Flessibilità interna nel CCNL Terziario Confcommercio

Sin dalla riforma Biagi, il tema della flessibilità nei rapporti di lavoro è da sempre stato all’attenzione del legislatore e delle parti sociali. In tale ambito è possibile ricercare diverse sfaccettature che la flessibilità assume:

  • una flessibilità “esterna”, che si ottiene utilizzando svariate forme di tipologie contrattuali diverse dal “canonico” rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato;
  • una flessibilità “interna”, che interviene, invece, sul numero di ore lavorate e sull’organizzazione del tempo del personale assunto nonché sulle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa.

Su tale ultimo specifico ambito, il CCNL del comparto terziario-commercio, sottoscritto da Confcommercio con FILCAMS-CGIL, FISASCAT-CISL e la UILTUCS-UIL, prevede, in forza delle deleghe conferite dal D.Lgs. 66/2003, particolari forme di articolazione dell’orario di lavoro adottabili dall’impresa alternativamente mediante comunicazione all’Ente bilaterale territoriale della Provincia di competenza, per il tramite dell’Associazione territoriale aderente all’associazione datoriale firmataria, ovvero tramite lo sviluppo di confronti e accordi da raggiungere in sede di contrattazione aziendale.

Mediante la prima procedura, contemplata dall’art. 136 del CCNL, si potrebbe dar corso alle diverse articolazioni previste dall’art. 133 del medesimo accordo nazionale a mente del quale, anche con riferimento a singole unità produttive, sarà possibile:

  • a) realizzare un orario normale di lavoro settimanale pari a 40 ore, mediante la concessione di mezza giornata di riposo in coincidenza con la chiusura infrasettimanale disciplinata dalle norme locali vigenti in vigore, e per le restanti 4 ore mediante la concessione di un’ulteriore mezza giornata a turno settimanale;
  • b) realizzare un orario normale di lavoro settimanale pari a 39 ore, mediante l’assorbimento di 36 ore di permessi retribuiti;
  • c) realizzare un orario normale di lavoro settimanale pari a 38 ore, mediante l’assorbimento di 16 ore di ex festività e 56 ore di permesso retribuito.

Pertanto, ferma restando la maturazione “biennale” prevista per il riconoscimento dei permessi retribuiti (50% decorsi 2 anni dall’assunzione e 100% decorsi 4 anni dall’assunzione), distinguendo imprese con più o meno di 15 dipendenti, sarà possibile riassumere l’effettiva maturazione, per anzianità di servizio, delle ore di permesso maturabili in ragione dell’articolazione oraria adottata dal datore di lavoro.

Quanto alle ulteriori forme di flessibilità attuabili mediante confronto in sede di contrattazione aziendale, il CCNL fornisce vere e proprie indicazioni su come potranno essere adottati nuovi regimi orari, consistenti nella messa a regime di un orario cosiddetto multiperiodale. Le ipotesi contemplate dagli artt. 137 e ss., infatti, prevedono che, in un periodo massimo di 12 mesi, per far fronte a variazioni dell’intensità lavorativa dell’impresa, sarà possibile:

