, stiamo apparecchiando un gigantesco banchetto per i professionisti della carta.

L’obiettivo dichiarato della L. 23.09.2025 n. 132, di “coordinare l’ordinamento nazionale con il Regolamento UE 2024/1689 sull’AI” e “non introdurre nuovi obblighi”, mi ricorda molto le consuete riduzioni delle tasse senza impatto. E come in quel caso l’odore di fregatura aleggia nell’aria, qui percepisco già in lontananza il fruscio sinistro dell’ennesima modulistica.

Il nocciolo della questione sembra essere l’art. 13, che recita:

1 “l’utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale nelle professioni intellettuali è finalizzato al solo esercizio delle attività strumentali e di supporto all’attività professionale e con prevalenza del lavoro intellettuale oggetto della prestazione d’opera”.

E fino a qui mi pare di non avere particolari sconvolgimenti: se il mio lavoro non derivasse dalla mia prestazione intellettuale che, proprio perché “intelligente” fa uso di AI, banche dati, software e calcolatrici, non vedo che senso avrebbe corrispondermi un compenso. Se il mio cliente si procurasse gli stessi risultati che ottiene con me interrogando un chatbot più o meno gratuito, è evidente che il valore della mia prestazione sarebbe pari a quella del GPT, cioè pochi euro al mese.

Ma ciò che sta scatenando gli “esperti del modulo e delle dichiarazioni inutili” è l’art. 2 che ammonisce:

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