Amministrazione e bilancio

05 Maggio 2025

Ets, la natura dell’attività di interesse generale

Con l’invio della comfort letter da parte della Commissione Europea, la riforma fiscale del Terzo settore entra nella fase applicativa, ma ci sono numerosi punti da chiarire, come, ad esempio, i criteri di determinazione della natura delle attività di interesse generale.

L’art. 79 del CTS ruota intorno a due punti fondamentali: stabilire la natura delle attività di interesse generale; stabilire la natura dell’ente.

Il primo aspetto da dirimere è la distinzione delle attività di interesse generale di cui all’art. 5 del CTS in commerciali e non commerciali.

Per tutti gli ETS, diversi dalle imprese sociali, l’art. 79, c. 2 del CTS chiarisce a quali condizioni le attività di interesse generale si considerano di natura non commerciale:

– le attività sono svolte a titolo gratuito;

– la somma tra il corrispettivo (proveniente dall’utente o da terzi) e i contributi non potrà superare i costi effettivi, intendendosi per questi ultimi sia i costi diretti che quelli indiretti afferenti alla specifica attività (Relazione illustrativa al Decreto).

Nell’ipotesi di svolgimento di diverse attività, continua la Relazione illustrativa, riconducibili all’art. 5, i costi indiretti effettivamente sostenuti dovranno assegnarsi a ciascuna di queste in misura proporzionale al fine di consentire la valutazione in merito alla tipologia di attività svolta, se, dunque, di natura commerciale o non commerciale.

A questo punto, c’è anche da chiedersi, a beneficio degli enti che esercitano 2 o più attività di interesse generale di cui all’art. 5, se i calcoli per determinare la non commercialità dell’attività possono essere eseguiti, a scelta dell’ente, per singole attività, o per la totalità delle stesse.

Il Governo, accogliendo l’orientamento espresso dal Consiglio di Stato (parere 19.07.2018, n. 00731), ha risposto negativamente alla richiesta formulata dalla I Commissione Affari Costituzionali del Senato della Repubblica, volta a far sì che: “qualora l’ente eserciti attività di interesse generale rientranti in diverse categorie di cui all’art. 5, le condizioni per la non commercialità dell’attività di cui al comma 2 possono riferirsi alla totalità delle stesse”.

La questione non è di poco conto. Non si può fare a meno di sottolineare, infatti, che il risultato del test di commercialità delle attività svolte, applicando l’una o l’altra metodologia di calcolo, può cambiare anche profondamente nel momento in cui, in base a una logica di compensazione alcune attività potrebbero essere tolte da una logica di imponibilità, essendo il risultato complessivo di segno negativo.

Osserviamo, peraltro, che non si può sottacere che, sotto il profilo fiscale, ciascuna attività di interesse generale può avere, di per sé, una modalità di gestione commerciale o non commerciale.

Tuttavia, sotto il profilo aziendale, tenuto conto dell’unitarietà della gestione, non sembra illogico pensare che la soluzione ideale sarebbe quella di lasciare la possibilità all’ente di operare tra i 2 sistemi di calcolo la scelta che ritengono più opportuna e conveniente in base alla propria particolare situazione. In questa direzione si sono verificati in Parlamento diversi tentativi di soluzione del problema (vedi, ad esempio, in occasione della discussione della legge di Bilancio 2022, l’emendamento Malpezzi-Fedeli) che, però non hanno avuto successo. A questo punto, si rende quanto mai necessaria un’interpretazione ufficiale dell’Amministrazione Finanziaria.

Da un punto di vista pratico, osserviamo anche che se il test di commercialità deve essere applicato per ogni attività di interesse generale esercitata, l’ente dovrebbe impostare un sistema di contabilità analitica, in modo da consentire la suddivisione dei costi tra le diverse attività di interesse generale, e di attribuire, con opportuni criteri di ripartizione i costi indiretti e quelli generali alle singole attività in questione, con tutti gli oneri amministrativi che ne conseguono.

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