  • superare l’orario contrattuale in particolari periodi dell’anno sino al limite di 44 ore settimanali, per un massimo di 16 settimane, riconoscendo ai lavoratori interessati, nel corso dell’anno e in periodi di minore intensità lavorativa, una pari entità di ore di riduzione. In tal caso, i lavoratori interessati percepiranno la medesima retribuzione contrattuale sia nei periodi di superamento che in quelli di corrispondente riduzione dell’orario di lavoro, accedendo alle maggiorazioni per lavoro straordinario solo laddove prestino ore aggiuntive rispetto a quelle previste dal programma definito;
  • superare l’orario contrattuale in particolari periodi dell’anno sino al limite di 48 ore settimanali, per un massimo di 16 settimane, riconoscendo ai lavoratori, oltreché il recupero delle “ore aggiuntive” svolte, mediante una paritaria distribuzione tra recuperi e banca ore, un incremento di permessi retribuiti nella misura di 45 minuti per ciascuna settimana di superamento dell’orario normale settimanale;
  • con il medesimo meccanismo di cui al punto precedente, raggiungere le 44 ore settimanali per un massimo di 24 settimane (in questo caso i 45 minuti aggiuntivi di permessi per ciascuna settimana potrebbero portare sino a 18 ore annue in più, pari per l’appunto a 45 minuti moltiplicati per 24 settimane);
  • raggiungere, con il citato meccanismo di recupero delle ore eccedenti le 40 settimanali (50% – 50%) tra ore in riduzione e ore in banca ore, le 48 ore settimanali per un massimo di 24 settimane, riconoscendo, in aggiunta 70 minuti per ciascuna settimana di superamento del normale orario di lavoro.

Per ognuno di questi regimi, si noti, in caso di mancata fruizione dei riposi compensativi individuali, le ore di maggior lavoro prestate e contabilizzate in banca ore verranno liquidate, con la maggiorazione prevista per il lavoro straordinario entro e non oltre il mese di dicembre dell’anno successivo a quello di maturazione.

Tax credit per acquisto di prodotti alternativi alla plastica monouso

Con il D.M. 4.03.2024 (pubblicato in G.U. 13.04.2023, n. 87), sono stati definiti i criteri, le modalità di applicazione e di fruizione del credito d’imposta finalizzato a promuovere l’acquisto e l’utilizzo di materiali e prodotti alternativi a quelli in plastica monouso.

Il beneficio è riconosciuto alle imprese che acquistano e utilizzano prodotti della tipologia di quelli elencati nell’allegato, Parte A e Parte B al D.Lgs.196/2021, che sono riutilizzabili o realizzati in materiale biodegradabile e/o compostabile, certificato secondo la normativa UNI EN 13432:2002. Si tratta, a titolo esemplificativo, di:

  • tazze o bicchieri per bevande (inclusi i relativi tappi e coperchi);
  • contenitori per alimenti;
  • bastoncini cotonati, posate, piatti, cannucce.

Sul piano soggettivo, possono presentare domanda di concessione del contributo, le imprese che alla data di presentazione della domanda, siano in possesso dei seguenti requisiti:

  • risultano attive, regolarmente costituite e iscritte al Registro delle Imprese;
  • risultano iscritte all’assicurazione generale obbligatoria o alle forme esclusive e sostitutive della medesima oppure alla Gestione separata di cui all’art. 2, c. 26 L. 335/1995;
  • non siano destinatarie di sanzioni interdittive ai sensi dell’art. 9, c. 2 D.Lgs. 231/2001;
  • non sussistano nei loro confronti cause di divieto, decadenza o sospensione;
  • non si trovino in liquidazione né sono soggette a procedure concorsuali con finalità liquidatoria.

Sono ammesse all’agevolazione le spese effettivamente sostenute nel corso delle annualità 2022, 2023 e 2024. L’effettività del sostenimento della spesa deve risultare da apposita “attestazione” resa dal presidente del collegio sindacale ovvero da un revisore legale iscritto nel registro dei revisori legali, o da un professionista iscritto nell’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, o nell’albo dei periti commerciali o in quello dei consulenti del lavoro, ovvero dal responsabile del centro di assistenza fiscale.

Non sono, comunque, ammesse al beneficio le spese:

  • sostenute “anteriormente” alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 196/2021;
  • per l’acquisto di prodotti che, non essendo utilizzate dall’impresa richiedente, si configurano unicamente come merce di rivendita operata da imprese del commercio.

