Accertamento, riscossione e contenzioso

05 Maggio 2025

Equivalenza della prova bancaria a “prova messianica”

La Cassazione, con sentenza 19.04.2025, n. 10381, ha ribadito che le imprese di servizi con modesto apparato non sono assimilabili ai lavoratori autonomi ai fini della prova indiziaria dei prelievi bancari.

La Corte di Cassazione, con la sentenza 19.04.2025, n. 10381, è tornata a pronunciarsi sull’accertamento bancario ribadendo, in ordine alla prova indiziaria ritraibile dai prelievi risultanti dai conti correnti, la non assimilazione delle imprese che prestano essenzialmente servizi, con modesto apparato organizzativo e con scritture contabili anche estremamente semplificate, ai lavoratori autonomi, nei confronti dei quali, invece, ogni supporto di prova è precluso in virtù della sentenza della Corte Costituzionale n. 228/2014.

Per il giudice di Cassazione, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 228/2014, affrontando la questione della legittimità costituzionale della presunzione legale di maggior reddito, di cui all’art 32, c. 1, n. 2 D.P.R. 600/1973, desumibile oltre che dai versamenti, anche dai prelevamenti ingiustificati dai conti correnti, ne avrebbe escluso la ragionevolezza, alla luce dei parametri costituzionali, limitatamente alla categoria dei lavoratori autonomi. Pur riconoscendo, per certi versi, l’affinità fra imprenditore e lavoratore autonomo, la Corte delle leggi, avrebbe ritenuto “arbitraria” l’equiparazione fra le due figure, operata dalla norma in questione, sotto il profilo dell’omogeneità di trattamento in ordine al significato del prelevamento dal conto bancario, come indice di costo a sua volta produttivo di ricavo.

La Suprema Corte ha escluso che l’attività d’impresa caratterizzata dalla preminenza dell’apporto del lavoro personale, dall’assunzione personale dell’imprenditore del rischio di impresa, da una contabilità estremamente semplificata nonché dalla marginalità dell’apparato organizzativo al pari del lavoratore autonomo, sia significativa ai fini dell’esclusione della ragionevolezza della presunzione di cui all’art. 32, c. 1 n. 2 cit., ricordando che ciò che costituisce la base dell’applicazione della presunzione di cui all’art. 32 cit. nei confronti dell’imprenditore, sia pure individuale, è la qualificazione del reddito prodotto come di impresa ai sensi dell’art. 55 del Tuir.

Trattasi di frasi manifestatamente senza senso giuridico, anche se purtroppo costituenti ormai inscalfibile diritto vivente. Premesso che le inconfutabili ampie sacche di evasione devono trovare negli strumenti di diritto il necessario supporto di avversione, constatare che da parte del giudice della nomofilachia lo spartiacque divisorio in ordine alla verità indiziaria dei prelievi di conto dipendono unicamente dal presupposto formalistico della qualificazione soggettiva, indipendentemente dalla tipologia di attività (cessione di beni o prestazione di servizi), dalla complessità dell’apparato organizzativo, dalla velocità di rotazione dei fattori della produzione, dalla marginalità e trasparenza delle scritture contabili, dalla promiscuità d’uso dei conti correnti, non può non rappresentare un’ermeneutica del tutto sbilanciata a favore delle tutele erariali, alla base di un’insidiosa creazioni di imponibili fiscali solo immaginari.

La pretesa che un contribuente ricordi a distanza di anni, con analitica scansione temporale, i fondamenti causali di ogni singolo movimento di conto, anche di marginale significato numerario, raccorda un privilegio indiziario a favore della Finanza a una attitudine di memoria che non partecipa all’ordinaria condizione dell’uomo medio. Tale carenza di condizione comporta l’estraniazione della logicità inferenziale della presunzione dalla sua imprescindibile prerogativa che è quella di coniugarsi con la fisiologica natura delle cose, così come essa viene rilevata dalla naturale capacità percettiva dell’uomo. In altri e più chiari termini, affinché la presunzione possa costituire un’autentica vis dimostrativa, è necessario che essa abbia a supporto il governo degli eventi secondo le loro ordinarie dinamiche di rappresentazione in natura. Il cd. fatto indotto deve, quindi, coincidere con il fatto notorio, così come l’uomo medio se lo prospetterebbe sulla base di una naturale logica di giudizio.

Conclusivamente e passando dalle parole agli esempi, spieghi finalmente il giudice (sia di Cassazione che Costituzionale) come a fronte di 3 incassi giornalieri per complessivi 3.000 euro, si ipotizza il congiunto sostenimento di spese d’impresa per 700 e prelievi di liquidità per spese personali di 400, con un finale versamento in banca alla fine del 3° giorno di 1.900 euro e un successivo prelievo di 1.100 euro utilizzato promiscuamente per spese personali e d’impresa, qualora a distanza di 5 anni venisse chiesto all’imprenditore in questione di chiarire il fondamento causale del versamento della somma di 1.900 euro e del prelievo di 1.100 pena la sua conversione in evasione di iva e di reddito, sulla base di quale etica di diritto si possa riuscire a dare copertura giustificativa ad una tale ripresa fiscale?

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