Diritto del lavoro e legislazione sociale

28 Giugno 2025

Dimissioni genitoriali: l’INL rileva squilibri persistenti

La recente pubblicazione della relazione dell’INL sulle dimissioni genitoriali avvenute nel biennio 2023-2024 rivela un profilo ricorrente di soggetto dimissionario, connotato da fragilità strutturali e differenze di genere persistenti nell’accesso e nella permanenza nel lavoro.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha recentemente provveduto alla pubblicazione della relazione annuale concernente le convalide delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali dei rapporti lavorativi di lavoratrici madri e lavoratori padri, ai sensi dell’art. 55 D.Lgs. 26.03.2001, n. 151. Il quadro emergente da tale rendiconto si presta a una lettura articolata, capace di restituire una rappresentazione fedele delle dinamiche sottese alla fuoriuscita, spesso forzata, dei genitori lavoratori dal mercato occupazionale.

L’analisi statistica mostra una sostanziale stabilità nei numeri complessivi, con 62.688 provvedimenti rilasciati nel 2023 e 60.756 nell’anno successivo. Nella quasi totalità dei casi si tratta di dimissioni volontarie, mentre le fattispecie relative a giusta causa o a risoluzioni consensuali rappresentano percentuali irrisorie, e in lieve flessione nel 2024. Questo dato, solo apparentemente neutro, cela una complessità rilevante, giacché la volontarietà delle dimissioni può spesso configurarsi come il portato di una libertà viziata da pressioni, diseguaglianze o carenze strutturali nei sistemi di conciliazione.

Prevalgono nettamente le dimissioni femminili, con il 70,4% nel 2023 e il 69,5% nel 2024, a conferma di un trend ormai consolidato che sancisce la maggiore esposizione delle donne alla rinuncia lavorativa a seguito della maternità. Non sorprende, in tal senso, che oltre il 78% delle convalide riguardi la fascia anagrafica compresa tra i 29 e i 44 anni, con una concentrazione significativa di soggetti con un solo figlio, per il 49% di età inferiore a un anno. Si tratta, dunque, di un periodo di particolare fragilità, in cui la genitorialità si esplica in una fase ad alta intensità di bisogni, spesso non adeguatamente sostenuti da misure organizzative o culturali.

Il dato relativo alla cittadinanza evidenzia, inoltre, un lieve incremento della componente extra UE, passata dal 9,6% all’11,2%, a fronte di una contrazione dei cittadini italiani e di quelli appartenenti all’Unione Europea. Rilevante, anche qui, la persistenza del primato femminile, che si riflette in modo trasversale anche nelle comunità straniere.

Dal punto di vista delle qualifiche, impiegati e operai rappresentano oltre il 91% dei casi. Le madri si concentrano prevalentemente tra le impiegate, mentre i padri trovano maggiore rappresentazione nei ruoli operai. Va tuttavia segnalata una lieve ma significativa crescita delle convalide riferite a posizioni apicali, soprattutto maschili, che potrebbe preludere a una tendenziale diffusione del fenomeno anche tra figure dotate di maggiore potere contrattuale.

Quanto all’anzianità di servizio, oltre il 90% dei provvedimenti riguarda rapporti inferiori ai 10 anni, con una crescita particolarmente evidente nel triennio iniziale, segno di una mobilità precoce o di una difficoltà nel consolidamento dell’inserimento lavorativo. In relazione ai settori produttivi, si conferma la preponderanza del terziario, che da solo raccoglie circa il 70% delle convalide, seguito da industria, edilizia e, in misura molto marginale, agricoltura.

L’approfondimento settoriale rivela come il commercio, la sanità e la ristorazione costituiscano gli ambiti prevalenti di abbandono per le lavoratrici madri. Al contrario, i padri risultano più presenti nel manifatturiero e nei servizi alle imprese. In particolare, la sanità mostra una schiacciante predominanza femminile (oltre il 90%), mentre nella ristorazione, nonostante l’apparente parità occupazionale, il divario nelle convalide è marcato.

In sintesi, l’identikit del soggetto-tipo che richiede la convalida nel biennio in esame restituisce il profilo di una donna italiana, tra i 30 e i 44 anni, con un figlio di età inferiore a un anno, impiegata nel settore terziario, con un’anzianità di servizio inferiore ai 3 anni. Un profilo emblematico, che denuncia la persistente fragilità dell’architettura delle politiche di conciliazione e la resistenza di un modello culturale ancora fortemente sbilanciato sulle donne.

La lettura congiunta dei dati evidenzia dunque l’urgenza di un ripensamento sistemico, che promuova un’effettiva equità nelle dinamiche di permanenza e uscita dal lavoro, attraverso strumenti normativi e organizzativi che sappiano sostenere, in modo paritetico, la genitorialità di entrambi i sessi.

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