Il tax credit spetta, fermo restando il limite delle risorse disponibili, nella misura del 20% delle spese sostenute e documentate, fino all’importo massimo annuale di 10.000 euro per ciascun beneficiario.
Nell’ipotesi in cui le agevolazioni complessivamente richieste “eccedano” i limiti, l’importo del credito d’imposta concedibile a ciascun beneficiario è proporzionalmente ridotto, rispetto alla spesa sostenuta, al fine di garantire il limite della spesa autorizzata.

Il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione, mediante modello F24, attraverso i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate. Non si applicano i limiti alle compensazioni di cui all’art. 1, c. 53 L. 244/2007 e di cui all’art. 34 L. 388/2000.
Inoltre, il suddetto credito di imposta:

  • è alternativo e non cumulabile, in relazione a medesime voci di spesa, con ogni altra agevolazione prevista da normativa europea, nazionale o regionale;
  • non concorre alla formazione del reddito d’impresa né della base imponibile dell’Irap produttive e non rileva ai fini del rapporto di cui agli artt. 61 e 109, c. 5 del Tuir.

Per accedere al contributo, i soggetti in possesso dei requisiti previsti, per il tramite del legale rappresentante, presentano un’apposita istanza attraverso la procedura informatica resa accessibile dal sito istituzionale del Ministero. Sulla sezione news di detto sito sono indicati i termini e le modalità di presentazione della domanda nonché la documentazione utile allo svolgimento dell’attività istruttoria.
Nell’istanza, i beneficiari dichiarano il possesso dei requisiti previsti, ivi inclusi quelli di carattere tecnico, compreso l’ammontare complessivo delle spese sostenute e del contributo richiesto per ogni annualità, allegando l’attestazione su indicata. Al solo fine di consentire lo svolgimento dei controlli, i soggetti beneficiari allegano all’istanza la documentazione giustificativa delle spese e del relativo pagamento, nonché la certificazione che i prodotti acquistati sono riutilizzabili o realizzati in materiale biodegradabile e/o compostabile, certificato secondo la normativa UNI EN 13432:2002.

La gestione dell’istruttoria finalizzata alla concessione del contributo è svolta mediante Invitalia Spa, la quale provvede allo svolgimento delle seguenti attività:

  • ricezione delle istanze di contributo, attraverso una piattaforma dedicata;
  • accertamento della completezza dell’istanza e della sussistenza dei requisiti di ammissibilità;
  • definizione dell’elenco delle istanze che necessitano di integrazione documentale;
  • definizione dell’elenco delle istanze ammissibili;
  • definizione dell’elenco delle istanze per le quali le verifiche si sono concluse negativamente.

Il Ministero verifica, poi, tramite il registro nazionale degli aiuti, il rispetto, da parte del soggetto beneficiario, del massimale previsto dai regolamenti de minimis applicabili, e procede alla registrazione dell’aiuto individuale nel suddetto registro. L’importo del contributo concesso è ridotto qualora necessario al fine di garantire il rispetto del massimale previsto dal regolamento de minimis.

Sul fronte dei controlli si osserva, da ultimo, che il Ministero procede ad effettuare ispezioni a campione in misura proporzionale al rischio e all’entità del contributo concesso, controllare la veridicità delle dichiarazioni rese, nonché le condizioni per la fruizione del contributo. I controlli in merito alla legittima fruizione del credito di imposta sono effettuati dall’Agenzia delle entrate.

Qualora l’Agenzia accerti l’indebita fruizione, totale o parziale, del credito d’imposta, la stessa ne dà comunicazione in via telematica al Ministero che, previe verifiche per quanto di competenza, provvede al recupero.

