Diritto del lavoro e legislazione sociale
20 Agosto 2025
La riclassificazione previdenziale del datore di lavoro non comporta, di regola, la restituzione della disoccupazione agricola da parte del lavoratore. Lo chiarisce l’Inps nel Mess. n. 2425/2025, tutelando chi ha agito in buona fede.
Con il messaggio 1.08.2025, n. 2425, l’Inps interviene per sanare una situazione che ha generato, negli anni, numerose incertezze e contenziosi: il destino delle prestazioni di disoccupazione agricola già erogate ai lavoratori dipendenti di aziende successivamente riclassificate in altro settore previdenziale, con effetto retroattivo. Il nuovo orientamento dell’Istituto tutela i lavoratori che hanno agito in buona fede, escludendo la restituzione delle indennità percepite.
La riclassificazione d’ufficio: natura ed effetti
La riclassificazione previdenziale d’ufficio avviene quando l’Inps accerta che un’azienda, formalmente iscritta come agricola, svolge in realtà attività riconducibile a un diverso settore. In questi casi, l’ente può disporre l’inquadramento in una gestione non agricola (tipicamente, quella ordinaria per aziende con dipendenti) e trasferire i versamenti contributivi dalla gestione agricola a quella corretta. Fino ad oggi, questa variazione comportava la restituzione da parte dei lavoratori delle prestazioni eventualmente già incassate, trattandosi di trattamenti erogati da una gestione in cui non avrebbero dovuto figurare.
Il nuovo principio di tutela del lavoratore
Il Mess. n. 2425/2025 ribalta questo approccio: quando la riclassificazione aziendale avviene retroattivamente per iniziativa dell’ente e non per dolo del lavoratore, le indennità percepite sulla base del precedente inquadramento non sono da considerarsi indebite e non devono essere restituite.