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07 Febbraio 2020

Le tre vie del flusso di cassa

L'articolo analizza i concetti di cash flow operativo, di free cash flow e di cash flow bancario illustrandone le metodiche di calcolo, il loro significato e la diversa applicazione pratica.

Il cash flow operativo rappresenta il flusso di cassa generato dalla gestione tipica, ottenuto come differenza tra ricavi e costi monetari tipici, dedotto il carico fiscale, sottratta o sommata la variazione, positiva o negativa, di circolante operativo. Sono definiti monetari i ricavi e i costi che hanno determinato nell’esercizio un credito o un debito o un’entrata o un’uscita. I costi non monetari, invece, sono quelli che hanno avuto manifestazioni finanziarie in passato, come gli ammortamenti e i risconti, o che la potranno avere in futuro come i fondi rischi.

Il carico fiscale da dedurre, da un punto di vista concettuale, andrebbe ricalcolato figurativamente sull’utile operativo. L’effetto “para-tasse” degli oneri finanziari, infatti, deve costituire un legittimo abbattimento di costo nell’ambito della gestione finanziaria.

Da un punto di vista pratico il cash flow operativo, come approssimazione, è determinabile in modo indiretto, in assenza di gestioni straordinarie o complementari rilevanti, sommando le seguenti voci: utile di esercizio + ammortamenti + accantonamenti per rischi + oneri finanziari -/+ incremento/decremento del circolante operato.

Un valore di cash flow operativo negativo segnala che il business sta bruciando risorse monetarie con un peggioramento della posizione finanziaria dell’impresa, mentre valori positivi rassicurano sulla sua capacità di generare liquidità disponibile per investimenti o per il rimborso del debito. Costituisce, peraltro, una grandezza oggettiva perché calcolata sulla base di variazioni monetarie misurate dallo scambio con terze economie. Non sconta quindi tutta la soggettività del risultato di esercizio, conseguente alle poste di assestamento oggetto di stima interna.

Il free cash flow rappresenta il flusso di cassa ottenuto sottraendo dal cash flow operativo le uscite di cassa necessarie per mantenere o implementare le proprie immobilizzazioni operative in capitale fisso (Capital Expenditure o CAPEX). In altri termini, sono le risorse che, dopo aver assicurato all’impresa la necessaria capacità operativa e competitiva, possono essere destinate al capitale finanziario.

Sottratto, infine, da questa grandezza, il debito da rimborsare per rate scadute e altro, il residuo costituisce il free cash flow to equity, liberamente utilizzabile, come eccedenza effettiva di cassa, per distribuire dividendi a favore del capitale di rischio. In un “piano di impresa” rappresenta il flusso da attualizzare per determinare la remunerazione del proprio investimento in equity.

Il cash flow bancario è calcolato sommando all’utile di esercizio gli ammortamenti ed eventualmente gli altri accantonamenti per rischi. Non tiene conto delle variazioni del circolante. Viene solitamente utilizzato dal sistema bancario, da cui deriva il nome, quando non si dispone di un business plan, come approssimazione prospettica, in una logica “ceteris paribus”, della capacità di una impresa di generare flusso di cassa.

Quest’ultimo, infatti, viene a coincidere con il cash flow bancario, andando ad ipotizzare uno scenario dove l’impresa, nell’esercizio successivo, replichi almeno gli stessi risultati dell’anno precedente in termini di fatturato, costi, tempi di incasso e pagamento e rotazione di scorte, per cui non vi è variazione nel capitale circolante operativo.

Questa grandezza, così congetturata per pragmatismo, viene, quindi, confrontata con le rate in scadenza dei prestiti e più in generale con il debito finanziario per valutare l’effettivo merito creditizio dell’impresa.

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