Dichiarazione integrativa e istanza di rimborso: strumenti concorrenti

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 17.04.2024, n. 10415, ha ritenuto che, in materia di dichiarazione integrativa, sulla scia dei principi espressi dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 13378/2016, l’emendabilità o la ritrattabilità degli elementi dichiarativi contenuti nella dichiarazione integrativa (che si salda con l’originaria dichiarazione presentata), da un lato, e l’istanza di rimborso (ex art. 38 D.P.R. 602/1973), da proporre entro 48 mesi, nel caso d’inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento, dall’altro, operano su piani diversi del rapporto d’imposta tra Amministrazione Finanziaria e contribuente e costituiscono due opzioni concorrenti e non alternative, che l’ordinamento tributario offre all’interessato, a seconda che egli si attivi nel campo applicativo dell’accertamento fiscale (la dichiarazione integrativa) o nel diverso ambito della riscossione dei tributi (l’istanza di rimborso) (Cass. 16.07.2018, n. 19002).

Ed ancora, per il giudice di Cassazione, costituisce fermo principio di diritto che “in caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi in danno del contribuente, il rimborso può essere chiesto entro il termine di quattro anni dal versamento, ai sensi dell’art. 38 D.P.R. 602/1973, decorso il quale non può più domandarne la restituzione nel corso del giudizio instaurato avverso il silenzio rifiuto sull’istanza di rimborso, atteso che il principio della deducibilità, anche in giudizio, di suoi eventuali errori nella dichiarazione dei redditi non può essere utilizzato per eludere i termini decadenziali espressamente previsti dalla norma” (Cass. 30.05.2023, n. 15211).

Beni offerti in omaggio ai dipendenti

Secondo quanto rappresentato nell’interpello 11.04.2024, n. 89, al fine di garantire la formazione dei propri dipendenti e in linea con il raggiungimento degli obiettivi aziendali, la società “si è dotata di un documento contenente le linee guida e la qualità che la forza lavoro deve dimostrare (cd. “Partner Guide”)”.

In particolare, nell’ambito di un’articolata serie di benefit, l’azienda omaggia mensilmente i propri dipendenti di un sacchetto di caffè selezionato e di una bevanda gratuita al giorno, da consumare durante la pausa di lavoro, evidenziando che lo scopo dell’offerta è diffondere la conoscenza approfondita dei prodotti e la capacità dei dipendenti di trasmettere l’eccellenza degli stessi alla clientela, nell’ambito della strategia aziendale.

L’Istante precisa, inoltre, che la società potrebbe omaggiare i dipendenti con alcuni beni che hanno natura di merchandise (esempio: tazze con il logo aziendale, spillette) e afferma che, in questi casi, tali beni sono appositamente caratterizzati per rappresentare l’identità aziendale (ad esempio, attraverso l’utilizzo del logo o di esclusivi elementi di design), mentre il motivo principale per la concessione di tali beni è la volontà che i dipendenti diffondano l’immagine aziendale al di fuori delle mura (caffetteria, nel caso di specie), con finalità di business, di marketing e di promozione e diffusione dell’immagine aziendale.

Contrattazione collettiva in Italia: tendenza e criticità

Nello studio del fenomeno della contrattazione collettiva effettuato in occasione del XXV rapporto stilato dal CNEL, 3 sono risultate le principali criticità:

  • carenza di studi sistematici e continuativi da parte degli enti pubblici che raccolgono dati amministrativi o che svolgono indagini campionarie sulle tematiche del lavoro;
  • assenza di un preciso allineamento tra strumenti di analisi e monitoraggio del mercato del lavoro, dei mestieri e delle professionalità e la classificazione economica dei contratti collettivi nazionali di lavoro per settore merceologico;
  • assenza di un database unico e consolidato condiviso dalle parti sociali.

In tema di contratti collettivi, al 31.12.2023 risultava rinnovato solo il 40,98% di questi (398 su 971) che coinvolgono inoltre solo 4 dipendenti su 10 del settore privato (ad esclusione dei settori dell’agricoltura e del lavoro domestico e di cura) vale a dire a 5,8 milioni di lavoratori dipendenti su un totale di circa 14,4 milioni.

