Procedure concorsuali

20 Ottobre 2022

Imu e procedure concorsuali

La sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 7397/2019 evidenzia come l’art. 10, c. 6 D. Lgs. 504/1992, oggi sostituito dall’art. 1, c. 768 L. 160/2019, vada interpretato in maniera restrittiva.

Le disposizioni contenute nell’art. 10, c. 6 D. Lgs. 504/1992 (Decreto ICI), oggi sostituito dall’art. 1 c. 768 L. 160/2019 del medesimo tenore letterale, citano: “per gli immobili compresi nel fallimento o nella liquidazione coatta amministrativa l’imposta è dovuta per ciascun anno di possesso rientrante nel periodo di durata del procedimento ed è prelevata, nel complessivo ammontare, sul prezzo ricavato dalla vendita. Il versamento dell’imposta deve essere effettuato entro il termine di 3 mesi dalla data in cui il prezzo è stato incassato (termine modificato dalla L. 296/2006 ed individuato in “3 mesi dalla data di trasferimento dell’immobile”)”.

Con riferimento a questa disciplina, una società in amministrazione controllata ha impugnato 5 avvisi di accertamento emessi da un Comune, ritenendo sussistente la condizione sospensiva dell’esigibilità dell’imposta prevista dall’articolo in commento.

La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva parzialmente i ricorsi, ritenendo non dovute le sanzioni ma non applicabile all’impresa la disciplina contenuta nella norma di riferimento. Le sentenze di primo grado venivano appellate dal soggetto passivo, ma i giudici di secondo grado, una volta riuniti i ricorsi, rigettavano il gravame.

Da qui il ricorso in Cassazione: secondo il contribuente ricorrente, i giudici avrebbero erroneamente interpretato il D. Lgs. 270/1999 (Nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria) e, conseguentemente, errato nel ritenere che la procedura di amministrazione straordinaria non potesse essere definita una procedura concorsuale vera e propria.

La società sostiene, anche innanzi i giudici di Piazza Cavour, che sarebbe inesigibile l’imposta comunale sino al momento di vendita dell’immobile e che conseguentemente fino a quella data qualsiasi atto di accertamento notificato sarebbe illegittimo.

Anche nell’ultimo grado di giudizio il soggetto passivo ha però visto rigettare le proprie tesi, anonostante in primo luogo i giudici della Suprema Corte abbiano evidenziato che l’amministrazione straordinaria rappresenta una procedura concorsuale, al contempo giudiziaria e amministrativa, che tende a conciliare le pretese dei creditori con il salvataggio del sistema produttivo ed occupazionale: essa è finalizzata, a differenza del fallimento, al mantenimento del complesso aziendale e dell’attività svolta.

I giudici però evidenziano che, dalla lettura della norma, si evince chiaramente che il regime sospensivo è riservato esclusivamente agli immobili ricompresi nel fallimento e nella liquidazione coatta amministrativa, e che nessun riferimento è presente in relazione all’amministrazione straordinaria.

La disciplina, concludono i giudici della Suprema Corte, operando una deroga al regime ordinario dell’imposta, è da ritenersi di stretta interpretazione, ai sensi dell’art. 14 delle Preleggi, e quindi non suscettibile di interpretazione analogica.

Ne consegue che “nessuna censura può essere espressa nei confronti della Sentenza impugnata, avendo il Giudice nel merito correttamente escluso l’applicabilità dell’art. 10, c. 6 D.Lgs. 504/1992 alla fattispecie in esame”.

Si può concludere che quanto disposto dall’art. 1, c. 768 L. 160/2019 deve ritenersi applicabile esclusivamente agli immobili compresi nel fallimento e nella liquidazione coatta amministrativa, ma non anche ad altre procedure, tra le quali ad esempio l’amministrazione straordinaria ed il concordato.

Giovanni Chittolina e Paolo Salzano

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