Accertamento, riscossione e contenzioso

16 Settembre 2021

Il pignoramento delle criptovalute

Continuano a persistere dubbi sul tema.

Il termine criptovaluta definisce tecnicamente la cosiddetta “valuta virtuale”, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente (art. 1, c. 2, lett. qq. D.Lgs. 231/2007). I principali dibattiti dottrinali attengono alla considerazione o meno della criptovaluta come moneta legale in quanto sprovvista di “sigillo sovrano”, non essendo emessa da un’autorità dello Stato ma derivante da attività di natura privata.

Le criptovalute non sono soggette al corso forzoso (tipico della moneta legale) edil creditore non è obbligato ad accettarle in pagamento. Nel tempo, la giurisprudenza di merito si è occupata della questione relativa alla natura e qualificazione della valuta digitale, riconducendo le criptovalute nell’area dei beni giuridici immateriali quali le “cose che possono formare oggetto di diritti” (art. 810 C.C.) a carattere fungibile (Tribunale di Firenze, Sezione Fallimentare, 21.01.2019, n. 18).

La diffusione delle criptovalute negli scambi commerciali, nei rapporti societari e nelle forme di investimento ha sollevato numerose problematiche e con esse la necessità di definire gli aspetti legati alla possibilità di assoggettamento a procedure esecutive. Sulla questione non ci sono ancora indicazioni giurisprudenziali precise, ma interpretazioni dottrinali propendono per ritenere che le criptovalute possano essere oggetto di espropriazione forzata da parte del creditore, con alcune limitazioni legate al luogo di conservazione (hardware, software wallet o web wallet) e alla loro riconducibilità al debitore. In particolare, le valute virtuali possono esser oggetto di pignoramento:

  • presso il debitore, nel caso siano conservate in un portafoglio elettronico (definito “wallet”) e le caratteristiche del wallet consentano di ricondurle univocamente al soggetto esecutato;
  • presso terzi, purchè conservate in web wallet (attivabili online tramite appositi portali noti come wallet providers) e a condizione che il gestore della piattaforma sia in grado di identificarne il titolare.

Oltre agli strumenti “diretti” di esecuzione forzata, il nostro ordinamento riconosce al creditore un mezzo di coercizione indiretta del debitore, attraverso l’art. 614-bis c.p.c. che prevede, in caso di condanna all’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro, il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Questo consente di “convertire” le criptovalute in moneta corrente ai fini dell’ottenimento della soddisfazione da parte del creditore in maniera certamente più sicura rispetto all’esecuzione sulle valute virtuali, il cui valore non è definito in maniera “legale” e può subire improvvise e significative variazioni di valore. Dunque, l’azione giudiziale del creditore per il pagamento del dovuto dovrà essere introdotta indicando l’ammontare delle criptovalute contrattualmente previste. La sentenza di accoglimento non potrà che condannare il debitore a pagare in tale moneta, limitandosi eventualmente a prevedere la facoltà di versare l’importo in moneta legale.

L’assimilazione della criptovaluta alla moneta non avente corso legale (o alla moneta estera) consentirebbe anche il ricorso al procedimento monitorio.

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