Contributo per la capitalizzazione delle PMI (prima parte)

Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, con il D.M. 19.01.2024, n. 43 (attuativo dell’art. 21, c. 3 D.L. 34/2019 e finalizzato ad incentivare i processi di capitalizzazione delle PMI), ha regolamentato il previsto sostegno alla capitalizzazione delle micro, piccole e medie imprese che intendono realizzare un programma di investimento.

Il decreto, entrato in vigore il 20.04.2024, è finalizzato all’incentivazione dei processi di capitalizzazione delle PMI tramite l’incremento dell’ammontare del contributo, a fronte di investimenti previsti dal decreto interministeriale 22.04.2022, che ha definito la nuova disciplina per l’acquisto, da parte delle PMI, di beni strumentali, in attuazione delle misure previste dall’art. 2 D.L. 69/2013 (Nuova Sabatini). Il regolamento definisce requisiti, condizioni e modalità per poter accedere al beneficio, le cui disponibilità finanziarie ammontano a 80 milioni di euro. Il Ministero, entro il 1.07.2024, con provvedimento della Direzione generale per gli incentivi alle imprese dovrà fornire le istruzioni necessarie per la fruizione delle agevolazioni e definir gli schemi di domanda e di dichiarazione.

Soggetti ammessi – Possono beneficiare delle agevolazioni le PMI che, alla data di presentazione della domanda, sono in possesso dei requisiti previsti dall’art. 7 D.M. 22.04.2022. Pertanto, le PMI interessate:

  • devono essere regolarmente costituite e iscritte nel Registro delle Imprese ovvero nel Registro delle Imprese di pesca (le imprese non residenti nel territorio italiano devono avere personalità giuridica riconosciuta nello Stato di residenza risultante dall’iscrizione nell’omologo Registro delle Imprese);

Srls, 12 anni di vita di questa sotto-tipologia

Da qualche anno a questa parte, per la precisione dal 2012, è stata introdotta nell’ordinamento italiano la sotto-tipologia di Srl chiamata Srls, ossia società a responsabilità limitata semplificata (art. 3, c. 1 D.L. 1/2012) con l’appeal dell’assenza di competenze notarili e capitali esigui per la costituzione, con la tutela della responsabilità limitata.

Le Srls infatti, si rammenta, si possono costituire con un capitale sociale da 1 a 9.999 euro sottoscritto e interamente versato alla data di costituzione. I conferimenti devono farsi esclusivamente in denaro versandoli all’organo amministrativo. I soci (o socio unico) possono essere, in sede di costituzione, soltanto persone fisiche e le clausole del modello standard tipizzato sono inderogabili.

Ancora dubbi vi sono sull’accantonamento della riserva legale se debba seguire le disposizioni ordinarie delle Srl con capitale sociale superiore a 10.000 euro (art. 2430 c.c.) oppure le disposizioni peculiari della Srl a capitale minimo di cui all’art. 2463, c. 5 c.c. Si ritiene, sul punto, così come suggerito dallo Studio n. 892/2013 del Consiglio Nazionale del Notariato, che sia applicabile la disposizione apposita per le Srl con capitale inferiore a 10.000 euro, “trattandosi di società con capitale inferiore a 10.000 euro, non sembrano sussistere elementi di incompatibilità con l’applicazione della regola contenuta nel comma 5 dell’articolo 2463 c.c., che impone criteri di accantonamento della riserva legale basati su di un capitale sociale inferiore a 10.000 euro, posto che la norma ha la funzione di favorire la successiva patrimonializzazione della società”.

Risarcimento del danno da illecito antitrust (prima parte)

Alla disciplina della prescrizione del diritto al risarcimento del danno, contemplata nell’art. 10 direttiva 2014/104/UE, è stata data attuazione con l’art. 8 D.Lgs. 3/2017, e questo dispone: “Il diritto al risarcimento del danno derivante da una violazione del diritto della concorrenza si prescrive in 5 anni. Il termine di prescrizione non inizia a decorrere prima che la violazione del diritto della concorrenza sia cessata e prima che l’attore sia a conoscenza o si possa ragionevolmente presumere che sia a conoscenza di tutti i seguenti elementi:

  • a) della condotta e del fatto che tale condotta costituisce una violazione del diritto della concorrenza;
  • b) del fatto che la violazione del diritto della concorrenza gli ha cagionato un danno;
  • c) dell’identità dell’autore della violazione.

