Diritto del lavoro e legislazione sociale
05 Agosto 2025
In alcuni casi il datore di lavoro può avere la necessità di richiamare il lavoratore dalle ferie. Analizziamo la disciplina giuridica e i limiti operativi per la corretta applicazione di tale diritto.
Ogni lavoratore subordinato ha diritto ad un periodo di ferie annuali retribuite. Tale diritto trova riconoscimento nell’art. 36 della Costituzione ed è disciplinato dall’art. 2109 c.c. e dall’art. 10 D.Lgs. 66/2003. L’indisponibilità e l’irrinunciabilità costituiscono il carattere distintivo del diritto in esame, sicché qualsiasi accordo volto alla rinuncia o alla monetizzazione delle ferie è nullo per contrarietà a norme imperative. La durata minima garantita dalla legge è di 4 settimane annue, frequentemente incrementata dalla contrattazione collettiva nazionale che può prevedere periodi più estesi. Nonostante l’inderogabilità del diritto alle ferie, l’ordinamento ammette la possibilità per il datore di lavoro di richiamare il dipendente durante il periodo di riposo, subordinatamente al ricorrere di specifiche condizioni. Il richiamo è legittimo in 2 circostanze principali: quando espressamente previsto dalla contrattazione collettiva o individuale, oppure in presenza di situazioni eccezionali e impreviste dell’attività produttiva. La seconda ipotesi richiede particolare attenzione poiché non è sufficiente una generica esigenza aziendale, ma occorre che ricorrano circostanze straordinarie e imprevedibili che rendano indispensabile la presenza del lavoratore. La valutazione deve considerare la disponibilità di personale alternativo, la possibilità di redistribuire i carichi di lavoro e l’effettiva urgenza dell’intervento richiesto.
La giurisprudenza di legittimità, con particolare riferimento alla sentenza della Cassazione 3.12.2013, n. 27057, ha delineato i principi cardine della disciplina e ha precisato che il richiamo deve essere comunicato con congruo preavviso e attraverso modalità idonee a garantire l’effettiva conoscenza da parte del destinatario. Tuttavia, la Suprema Corte ha stabilito un principio fondamentale: il lavoratore non è tenuto a rendersi reperibile durante le ferie (salvo il caso in cui tale obbligo sia stabilito contrattualmente o con accordi specifici). Ciò significa che il dipendente può legittimamente trovarsi in luoghi o condizioni che ne impediscano il contatto immediato. Di conseguenza, l’eventuale mancato rientro per irreperibilità non può comportare sanzioni disciplinari, purché il dipendente sia in grado di dimostrare di essersi trovato in condizioni oggettive di irraggiungibilità attraverso i normali canali comunicativi. Il lavoratore legittimamente richiamato ha diritto al rimborso integrale delle spese documentate per il viaggio di rientro e per il successivo ritorno al luogo di svolgimento delle ferie, oltre al ristoro delle spese anticipate per il periodo non goduto, fermo restando il diritto al completamento delle ferie in epoca successiva. Molti contratti collettivi disciplinano specificamente tali forme di indennizzo (ad esempio il Ccnl del Commercio e il Ccnl Metalmeccanica industria); tuttavia, in assenza di particolari previsioni contrattuali, l’azienda può esercitare il potere di richiamo esclusivamente in circostanze eccezionali, quando risulti impossibile riorganizzare diversamente l’attività lavorativa. In tali ipotesi, il lavoratore può legittimamente rifiutare il rientro senza incorrere in conseguenze disciplinari. Ovviamente, la decisione datoriale deve sempre fondarsi su criteri oggettivi e non può configurarsi come misura ritorsiva o discriminatoria. Vale la pena sottolineare che il mancato rientro in caso di richiamo legittimo può configurare l’ipotesi di assenza ingiustificata, con le relative conseguenze disciplinari e il lavoratore può difendersi dimostrando l’illegittimità del richiamo o la propria oggettiva irreperibilità. La prova dell’avvenuta comunicazione e della sua regolarità grava sul datore di lavoro.