La prescrizione rimane sospesa quando l’autorità garante della concorrenza avvia un’indagine o un’istruttoria in relazione alla violazione del diritto della concorrenza cui si riferisce l’azione per il diritto al risarcimento del danno. La sospensione si protrae per un anno dal momento in cui la decisione relativa alla violazione del diritto della concorrenza è divenuta definitiva o dopo che il procedimento si è chiuso in altro modo”.

La norma concerne non solo gli illeciti concorrenziali di competenza della autorità garanti nazionali, ma anche quelli di cui si occupa la Commissione Antitrust, dal momento che per autorità garante della concorrenza deve intendersi anche detto organo

Controlli automatici e digitali per le imprese agricole

Un sistema agricolo nazionale unico in cui confluiranno tutti i dati delle imprese agricole, conservati a livello nazionale e regionale. Un data base centralizzato che permetterà di inoltrare telematicamente le domande di aiuto Pac, incrociare le informazioni e rendere, così, automatici i controlli sulle aziende agricole beneficiarie.

Le novità sulle nuove regole organizzative per il nuovo Sian sono contenute in un Decreto del 19.03.2024 del Ministero dell’agricoltura, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 13.04.2024 n. 87.
Il provvedimento è attuativo dell’art. 15, c. 1 del D.Lgs. 21.05.2018, n. 74, come modificato dal D.Lgs. 4.10.2019, n. 116, sono definite le regole e le modalità tecnico-organizzative al fine di armonizzare la gestione dei servizi essenziali di natura trasversale del Sian con il complesso dei processi e degli strumenti tecnici operanti presso gli organismi pagatori, le regioni di riferimento, assicurando che la progettazione e la realizzazione del sistema informativo nazionale unico sia attuata con modalità tecnico-funzionali rivolte all’integrazione dei sistemi informativi.

Il Sian è il sistema informativo nazionale unico per la gestione dei servizi essenziali di natura trasversale attinenti:

  • al fascicolo aziendale;
  • al sistema informativo geografico (GIS);
  • al registro nazionale titoli;
  • al registro nazionale debiti;
  • al sistema integrato di gestione e controllo (SIGC).

Aspetti critici del nuovo modello CPB

Il nuovo modello CPB, di fatto, è un unico quadro P che, stando alle istruzioni per la sua compilazione, deve essere presentato congiuntamente al modello ISA al momento della presentazione della dichiarazione annuale dei redditi.

Il suddetto quadro P si compone di 4 distinte sezioni così denominate: Condizioni di accesso; Dati contabili; Proposta CPB; Accettazione proposta CPB.
Le maggiori criticità compilative del quadro si trovano nella seconda parte riservata all’indicazione del reddito e del valore della produzione proposto ai fini del concordato preventivo biennale.

Nella prima parte del quadro P il contribuente dovrà indicare nei righi P01 e P02, la sussistenza o meno dei requisiti di accesso o di condizioni di esclusione. In particolare, si dovrà attestare di non avere debiti tributari o contributivi di importo superiore a 5.000 euro o di aver estinto quelli che tra essi sono d’importo complessivamente pari o superiori a tale soglia (rigo P01) oppure l’assenza delle cause di esclusione dal nuovo CPB previste nell’art. 11 D.Lgs. 13/2024 (rigo P02).

C.F e P.IVA: 01392340202 · Reg.Imp. di Mantova: n. 01392340202 · Capitale sociale € 210.400 i.v. · Codice destinatario: M5UXCR1

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